Fuori dalla comfort zone: la ricerca è una sfida continua

Per il nostro primo appuntamento con “Una scelta, una storia” incontriamo il prof. Luca Tateo, docente di Theory, epistemology and methodology of qualitative research presso lo Special Needs Education Department dell’Università di Oslo, in Norvegia. 

Un percorso iniziato con un ‘cambio’ di facoltà agli esordi della sua carriera di studente universitario, che però non l’ha ostacolato, anzi si può dire lo abbia arricchito. Ma lasciamo che sia lui a raccontarci questi primi 30 anni di ricerca.

di Alpha Orienta
23 giugno 2025
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Procediamo con ordine: ci racconti la sua storia.

Beh, ho 53 anni e sono attualmente full professor, cioè professore ordinario, all’Università di Oslo, in Norvegia. I miei ambiti di ricerca e insegnamento sono la psicologia culturale e i metodi di ricerca qualitativa, in più sono coordinatore del Master Internazionale in Educazione Speciale. Ho fatto i miei studi in Italia e lavoro a livello internazionale da molti anni. Ho lavorato e vissuto in molti paesi tra cui Portogallo, Brasile e Danimarca prima di approdare in Norvegia.

Sulla Norvegia ci torneremo. Ma come, e soprattutto perché, ha scelto questa carriera?

Comincerei dal dire che è un lavoro che si sceglie soltanto se si ha una profonda passione per la ricerca scientifica. Direi che si tratta quasi di una vocazione o una forma di passione amorosa. Si tratta di un lavoro che assorbe e coinvolge ogni giorno, le idee non si possono lasciare in ufficio quando si chiude la porta a fine giornata. Allo stesso tempo è un lavoro che richiede molto impegno e soprattutto all’inizio della carriera comporta molte incertezze anche economiche. È però anche una carriera ricca di avventure e soddisfazioni, sfide e continue novità, che nel mio caso si sposa perfettamente con il mio carattere.

Beh, quelle che lei definisce “incertezze economiche” sono un discreto ostacolo al proseguimento di una carriera, senza dubbio. Ci vuole una certa perseveranza. Quando, dunque, ha deciso che questo sarebbe stato il suo lavoro, ‘no matter what’

L’esperienza da studente universitario è fondamentale, specialmente se si incontrano docenti capaci di ispirare e guidare. Io sono stato molto fortunato in questo senso, perché ho incontrato persone incredibili che mi hanno mostrato un modo di essere ricercatore e formatore basato sulla valorizzazione degli studenti. Io nel mio lavoro cerco di essere sempre come i mentori che ho avuto. È importante vivere l’università come un luogo di scambio intellettuale e di crescita personale, non solo come un posto dove si ricevono – o si danno – “istruzioni”.

Quando e perché ha deciso di trasferirsi all’estero?

In realtà, io sono uno di quelli che si chiamano “cervelli in fuga”. Ho fatto il dottorato di ricerca in Italia, che è una tappa obbligata se si vuole diventare accademico, ma ho sempre avuto una prospettiva internazionale e fin da studente ho cercato attivamente ogni opportunità per viaggiare e conoscere posti nuovi, cogliendone il più possibile. Ci sono molte possibilità: l’Erasmus, senza dubbio, ma anche borse di studio, programmi di scambio e stage. Penso che siano opportunità che ogni studente, ancor di più se con velleità da ricercatore, debba cogliere perché sono quelle che alla fine fanno la differenza. La capacità di fare rete è una di quelle ‘skills’ molto apprezzate all’estero in ambito universitario e sempre di più anche in Italia. 

Diceva di aver fatto il dottorato in Italia e di aver colto, da studente, ogni opportunità utile per andare all’estero. Poi cosa è successo? 

Dopo il dottorato, ho lavorato molti anni in diverse università italiane, facendo l’iniziale trafila di contratti temporanei. Gli inizi della mia carriera hanno coinciso con la ‘famigerata’ riforma Gelmini del 2008, che ha dato il via al processo di precarizzazione e riduzione delle risorse per l’università che continua ancora oggi. Però anche in tempi difficili non ho mai gettato la spugna, pur guardandomi intorno per cercare occasioni di lavoro che mi permettessero di continuare a studiare e fare ricerca. Nel tempo mi sono costruito un solido curriculum di pubblicazioni ed esperienze internazionali e alla fine sono stato pronto al ‘grande salto’. L’opportunità si è presentata con un invito per un centro di ricerca in Danimarca, che ho colto al volo. Era un’incognita, senza dubbio, ed è stato molto difficile sul piano personale, perché ho dovuto lasciare i miei cari in Italia e iniziare a fare il pendolare, cosa che, del resto, faccio ancora oggi. Ma con il senno di poi posso dire che il sacrificio ha dato i suoi frutti.

Molti ‘sognano’ di andare a lavorare all’estero, di fare il ricercatore in contesti diversi dall’accademia italiana. Ma cosa serve davvero per una carriera da ricercatore internazionale?

Beh, come dicevo, ci vuole un certo tipo di ‘predisposizione’ alla scoperta, di se stessi prima ancora che ‘accademica’: servono apertura mentale, curiosità, passione per la novità, voglia di mettersi in gioco, disponibilità al rischio, piacere di viaggiare. Poi naturalmente bisogna acquisire competenze linguistiche, in primo luogo l’inglese, necessario per qualsiasi contesto internazionale. Ma posso assicurare che più si viaggia e più diventa facile imparare altre lingue, anche quelle che mai ci si sarebbe aspettati di conoscere. 

Diciamo anche che non si è mai veramente pronti a lavorare a livello internazionale, ma ‘lo si diventa’ facendolo. E qui entra in gioco quella parte di ‘disponibilità al rischio’, di ‘passione per la novità’ cui facevo riferimento prima. Per fare il ricercatore, o il docente, o in generale lavorare all’estero bisogna essere disposti a lasciare la propria ‘comfort zone’. E questo si può fare quando hai passione per il tuo lavoro, voglia di perseguire i tuoi obiettivi e necessità di guardarti intorno per raggiungerli.

E allora vediamo come si fa a trovare opportunità di studio o lavoro all’estero. Può darci qualche suggerimento?

In realtà non è molto difficile. Ci sono moltissime fonti di informazione disponibili. Ormai esiste uno Spazio Europeo di Ricerca che ha reso l’Unione Europea un unico spazio in cui si può lavorare e studiare in qualsiasi paese. Per questo è molto importante non cedere alle tentazioni nazionalistiche di chi ci vorrebbe rinchiudere di nuovo nei confini dei singoli stati. Ci sono diversi siti in cui si possono cercare opportunità di studio e di lavoro, ad esempio, Euraxess, Jobs.ac.uk, Study.eu o Academic Europe.

Qualche consiglio pratico per gli studenti italiani?

Innanzitutto bisogna dire che l’esperienza all’estero non comincia con l’università. Gli studenti delle medie superiori possono già approfittare di molte opportunità per passare periodi di studio all’estero. In generale, agli studenti suggerisco di cominciare il prima possibile. Se poi siete alla ricerca di una facoltà interessante, optate per quelle che offrono già corsi di laurea in inglese e per quelle che hanno molti progetti di mobilità e collaborazioni con l’estero. Inoltre, se l’università dà questa possibilità, iniziate a programmare già dal secondo anno un’esperienza in Erasmus: molti si preoccupano della difficoltà di farsi riconoscere gli esami al ritorno e molti altri sono ovviamente preoccupati per i costi. Per esperienza personale posso dire che tanti sono riusciti a trovare dei piccoli lavori che hanno permesso loro di mantenersi all’estero, garantendo peraltro loro altre ‘abilità’ che si sarebbero rivelate utili per un futuro oltre confine. L’Erasmus è davvero un trampolino di lancio e sicuramente un’esperienza che vi cambia la vita in meglio. 

Insomma, bisogna vivere l’università al di là del ‘corso-esame-voto’…

Sicuramente. Ad esempio, altra cosa utile per chi ha voglia di ricercare all’estero è quella di individuare i docenti che hanno più familiarità con il panorama internazionale. Come riconoscerli? Giusto per fare un esempio, ‘puntate’ quelli che invitano spesso ricercatori esteri per lezioni o conferenze. La mia prima opportunità internazionale si è presentata proprio in questo modo: ho conosciuto uno dei miei mentori più importanti quando venne nella mia università per tenere alcune lezioni.

E per gli studenti che pensano al dottorato o i giovani ricercatori?

Beh, le regole del gioco oggi sono basate sulla produttività. Quindi è molto importante, ad esempio, avere presto almeno una pubblicazione. Io cerco sempre di spronare i miei studenti, già dalla laurea magistrale, a pubblicare un articolo scientifico perché è un modo per fare un balzo in avanti rispetto ai concorrenti. Infine, sembrerebbe scontato ma non lo è, il consiglio più importante è leggere molto e continuamente, migliorare le proprie conoscenze senza accontentarsi dei pochi contenuti curricolari. È un aspetto fondamentale anche per i docenti, per chi è ormai ‘ordinario’, ma spesso ci si limita ai lavori dei colleghi. E invece per fare questo lavoro è necessario allenare continuamente quella curiosità che ha motivato i primi passi. Senza curiosità e apertura mentale, senza la voglia di guardarsi intorno non c’è ricerca.

Potrebbe essere questo, dunque, il ‘messaggio’ da lasciare agli aspiranti ricercatori…

Per certi versi potrebbe apparire paradossale, ma quel che davvero cerco di trasmettere anche ai miei studenti è quello di seguire il proprio intuito e la propria curiosità. Non scendete a compromessi con chi vuole irregimentarvi. Nel lavoro scientifico, l’indipendenza di pensiero e il rigore personale sono fondamentali e alla lunga ripagano degli sforzi e dei sacrifici. Che, fidatevi, ci sono. Ma le soddisfazioni, anche le più inattese, poi arrivano.

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