Professioni sanitarie 2025-26: quali garantiscono più lavoro dopo la laurea?

I dati aggiornati, le differenze tra percorsi e i consigli pratici per scegliere con consapevolezza.

di Lucia Resta
1 dicembre 2025
1 MIN READ

Chi sta pensando a un percorso nelle professioni sanitarie si sente spesso dire che “il lavoro non manca”. È una frase che gira da anni, quasi un luogo comune, ma i numeri più recenti mostrano che, stavolta, il luogo comune è vero. Tra i laureati del 2023, più di otto su dieci hanno trovato lavoro entro un anno dal titolo. È un risultato molto vicino a quello che si registrava più di dieci anni fa, quando il settore era in piena espansione, e un balzo deciso rispetto alle rilevazioni dell’anno precedente.

Dietro questa crescita non c’è una singola causa. La popolazione invecchia, i servizi di cura e riabilitazione si moltiplicano, la sanità territoriale sta diventando una parte sempre più importante del sistema e il settore privato assorbe competenze a ritmo costante. In molti casi, chi si laurea riesce a inserirsi rapidamente perché le strutture — pubbliche e private — fanno fatica a trovare personale qualificato.

Questo però non significa che tutte le professioni si comportino allo stesso modo. Alcuni percorsi garantiscono un ingresso quasi immediato nel mercato del lavoro; altri richiedono più pazienza, oppure una certa disponibilità a spostarsi. L’obiettivo di questo articolo è semplice: mettere ordine nei dati, capire quali professioni offrono oggi le prospettive migliori e cosa aspettarsi davvero una volta usciti dall’università.

La fotografia generale dell’occupazione

Guardare l’andamento dell’occupazione nelle professioni sanitarie negli ultimi anni è un po’ come osservare una curva che, dopo qualche oscillazione, torna a salire con decisione. Nel 2023, l’84,8% dei laureati triennali risultava già al lavoro a dodici mesi dal titolo. È un dato alto, certo, ma ciò che colpisce è il ritmo della crescita: otto punti percentuali in più rispetto all’anno precedente, quando la percentuale si era leggermente contratta.

Per avere un termine di paragone, basta guardare al resto del panorama universitario: la media nazionale degli altri corsi triennali si ferma al 44,6%. Significa che chi si forma in un ambito sanitario ha, nei fatti, un vantaggio enorme in termini di inserimento lavorativo. Non solo: la percentuale attuale si avvicina molto a quella registrata nel 2007, quando l’occupazione sfiorava l’87%. Un livello che sembrava lontano, e che invece oggi torna a essere plausibile.

Non tutte le professioni contribuiscono allo stesso modo a questo risultato. Le quattro grandi aree — Infermieristica e Ostetricia, Riabilitazione, Tecnica e Prevenzione — mostrano tutte una crescita, con differenze che raccontano molto delle esigenze del sistema sanitario.
Nel dettaglio:

  • l’area Infermieristica e Ostetrica sale all’85,1% (+7,4 punti);
  • le professioni della Riabilitazione raggiungono l’86,4% (+9,3 punti);
  • l’area Tecnica arriva all’82,0% (+8,1 punti);
  • la Prevenzione tocca l’81,6% (+9 punti)

Sono numeri che non si improvvisano. Fotografano un sistema — pubblico e privato insieme — che richiede competenze specialistiche e fa fatica a coprire il ricambio generazionale. E raccontano anche un altro aspetto: per molti studenti, questi percorsi non rappresentano solo una scelta “vocazionale”, ma uno dei pochi modi per accedere a un lavoro stabile e qualificato in tempi relativamente brevi.

Le dieci professioni sanitarie con il tasso di occupazione più alto

Se si guarda in dettaglio ai singoli profili, emergono differenze molto nette. Alcune professioni offrono un ingresso quasi immediato nel mercato del lavoro, altre richiedono un po’ più di tempo o un buon livello di mobilità. Ma nella parte alta della classifica il quadro è sorprendentemente compatto: le prime dieci professioni sfiorano o superano tutte l’85% di occupati a un anno dalla laurea. Vediamo quali sono e perché continuano a funzionare.

  1. Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva 89,6%
    È il dato più alto della rilevazione. La richiesta arriva soprattutto dai servizi territoriali, dai centri per i disturbi del neurosviluppo e dal privato accreditato, dove le liste d’attesa sono spesso lunghe e il personale insufficiente. È una professione piccola nei numeri, ma con domanda costante e poco rimpiazzabile.
  2. Logopedista 88,1%
    Il boom delle diagnosi in età pediatrica, insieme all’aumento di disturbi legati alla voce e alla deglutizione negli adulti, spinge una richiesta che il sistema pubblico fatica a coprire. Il settore privato è ormai una parte stabile del mercato e assorbe molti neolaureati.
  3. Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica 87,8%
    La salute mentale è una delle aree più in sofferenza dopo la pandemia. I servizi pubblici lavorano spesso in carenza di organico e il privato sociale – comunità, centri diurni, residenze – offre sbocchi immediati.
  4. Podologo 87,5%
    Un profilo poco conosciuto, ma con una domanda che cresce per effetto dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle patologie metaboliche (come il diabete). Anche qui il privato fa la differenza.
  5. Fisioterapista 87,4%
    È uno dei percorsi più ambiti e continua a esserlo per un motivo semplice: servono fisioterapisti praticamente ovunque — ospedali, cliniche, RSA, palestre riabilitative, studi privati. La domanda supera l’offerta, soprattutto al Centro-Nord.
  6. Tecnico di Neurofisiopatologia 87,5%
    Figura tecnica molto specializzata, difficile da sostituire e poco numerosa. Le nuove attivazioni di corsi non bastano ancora a coprire la richiesta di strutture pubbliche e private.
  7. Infermiere Pediatrico 86,7%
    La pediatria soffre di una carenza cronica di personale. Reparti ospedalieri, ambulatori, servizi territoriali e strutture private cercano costantemente nuovi profili.
  8. Igienista Dentale 86,4%
    Un classico esempio di professione trainata dal privato. Studi odontoiatrici e cliniche specialistiche assorbono velocemente chi si laurea, con possibilità di crescita economica più alte rispetto ad altri profili sanitari.
  9. Infermiere 85,5%
    Il fabbisogno nazionale è elevatissimo e stabile da anni. Gli ospedali pubblici fanno fatica a coprire i turni, le RSA sono spesso in carenza di organico e il settore privato continua ad ampliarsi. Il dato dell’occupazione non sorprende: il Paese ha bisogno di infermieri.
  10. Educatore Professionale 84%
    Pur non essendo una “professionale sanitaria” in senso stretto nell’immaginario comune, rientra nel gruppo e mostra un tasso alto grazie alla forte richiesta nel sociale, nella disabilità e nella salute mentale.

Questa “top ten” non va letta solo come una graduatoria: racconta quali settori del sistema sanitario e socio-sanitario stanno crescendo più velocemente e dove, oggi, l’ingresso dei giovani professionisti è davvero indispensabile.

Le professioni “stabili”: occupazione alta, ma sotto la media delle migliori

La parte alta della classifica racconta un mercato del lavoro molto dinamico, ma non tutte le professioni hanno numeri così immediati. Esiste un gruppo di profili che si colloca in una fascia intermedia: l’occupazione è comunque alta — spesso intorno o sopra l’80% — ma il percorso di inserimento può essere un po’ più lento, oppure più legato alla disponibilità di posti nella propria regione.

Sono professioni che restano solide, ma dove entrano in gioco variabili come concorsi locali, saturazione del settore privato o la necessità di spostarsi per trovare le opportunità migliori. Ecco il quadro.

  • Tecnico di Radiologia, Tecnico di Laboratorio, Assistente Sanitario circa 83%
    Sono ruoli molto richiesti nel pubblico, ma l’ingresso dipende in larga parte dai concorsi e dalle disponibilità delle singole aziende sanitarie. Quando i bandi tardano, i tempi di inserimento si allungano. Nel privato, invece, il mercato è più variabile.
  • Tecnico della Prevenzione 81%
    È una figura centrale nella sicurezza alimentare, ambientale e lavorativa. La richiesta c’è, ma non ovunque: alcune regioni hanno organici più stabili, altre investono di più nei servizi territoriali, creando opportunità a macchia di leopardo.
  • Ostetrica, Ortottista, Audioprotesista, Tecnico Ortopedico 79%
    Professioni importanti ma numericamente piccole. Il tasso resta alto, ma lo sbocco può dipendere dal territorio: nei grandi centri ci sono più possibilità (pubblico e privato), mentre in aree meno popolate il mercato è più fermo.
  • Dietista 71%
    È una delle percentuali più basse dell’area sanitaria. Il motivo non è la scarsa utilità del ruolo — anzi — ma l’offerta formativa molto superiore al fabbisogno reale: le università mettono più posti di quanti ne servirebbero, creando un piccolo “collo di bottiglia” per i neolaureati.
  • Tecnico di Fisiopatologia Cardiocircolatoria 68%
    Profilo molto tecnico e poco numeroso. La domanda non manca, ma in molte regioni i posti sono pochi e l’inserimento dipende da concorsi non frequenti.
  • Tecnico Audiometrista 63%
    È l’ultimo in classifica per occupazione. Il motivo è semplice: pochissime sedi di corso, mercato molto ristretto e forte sbilanciamento tra posti formativi e reali bisogni del territorio.

Queste percentuali non devono spaventare: anche il “peggior” tasso occupazionale dell’area sanitaria resta più alto di quello di molti altri percorsi universitari. Ma servono per raccontare la realtà: non tutte le professioni garantiscono lo stesso ritmo di inserimento e, soprattutto, non in tutte le zone d’Italia le opportunità sono equivalenti.

La domanda delle aziende: perché queste professioni trovano lavoro subito

Quando si osservano i tassi di occupazione così alti, la domanda che molti si fanno è sempre la stessa: perché il settore sanitario assorbe i giovani così rapidamente? La risposta non è unica, ma si può riassumere in alcuni fattori che, messi insieme, spiegano gran parte del fenomeno.

  1. Il ricambio generazionale non basta più a coprire i bisogni
    Negli ultimi dieci anni una parte consistente del personale sanitario è andata in pensione, mentre le nuove assunzioni non sono riuscite a tenere lo stesso passo. Molte figure — infermieri, fisioterapisti, tecnici — sono diventate essenziali per tenere in piedi reparti e servizi territoriali. La conseguenza è ovvia: i giovani che si laureano trovano spazio quasi subito.
  2. La sanità territoriale sta crescendo e ha bisogno di personale
    Le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità e i servizi domiciliari non sono più progetti sulla carta: stanno aprendo, regione dopo regione. E ogni nuova struttura richiede decine di professionisti, spesso con profili specifici che non è possibile “convertire” da altre attività. È un cambiamento culturale, prima ancora che organizzativo: si curano più persone fuori dagli ospedali, e servono quindi nuove competenze.
  3. Le richieste del privato: poliambulatori, cliniche, centri riabilitativi
    Se il pubblico procede con i suoi tempi, il privato corre molto più veloce. Fisioterapia, logopedia, odontoiatria, diagnostica per immagini: sono settori dove, nel giro di pochi anni, l’offerta privata è aumentata in modo evidente. Qui il meccanismo è semplice: quando c’è spazio, si assume. E spesso il reclutamento dei neolaureati avviene senza lunghe selezioni o concorsi.
  4. Aumentano le diagnosi (e quindi i bisogni)
    Una parte della domanda nasce anche da un cambiamento negli stili di vita e nelle abitudini della popolazione:
    – più diagnosi precoci in età pediatrica → logopedisti, TNPEE, terapisti della riabilitazione;
    – più patologie croniche legate all’età → fisioterapisti, infermieri, podologi;
    – maggiore attenzione alla prevenzione → tecnici della prevenzione, igienisti dentali.
    Il risultato è che alcune professioni diventano “non rinviabili”: servono persone preparate, e servono ora.
  5. Le strutture fanno fatica a trattenere il personale
    In alcune regioni, soprattutto del Centro-Nord, la mobilità dei professionisti è molto alta: chi trova condizioni migliori (economiche o organizzative) si sposta rapidamente. Ciò costringe ospedali, RSA e cliniche a cercare continuamente nuove risorse.

In sintesi: l’occupazione non è alta per caso. È il risultato di un sistema che ha più bisogno di personale di quanto riesca a formarne. Ed è anche la ragione per cui molte professioni, oggi, offrono un ingresso nel mercato del lavoro più rapido rispetto a quasi tutti gli altri percorsi universitari.

Quanto conta la regione in cui ci si laurea

L’idea che “un infermiere trova lavoro ovunque” è vera solo in parte. I dati mostrano una realtà più sfumata: l’occupazione nelle professioni sanitarie è alta in tutta Italia, ma la velocità con cui ci si inserisce cambia molto da regione a regione. E questo dipende da un mix di fattori: il numero di posti disponibili nei corsi di laurea, il fabbisogno delle aziende sanitarie locali, la presenza di strutture private e la capacità del territorio di trattenere i professionisti. Il report 2025-26 aiuta a leggere queste differenze con un colpo d’occhio.

Le regioni in cui l’offerta formativa cresce di più (e quindi anche le opportunità)

Negli ultimi dodici mesi alcune regioni hanno aumentato in modo significativo i posti disponibili nei corsi di laurea sanitari. In genere, quando un territorio potenzia l’offerta formativa, lo fa perché prevede — o sta già vivendo — una forte domanda di personale.

Le crescite più rilevanti riguardano:

  • Lazio: +450 posti (da 6.474 a 6.924)
  • Sicilia: +387 posti, grazie anche alle nuove attivazioni dell’Università Kore di Enna
  • Lombardia: +172 posti
  • Campania: +156 posti
  • Abruzzo: +105 posti

Sono regioni in cui il settore sanitario, pubblico e privato, è molto attivo. Spesso, chi studia qui trova opportunità senza doversi spostare troppo.

Le regioni in cui i posti diminuiscono (e la competizione può essere più alta)

Ci sono poi territori che, per ragioni diverse, hanno ridotto l’offerta:

  • Marche: –100 posti
  • Calabria: –83 posti
  • Emilia-Romagna: –55 posti
  • Puglia: –48 posti
  • Basilicata: –12 posti

Qui il mercato del lavoro può essere più complesso. Meno posti formativi di solito significano due cose contemporaneamente: meno concorrenza tra studenti, ma anche un numero limitato di strutture pronte ad assumere.

Nord, Centro, Sud: i tre “modelli” di inserimento lavorativo

Pur con differenze interne, i dati suggeriscono tre modelli abbastanza riconoscibili:

Al Nord

  • Offerta formativa ampia
  • Grande presenza di strutture private
  • Mobilità elevata: molti professionisti cambiano ASAP per condizioni migliori
    → Risultato: ingresso rapido, con forti possibilità di crescita.

Al Centro

  • Quadro misto: territori con grande offerta (Lazio, Toscana) e altri più stabili
  • Crescita della sanità territoriale
    → Risultato: opportunità buone, ma a volte legate ai concorsi.

Sud e Isole

  • Aumento dei posti in alcune regioni (Sicilia, Campania)
  • Meno strutture private rispetto al Centro-Nord
    → Risultato: l’assorbimento c’è, ma spesso chi vuole crescere professionalmente valuta un trasferimento.

Studiare in una regione e lavorare in un’altra: la normalità del settore sanitario

Una nota importante: nel mondo delle professioni sanitarie la mobilità non è un’eccezione. Molti neolaureati scelgono di trasferirsi subito dopo il titolo, non perché non trovano lavoro a casa, ma perché altrove le condizioni contrattuali sono più stabili o perché avranno più possibilità di specializzarsi.

In altre parole: la regione in cui ci si laurea conta, ma non determina il futuro. Influenza i primi mesi, semplifica o complica l’ingresso, ma non chiude né apre le possibilità a lungo termine.

Consigli pratici per chi sta scegliendo oggi

A questo punto è chiaro che le professioni sanitarie offrono molte opportunità, ma non tutte nella stessa misura. Per chi sta decidendo ora quale percorso intraprendere, guardare solo l’occupazione media non basta: serve qualche accortezza in più. Niente di complicato, solo alcune attenzioni che possono cambiare la qualità della scelta — e anche le prospettive dopo la laurea.

  1. Non fermarsi al “sentito dire”
    Ogni anno circolano idee molto radicate: “Fisioterapia è impossibile”, “Infermieristica la fai ovunque”, “Logopedia è una nicchia”. Alcune hanno un fondo di verità, altre meno.
    I dati raccontano una storia più precisa: corsi molto competitivi convivono con percorsi più accessibili, e l’occupazione varia davvero da professione a professione. Guardare i numeri è il modo più semplice per evitare scelte impulsive.
  2. Valutare l’occupazione, ma anche la domanda del territorio
    Gli sbocchi non dipendono solo dalla professione in sé, ma da dove la si vuole esercitare. Alcune regioni hanno un mercato più dinamico (per presenza di strutture private, servizi territoriali potenziati, concorsi frequenti), altre sono più stabili o più lente. Pensare in anticipo al territorio in cui si vorrà lavorare aiuta a capire se un percorso è sostenibile nel lungo periodo.
  3. Considerare la mobilità come una possibilità (o come un limite)
    Le professioni sanitarie sono molto mobili. Molti neolaureati trovano il primo lavoro fuori dalla propria provincia o regione, non per necessità ma perché altrove le condizioni sono migliori. Chi è disposto a spostarsi ha, in media, più opportunità e più velocemente. Chi non può o non vuole farlo dovrebbe considerare corsi più diffusi e con più sedi.
  4. Guardare ai tirocini come parte essenziale della formazione
    Non sono tutti uguali: alcune università hanno convenzioni con ospedali grandi e reparti molto attivi; altre puntano sui servizi territoriali; altre ancora su strutture private. Il tirocinio influisce moltissimo sul tipo di lavoro che si farà dopo: vale la pena dare un’occhiata alle strutture in cui il corso collabora e capire se sono in linea con i propri obiettivi.
  5. Scegliere una professione che risuona davvero
    Un percorso sanitario richiede impegno, orari non sempre semplici e un livello di responsabilità elevato. È un lavoro molto concreto, a contatto con persone fragili, con la loro salute e con le loro storie. Guardare le percentuali è utile; capire se quel tipo di lavoro parla alla propria indole lo è ancora di più.
  6. Tenere aperte più opzioni (ma in modo razionale)
    Molti studenti scelgono un solo corso e una sola sede, ma non sempre è la strategia migliore. A volte ha senso considerare una seconda o terza opzione, purché siano coerenti con i propri interessi e con le reali possibilità di accesso. La scelta non deve trasformarsi in un “tentare ovunque”: deve restare orientata e sensata.

In altre parole, scegliere una professione sanitaria non significa solo puntare al corso con più opportunità. Significa trovare un equilibrio tra ciò che serve al sistema sanitario, ciò che offre il territorio e ciò che si immagina per sé negli anni a venire.

Un settore pieno di opportunità, ma una scelta che resta personale

Guardando i numeri, il mondo delle professioni sanitarie appare come uno dei pochi ambiti universitari in cui le promesse sull’occupazione coincidono davvero con la realtà. L’ingresso nel mercato del lavoro è rapido, la domanda è stabile e in molti casi supera l’offerta. Ma questo non significa che tutte le professioni siano uguali, né che la scelta sia scontata.

La forza di questo settore sta nella sua complessità: ci sono percorsi molto competitivi e altri più accessibili, professioni “grandi” con centinaia di sedi e profili più piccoli che funzionano solo se si è disposti a muoversi. Ci sono territori che assumono più velocemente e territori più lenti, tirocini che aprono molte porte e altri che richiedono un po’ di tempo per trasformarsi in lavoro.

In mezzo a queste differenze, però, c’è una costante: chi entra nelle professioni sanitarie, oggi, sceglie un percorso che offre prospettive concrete, utili e spendibili.
E se è vero che i dati aiutano a orientarsi, è altrettanto vero che la scelta finale passa da qualcosa di più personale: capire quale professione rispecchia davvero ciò che si vuole fare ogni giorno, in un settore che richiede presenza, responsabilità e una certa voglia di esserci.

Alla fine, è questo il punto: non scegliere la professione “migliore”, ma quella che ha senso per sé — dentro un settore che, più di altri, continua a offrire spazio a chi ha voglia di costruirsi un futuro solido.

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