Nelle ultime settimane ha fatto molto discutere la vicenda di una famiglia che viveva in un bosco dell’Abruzzo con i propri tre figli educati in casa. Soprannominata dai media la “famiglia del bosco”, è salita agli onori della cronaca quando un tribunale per i minorenni ha disposto l’allontanamento dei bambini dai genitori. Contrariamente a quanto molti hanno pensato inizialmente, la decisione dei giudici non è dipesa semplicemente dal fatto che i figli non frequentassero la scuola, poiché l’istruzione parentale (o homeschooling) è una pratica legale in Italia. Il provvedimento, infatti, si è basato soprattutto sul rischio di isolamento sociale dei minori e su altre carenze nelle condizioni di vita, più che sulla scelta educativa in sé. Tuttavia, il caso ha riacceso i riflettori sull’istruzione parentale, sollevando domande su cosa preveda la legge italiana, quanto sia diffuso il fenomeno, perché alcune famiglie lo scelgano e quali criticità comporti.
La normativa italiana: istruzione obbligatoria, scuola facoltativa
In Italia l’istruzione è obbligatoria dai 6 ai 16 anni, ma la legge non impone strettamente la frequenza a scuola. La Costituzione, all’articolo 34, stabilisce che “la scuola è aperta a tutti” e prescrive un obbligo formativo minimo, ma non vieta che l’educazione possa avvenire in ambiti alternativi alla scuola tradizionale. Ancora prima, l’articolo 30 della Costituzione afferma il dovere-diritto dei genitori di istruire ed educare i figli. Su queste basi, l’ordinamento italiano consente ai genitori di provvedere direttamente all’educazione dei figli, in quella che viene chiamata istruzione parentale o educazione parentale.
Nel concreto, il genitore che opta per questa soluzione deve seguire alcune procedure precise. Ogni anno è necessario presentare una comunicazione scritta al dirigente dell’istituto scolastico pubblico più vicino alla propria residenza, indicando che si intende assolvere in proprio l’obbligo di istruzione per il figlio. In questa comunicazione la famiglia dichiara di possedere le “capacità tecniche ed economiche” adeguate per istruire il minore a casa. Si tratta di un’autocertificazione che attesta la disponibilità di risorse, competenze culturali e organizzative per sostenere il percorso educativo: non occorre che il genitore sia un insegnante di professione, ma deve assumersi la responsabilità di fornire al bambino un’istruzione di livello equivalente a quella scolastica. Il dirigente scolastico ha il compito di verificare la correttezza di quanto dichiarato e, in generale, di vigilare sul rispetto dell’obbligo istruttivo.
Un altro pilastro fondamentale è quello degli esami di idoneità annuali. La normativa vigente (rafforzata dal Decreto Legislativo 62/2017) prevede che ogni studente in istruzione parentale sostenga ogni anno un esame di idoneità presso una scuola statale o paritaria, in qualità di candidato esterno. L’esame verifica che il ragazzo abbia acquisito le conoscenze e competenze previste per il suo anno di corso, secondo le Indicazioni Nazionali del Ministero dell’Istruzione. In pratica, serve ad accertare che l’apprendimento fuori dalle aule sia in linea con gli obiettivi didattici standard. Se lo studente supera l’esame, ottiene l’idoneità a passare alla classe successiva e può proseguire l’istruzione parentale l’anno seguente. In caso di mancato superamento dell’esame, oppure se la famiglia non presenta la dichiarazione annuale richiesta, scattano misure di tutela: il dirigente scolastico deve iscrivere d’ufficio il bambino a una scuola tradizionale, facendo decadere la possibilità di continuare l’homeschooling. In altre parole, la libertà di istruire i figli a casa è garantita, ma è subordinata al rispetto di queste regole: comunicazione annuale e verifica periodica dei risultati.
Va sottolineato che in Italia la scelta dell’istruzione parentale è considerata pienamente legittima dalle istituzioni, purché esercitata responsabilmente. Di recente, una sentenza della Corte di Cassazione (agosto 2023) ha ribadito che l’homeschooling è espressione del diritto-dovere educativo dei genitori e da solo non costituisce motivo sufficiente per limitare la responsabilità genitoriale. Le autorità possono intervenire solo se emergono concretamente rischi di pregiudizio per il minore, ad esempio situazioni di abbandono educativo o di grave isolamento non compensato da adeguate tutele. Questo principio conferma l’impianto della legge: lo Stato lascia libertà alle famiglie sul come istruire i figli, ma mantiene il dovere di assicurarsi che ogni bambino riceva comunque un’istruzione adeguata e una crescita equilibrata.
I numeri dell’istruzione parentale: un fenomeno in crescita
Sebbene molto se ne parli, l’istruzione parentale rimane in Italia un fenomeno numericamente limitato, ma in crescita costante negli ultimi anni. I dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione indicano che nell’anno scolastico 2017/2018 – il primo in cui sono state raccolte statistiche sistematiche – poco più di 5.000 studenti in tutta Italia risultavano educati a casa. Negli anni immediatamente successivi la cifra è aumentata gradualmente, ma è stato con la pandemia di Covid-19 che si è registrata una vera impennata. Molte famiglie, trovandosi costrette alla didattica a distanza durante l’emergenza sanitaria, hanno scoperto o valutato l’istruzione parentale come alternativa e, terminate le restrizioni, alcune hanno deciso di non riportare i figli in classe.
Di conseguenza, nell’anno scolastico 2020/2021 si è arrivati a oltre 15.000 studenti in homeschooling, triplicando i numeri di pochi anni prima. Questa tendenza ha raggiunto il suo picco di recente: nell’anno 2023/2024 gli alunni segnalati in istruzione parentale sono stati circa 16.800, su un totale di oltre 7 milioni di scolari in età obbligatoria. In termini percentuali equivale a appena lo 0,2% circa del totale degli studenti: dunque ancora una piccolissima minoranza (circa due bambini ogni mille), ma sensibilmente più ampia rispetto al passato. Alcune stime suggeriscono che il dato reale potrebbe essere leggermente superiore, poiché non tutti i casi vengono registrati con tempestività e perché in certe situazioni particolari (ad esempio nelle province autonome) potrebbero sfuggire al conteggio nazionale. In ogni caso, si tratta di numeri molto ridotti, che tuttavia crescono anno dopo anno. Terminata la spinta emergenziale del Covid, la pratica dell’istruzione parentale non è scomparsa: al contrario, sembra essersi consolidata come opzione educativa stabile per alcune famiglie.
Dal punto di vista della distribuzione geografica e sociale, la realtà è piuttosto eterogenea. L’educazione parentale non è circoscritta a piccole comunità rurali isolate: i dati raccolti dalle ricerche sul campo mostrano anzi che i bambini educati fuori dalla scuola provengono da contesti molto diversi. Le regioni del Nord Italia registrano il maggior numero di casi (in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna presentano comunità homeschooler numericamente rilevanti), ma anche in altre zone, come il Lazio e la Sicilia, il fenomeno è presente in misura significativa. Inoltre, la suddivisione tra famiglie residenti in città, provincia o campagna risulta abbastanza equilibrata: l’homeschooling in Italia viene praticato sia in ambiente urbano che rurale in proporzioni simili. Questo sfata lo stereotipo secondo cui sarebbe una scelta tipica solo di famiglie che “vivono nei boschi” o lontano dalla società. In realtà l’istruzione parentale è adottata anche in contesti cittadini, spesso da genitori appartenenti a diversi ceti sociali e con background ideologici variabili.
Il tratto comune, al di là dei numeri, è che l’homeschooling da noi resta una scelta di minoranza, conosciuta a lungo solo da una nicchia, ma che negli ultimi anni ha guadagnato visibilità. L’attenzione mediatica attorno a episodi come quello della famiglia di Palmoli ha contribuito a portare il dibattito sulla scena pubblica, facendo emergere interrogativi su come funzioni questo modello educativo e chi siano le famiglie che lo intraprendono.
Perché alcune famiglie scelgono l’istruzione parentale?
Le motivazioni dei genitori che decidono di educare i figli a casa sono molteplici e spesso molto personali, ma quasi tutte hanno a che fare con una critica verso il sistema scolastico tradizionale o con il desiderio di offrire ai figli un percorso formativo diverso. Dai racconti raccolti nelle indagini sul campo, emergono alcuni filoni ricorrenti:
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Personalizzazione dell’apprendimento: molti genitori homeschooler ritengono che la scuola pubblica abbia programmi troppo standardizzati, che fatichino a valorizzare le peculiarità di ogni bambino. In casa, sperano di poter adattare i ritmi e i contenuti all’interesse e al talento del figlio, costruendo un’educazione su misura. Un tema spesso citato è proprio la contrapposizione tra la standardizzazione scolastica e la personalizzazione a casa: le famiglie credono di poter garantire un apprendimento più flessibile, stimolare la curiosità naturale dei bambini e seguire meglio lo sviluppo emotivo individuale, cose che a loro avviso la scuola “industrializzata” non sempre riesce a fare.
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Qualità dell’ambiente educativo: Alcune famiglie hanno perduto fiducia nella scuola come istituzione per motivi pratici. C’è chi lamenta classi sovraffollate, edifici poco accoglienti o mancanti di spazi verdi e laboratori, metodologie didattiche ritenute obsolete, oppure l’eccessiva enfasi su disciplina e valutazioni a scapito della creatività. Problemi come il bullismo o un clima scolastico stressante sono talvolta citati: se un bambino ha sofferto in quell’ambiente, i genitori possono considerare l’istruzione parentale come un rifugio più sereno e sicuro. In contesti rurali, per esempio, alcune famiglie criticano la scuola perché “strappa i bambini dalla natura per chiuderli in un contesto artificiale”: preferiscono che i figli apprendano all’aria aperta, sperimentando direttamente il mondo naturale anziché passare molte ore seduti in aula. Anche il tempo trascorso in famiglia è un fattore: c’è chi apprezza la possibilità di vivere più a lungo accanto ai figli, seguendoli da vicino nel loro percorso di crescita, cosa che la routine scolastica da mattina a pomeriggio rende difficoltosa.
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Approcci pedagogici alternativi: un segmento di genitori sceglie homeschooling perché aderisce a filosofie educative diverse da quelle convenzionali. Alcuni seguono metodi pedagogici strutturati (come Montessori o Steiner) che vogliono applicare direttamente, altri ancora abbracciano l’idea più radicale dell’unschooling. Quest’ultimo è un approccio nato negli Stati Uniti che prevede di eliminare programmi, materie e orari prestabiliti, lasciando che l’apprendimento del bambino sia totalmente guidato dalla sua curiosità e dalle esperienze quotidiane, senza lezioni formali. In pratica, i genitori unschooler non impongono un curriculum: facilitano piuttosto le esplorazioni spontanee del figlio, convinti che così impari in modo più naturale. È un approccio estremo e molto impegnativo, che richiede comunque di assicurarsi che il ragazzo raggiunga gli obiettivi minimi richiesti (infatti anche chi fa unschooling, in Italia, deve poi dimostrare le competenze negli esami annuali, magari studiando autonomamente quanto necessario). Non tutte le famiglie homeschooler sono così estreme, ma la presenza di queste correnti indica come il panorama sia variegato: si va da chi sostanzialmente “fa scuola a casa” replicando l’impianto tradizionale, a chi invece rifiuta qualsiasi impostazione rigida.
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Valori familiari e visione del mondo: in alcuni casi la scelta è legata a motivazioni ideali, religiose o etiche. Ci sono genitori che vogliono trasmettere ai figli una certa formazione spirituale o morale e temono che la scuola pubblica non sia in sintonia con i loro valori di famiglia. Oppure famiglie con background culturali internazionali che preferiscono educare in casa per mantenere viva la propria lingua o tradizione. Anche se in Italia questo aspetto è meno marcato che in altri paesi (come gli Stati Uniti, dove una parte consistente di homeschooler è di fede evangelica o appartiene a comunità religiose tradizionaliste), esistono comunque realtà in cui la scelta di istruire a casa nasce dal desiderio di un controllo più stretto sui contenuti appresi dai figli o dalle frequentazioni sociali, in linea con una determinata visione educativa.
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Esigenze specifiche del bambino: non va dimenticato infine che per alcuni bambini con esigenze particolari l’istruzione parentale può sembrare la soluzione più adatta. Ci riferiamo a minori con problemi di salute cronici, disabilità, disturbi dell’apprendimento o situazioni di ansia scolastica severa: casi in cui frequentare la scuola quotidianamente può risultare difficile o traumatico. Alcune famiglie in queste condizioni preferiscono occuparsi direttamente dell’educazione dei figli, potendo così modulare tempi e metodi in base alle necessità individuali. Anche atleti agonisti o giovani musicisti di talento, impegnati fin da piccoli in attività intensive, talvolta ricorrono all’homeschooling per avere un orario più flessibile che concili studio e allenamenti.
In sintesi, la spinta verso l’istruzione parentale nasce quasi sempre da una qualche insoddisfazione verso la scuola tradizionale o dall’aspirazione a qualcosa di diverso. I genitori homeschooler spesso condividono molte critiche con altre famiglie “comuni” – ad esempio la rigidità dei programmi, le classi affollate, la carenza di risorse – ma, a differenza della maggioranza, arrivano al punto di voltare le spalle al sistema scolastico per tentare un percorso autonomo. Non è una decisione presa alla leggera: comporta un cambiamento di vita rilevante per tutta la famiglia e richiede un investimento enorme di tempo ed energie. Chi fa questa scelta è convinto che i benefici per i figli – in termini di benessere, crescita culturale ed equilibrio psicologico – possano superare le sfide. Va evidenziato però che non tutte le famiglie homeschooler hanno le stesse aspettative accademiche: alcune puntano a risultati scolastici elevati (magari preparando i figli con rigore per gli esami), mentre altre privilegiano aspetti come la curiosità, l’autonomia, la creatività anche a costo di seguire meno fedelmente i programmi ministeriali. Questo porta a una grande varietà di approcci didattici nel mondo dell’istruzione parentale italiana.
Criticità e dibattiti attorno all’homeschooling
Accanto alle motivazioni e ai potenziali vantaggi sottolineati dai suoi sostenitori, l’istruzione parentale presenta anche una serie di criticità, preoccupazioni e possibili rischi che vengono spesso discussi da pedagogisti, sociologi e dall’opinione pubblica. È importante analizzarli per avere un quadro equilibrato del fenomeno:
1. Socializzazione dei bambini: La critica più immediata rivolta all’homeschooling riguarda la mancanza di interazione quotidiana con i coetanei in un contesto di gruppo. La scuola viene tradizionalmente considerata un luogo fondamentale non solo per apprendere nozioni, ma anche per sviluppare competenze sociali: stare in mezzo ad altri bambini, rispettare regole comuni, confrontarsi con la diversità dei compagni. Si teme che, crescendo principalmente in ambito familiare, i figli educati a casa possano soffrire di isolamento o mostrarsi impacciati nelle dinamiche collettive. I fautori dell’educazione parentale rispondono che la socializzazione non avviene solo tra le mura scolastiche: i bambini homeschooler possono frequentare gruppi sportivi, attività artistiche, associazioni e altre occasioni di aggregazione con pari, spesso in ambienti più controllati e favorevoli di quanto non possa garantire la scuola (dove, ad esempio, esistono fenomeni di bullismo o esclusione). Inoltre, sottolineano che la socializzazione “orizzontale” tra pari della stessa età non è l’unica forma valida: anzi, il bambino che studia a casa ha modo di interagire con persone di età diverse – adulti, fratelli maggiori, bambini più piccoli – sviluppando quella che viene definita socializzazione “verticale”, ritenuta utile per imparare a relazionarsi in contesti intergenerazionali. Alcuni studi internazionali indicano che i ragazzi educati in famiglie attente a questo aspetto non riportano deficit nelle abilità sociali, anzi spesso mostrano buona autostima, capacità comunicative, creatività nelle relazioni. Tuttavia, è innegabile che molto dipende dall’atteggiamento della famiglia: se i genitori non si impegnano a offrire ai figli opportunità di incontro e condivisione con il mondo esterno, oppure se vivono in zone molto isolate, il rischio di una socializzazione carente esiste. In casi estremi, laddove l’istruzione parentale venga praticata per motivi ideologici di chiusura verso la società (rifiuto del confronto con altri stili di vita, diffidenza verso l’esterno), il bambino può effettivamente crescere in una sorta di bolla, con poche amicizie e scarsa capacità di integrarsi. Quindi, sul fronte socializzazione, l’homeschooling può funzionare bene se la famiglia è proattiva e inserita in reti (molte comunità homeschooler organizzano incontri, laboratori, uscite didattiche comuni), mentre può essere problematico se si traduce in isolamento domestico.
2. Sviluppo civico e pluralismo: Un altro ordine di critiche è più sociopolitico e riguarda il ruolo della scuola nel trasmettere valori collettivi e garantire che i futuri cittadini siano esposti a diverse idee. La scuola pubblica, nell’idea di molti pedagogisti, è un luogo dove il bambino non solo apprende le materie, ma entra in contatto con compagni di differente provenienza sociale e culturale, con insegnanti che rappresentano figure diverse dai genitori, e più in generale con la società plurale. Se l’educazione viene gestita interamente in ambito familiare, alcuni teorici temono che possa generarsi una sorta di “camera dell’eco” educativa: i figli sentono solo punti di vista affini a quelli del nucleo familiare, senza mai confrontarsi con il “diverso” o con opinioni alternative. Questo potrebbe limitare la loro capacità, da adulti, di essere aperti e tolleranti verso chi ha idee o costumi differenti. In Paesi come gli Stati Uniti, dove l’homeschooling è molto diffuso, è stato notato come una parte di questa comunità appartenga a gruppi molto omogenei (ad esempio famiglie ultrareligiose o comunità intenzionali) che spesso scelgono l’istruzione parentale proprio per sottrarre i figli a certi influssi culturali esterni. Da qui deriva la preoccupazione di alcuni studiosi per possibili “deriva settarie”: in assenza di scuola, i bambini potrebbero diventare più vulnerabili all’indottrinamento unilaterale da parte dei genitori, senza contrappesi educativi. D’altro canto, le ricerche empiriche sui giovani adulti che hanno studiato da homeschooler non mostrano in generale un deficit di partecipazione civica. Al contrario, molti ex-studenti parentali risultano attivi nel volontariato, nella vita di comunità e votano quanto (se non più) dei loro coetanei scolarizzati. Questo suggerisce che l’istruzione parentale non implica automaticamente un ritiro dalla società, e che famiglie motivate possono trasmettere ai figli un forte senso civico anche senza la mediazione della scuola. Rimane però il fatto che lo Stato ha un interesse legittimo a monitorare che attraverso l’homeschooling non si verifichino abusi del diritto all’educazione: ad esempio, casi in cui la scelta di non mandare a scuola nasconda volontà di segregazione culturale o di eludere l’obbligo di far conoscere ai minori i principi fondamentali della convivenza democratica. Il bilanciamento tra libertà educativa e assicurazione di una formazione aperta e inclusiva è un nodo delicato nel dibattito.
3. Qualità e completezza dell’istruzione: Un dubbio frequente è se un genitore, per quanto istruito e volonteroso, possa davvero sostituire la scuola nel fornire una preparazione completa in tutte le materie. Insegnare è un mestiere, richiede competenze pedagogiche e grande dedizione; molti si chiedono se tutte le famiglie homeschooler siano in grado di garantire un livello di istruzione pari a quello di docenti qualificati, specialmente man mano che i contenuti diventano più complessi (si pensi alle materie scientifiche avanzate alle scuole superiori). In Italia questo aspetto è parzialmente presidiato dal meccanismo degli esami annuali: il fatto che ogni anno il ragazzo debba dimostrare le sue conoscenze di fronte a una commissione esterna impone alle famiglie uno standard minimo da raggiungere. Inoltre, nulla impedisce ai genitori di avvalersi di risorse aggiuntive: molti, consapevoli dei propri limiti, integrano il proprio insegnamento con tutor privati, corsi online, libri di testo e seguono le linee guida ministeriali per preparare i figli agli esami. Esistono inoltre reti di famiglie che collaborano nello studio di gruppo, dividendosi i compiti in base alle competenze (ad esempio, un genitore laureato in matematica aiuta più ragazzi in quella materia, un altro esperto di lingue cura l’inglese per tutti, e così via). Ciò detto, permane la possibilità che la qualità dell’educazione domestica sia eterogenea: dipende fortemente dal livello culturale dei genitori, dal tempo che possono dedicare, dalle risorse economiche per procurarsi materiali o attività formative. In scenari sfavorevoli – ad esempio famiglie con basso livello d’istruzione o con scarso impegno – l’homeschooling potrebbe tradursi in lacune formative per il ragazzo, soprattutto in assenza del controllo costante che la frequentazione scolastica comporta. Alcuni critici fanno notare anche un paradosso: spesso, per preparare i figli a superare gli esami di idoneità, i genitori finiscono per replicare a casa una struttura scolastica tradizionale, con programmi rigidi e sessioni quotidiane di lezione molto simili a quelle che avrebbero in classe. Questo accade perché temono la bocciatura all’esame ministeriale; così facendo, però, vengono limitati quei margini di sperimentazione e creatività che erano tra le ragioni per scegliere l’istruzione parentale. In sostanza, la pressione degli esami annuali può spingere a un “scuola a casa” piuttosto scolastica, vanificando in parte l’idea di un apprendimento davvero alternativo. Si tratta di una sfida interna alla comunità homeschooler: trovare il giusto equilibrio tra preparare i figli a soddisfare i requisiti formali e, al contempo, innovare la didattica domestica secondo le proprie convinzioni.
4. Impegno familiare e impatto sul nucleo: Un aspetto a volte trascurato è l’enorme impegno richiesto ai genitori che scelgono di educare in casa. Assumere il doppio ruolo di genitore e insegnante significa investire quotidianamente tempo, energie mentali ed emotive nell’istruzione dei figli, con la necessità di pianificare lezioni, seguire compiti, fare ricerca di materiali, organizzare attività formative. Questo può portare a stress e stanchezza (burnout) nel genitore, soprattutto se in famiglia vi sono più bambini di età diverse da seguire contemporaneamente. Frequentemente uno dei due genitori – molto spesso la madre, dato che nella nostra società ancora gran parte del carico educativo ricade sulle donne – deve rinunciare del tutto o in parte alla propria attività lavorativa per dedicarsi all’homeschooling. Ciò comporta anche un impatto economico non banale: vivere con un solo stipendio o con redditi ridotti è una scelta che non tutte le famiglie possono permettersi, il che rende l’istruzione parentale un’opzione più praticabile per nuclei familiari con una certa solidità finanziaria o con stili di vita frugali. Inoltre, chi insegna ai figli in prima persona può sperimentare momenti di frustrazione: ad esempio se il bambino oppone resistenza allo studio, oppure se sorgono conflitti nel rapporto genitore-figlio quando si tratta di fare “lezione”. La sfera familiare e quella educativa rischiano di sovrapporsi continuamente, senza i naturali momenti di pausa che la scuola tradizionale offrirebbe (il genitore insegnante “non stacca mai” dal suo ruolo). Alcune famiglie, dopo aver provato per un certo periodo, decidono infatti di interrompere l’esperienza homeschool perché la trovano troppo gravosa o perché notano un deterioramento della serenità familiare. In questi casi il ritorno a scuola può essere vissuto come un insuccesso sia dai genitori che dai figli, con possibili strascichi psicologici. Tutto ciò evidenzia che l’homeschooling non è adatto né sostenibile per chiunque: richiede risorse, capacità organizzative, equilibrio emotivo e una rete di supporto. Le famiglie che hanno successo in questo percorso spesso creano comunità di mutuo aiuto con altre famiglie, oppure usufruiscono di consulenze di pedagogisti, di tutor e di strumenti didattici professionali. Chi invece affronta l’istruzione parentale in solitudine può andare incontro a maggiori difficoltà.
5. Sorveglianza dei minori e tutela dai rischi: Un’ultima criticità riguarda la mancanza del “controllo sociale” che la scuola garantisce. Nella scuola tradizionale, oltre agli aspetti educativi, c’è un monitoraggio quotidiano dei bambini da parte di figure esterne alla famiglia (insegnanti, personale scolastico, ecc.). Questo fa sì che eventuali problemi – che si tratti di difficoltà di apprendimento, segnali di disagio psicologico, o addirittura sospetti di maltrattamento – possano emergere all’attenzione delle autorità o dei servizi sociali. Nel caso dell’istruzione parentale, il minore trascorre la gran parte del tempo nel contesto familiare, senza contatti regolari con educatori professionali esterni. Alcuni temono che ciò possa rendere più difficile intercettare situazioni di abuso o trascuratezza ai danni del bambino, qualora (si spera raramente) fossero presenti. In altre parole, la scuola funge anche da “antenna” di protezione: un bambino che non la frequenta potrebbe scivolare sotto il radar delle istituzioni. Va comunque ribadito che in Italia un certo livello di controllo rimane: il contatto annuale con la scuola per gli esami di idoneità offre almeno un’occasione periodica per “vedere” il ragazzo e valutare se sta bene e progredisce. Inoltre, spesso le famiglie homeschooler sono in contatto con pediatri, psicologi o altri professionisti per varie attività, quindi non è detto che vivano isolate dal mondo. Tuttavia, il timore di alcuni esperti è che l’homeschooling, se praticato da genitori gravemente inadeguati o con intenzioni dolose, possa diventare uno schermo dietro cui nascondere violazioni dei diritti del minore. È un’eventualità estrema e certamente non la norma, ma viene citata nei dibattiti come monito a non abbassare la guardia sulla necessità di verificare le condizioni dei bambini educati a casa.
In definitiva, il dibattito sulle criticità dell’istruzione parentale evidenzia una tensione di fondo: da un lato il riconoscimento della libertà educativa e dei buoni risultati che questa scelta può avere in contesti ben gestiti; dall’altro la preoccupazione di garantire che ogni bambino, anche fuori dalla scuola, riceva un’educazione di qualità e una crescita sociale equilibrata. Gran parte delle soluzioni dipendono sia dalla responsabilità delle famiglie (che devono essere consapevoli dei propri limiti e attivarsi per colmarli), sia dalla presenza delle istituzioni (che possono offrire supporto, linee guida, momenti di verifica non punitivi ma collaborativi). L’Italia, attraverso l’obbligo di esami annuali, ha scelto una via di mezzo che cerca di conciliare autonomia e controllo. Non tutti sono d’accordo se questa sia la formula ideale: c’è chi vorrebbe più libertà (ritenendo gli esami un intralcio burocratico) e chi invoca più supervisione (temendo zone d’ombra nell’applicazione pratica). Probabilmente il confronto su questi temi è destinato a proseguire man mano che il fenomeno evolve.
L’istruzione parentale all’estero: modelli a confronto
Le discussioni italiane sull’homeschooling si inseriscono in un contesto internazionale molto variegato. Nei paesi occidentali troviamo approcci normativi diversissimi, che vanno dal divieto assoluto alla piena libertà educativa per le famiglie. Un rapido confronto con alcuni casi emblematici aiuta a capire dove si colloca l’Italia.
Germania: la Germania rappresenta l’esempio più citato di divieto dell’istruzione parentale. Qui la frequentazione della scuola è obbligatoria per legge sin dal primo dopoguerra (la norma, in realtà, risale al periodo della Germania guglielmina ed è stata poi irrigidita sotto il regime nazista negli anni ’30). Ancora oggi la Schulpflicht tedesca impone che tutti i bambini frequentino una scuola riconosciuta: l’homeschooling è di fatto illegale. Le famiglie che provano a istruire i figli in casa senza autorizzazione vanno incontro a sanzioni anche pesanti (multe salate, e in casi estremi la perdita della patria potestà). Le autorità tedesche giustificano questa linea dura con la necessità di proteggere il diritto all’istruzione del minore e favorire la sua integrazione sociale: si ritiene che stare a contatto con compagni e insegnanti sia insostituibile per crescere come membri attivi della comunità. La Corte Costituzionale federale ha più volte confermato la legittimità del divieto, sostenendo che il pluralismo educativo trova comunque spazio nel sistema scolastico (esistono scuole di vario orientamento, anche confessionali, ma sempre sotto supervisione statale) e che lo Stato deve prevenire la formazione di circuiti paralleli fuori dal controllo pubblico. La Germania è piuttosto isolata su questa posizione in Europa occidentale, ma rimane ferma: i pochi casi di famiglie tedesche ostinate nell’homeschooling spesso finiscono per trasferirsi all’estero pur di poter educare i figli come vogliono.
Francia: fino a pochi anni fa la Francia aveva un approccio relativamente liberale simile a quello italiano. L’istruzione en famille era consentita, con l’obbligo di dichiarazione annuale e ispezioni educative periodiche da parte delle autorità locali per verificare il progresso dei bambini. Tuttavia, dal 2022 la Francia ha introdotto regole molto più restrittive. Nel 2021 è stata approvata una legge (nell’ambito delle misure contro il “separatismo” religioso e l’isolamento sociale) che ha cambiato radicalmente la prospettiva: adesso i genitori francesi che vogliono fare homeschooling devono richiedere un’autorizzazione allo Stato. L’autorizzazione viene concessa soltanto in casi limitati, ad esempio: motivi di salute del bambino che impediscono la frequenza, disabilità particolari, esigenze legate a attività sportive o artistiche di alto livello, oppure situazioni eccezionali come famiglie itineranti. In assenza di una di queste motivazioni riconosciute, non è più permesso istruire i figli a casa. Questa stretta normativa è stata giustificata dal governo francese con la volontà di contrastare fenomeni di radicalizzazione e ghettizzazione (si temeva che alcune comunità, soprattutto di matrice fondamentalista, usassero l’istruzione parentale per sottrarre i bambini ai valori repubblicani e al controllo civico). La decisione ha suscitato proteste da parte delle associazioni di homeschooler francesi, che rivendicavano la libertà educativa, ma la legge è entrata in vigore. In sintesi, la Francia è passata da un regime permissivo a uno autorizzativo: l’homeschooling c’è ma diventa l’eccezione, vigilata strettamente dallo Stato caso per caso. Questo ha reso la situazione francese molto più vicina al modello restrittivo tedesco rispetto al passato, segnando un cambiamento culturale significativo in nome dell’interesse pubblico.
Regno Unito: diametralmente opposta è la tradizione del Regno Unito (in particolare in Inghilterra e Galles; Scozia e Irlanda del Nord hanno sistemi analoghi con piccole differenze). Nel sistema britannico l’educazione parentale è pienamente ammessa e storicamente poco regolamentata. Vige il principio legale per cui l’istruzione è obbligatoria, ma non è obbligatorio che avvenga a scuola (“education otherwise than at school” è l’espressione utilizzata). In pratica, i genitori possono fin da subito decidere di non iscrivere il figlio a scuola e occuparsene direttamente, oppure possono ritirarlo dalla scuola in qualsiasi momento (previa comunicazione scritta) per passare all’home education. Non esiste un registro nazionale degli homeschooler e non è richiesto un programma approvato a priori: si lascia ai genitori il compito di assicurare un’istruzione adatta al figlio. Le autorità locali hanno facoltà di intervenire solo se hanno motivo di credere che il bambino non stia ricevendo alcuna istruzione adeguata – in tal caso possono emettere un notice e in estrema ipotesi ordinare l’iscrizione forzata a scuola – ma in assenza di segnali di allarme, la famiglia non è soggetta a verifiche scolastiche regolari né a esami obbligatori. Negli ultimi anni nel dibattito pubblico britannico sono emerse preoccupazioni proprio sulla mancanza di monitoraggio: alcuni casi di minori scomparsi dal radar o vicende di abusi sfuggiti perché i bambini non erano a scuola hanno portato a proposte di riforma. Il governo del Regno Unito ha discusso l’idea di istituire un registro obbligatorio dei bambini educati a casa e linee guida più stringenti per i controlli da parte dei comuni. Al momento, però, non c’è ancora una legislazione unificata in tal senso. Pertanto il modello britannico rimane uno dei più liberi: l’homeschooling è considerato un diritto dei genitori nell’ambito di un’interpretazione ampia della libertà individuale, coerente con la tradizione giuridica di common law che privilegia l’autonomia privata finché non emergono problemi. Da notare che proprio grazie a queste poche barriere il numero di homeschooler nel Regno Unito è cresciuto molto, arrivando – secondo stime recenti – a contare decine di migliaia di bambini (si parla di oltre 60.000 minori che non vanno a scuola). Anche qui il Covid ha accelerato il trend, e si attendono possibili aggiustamenti normativi per garantire un miglior equilibrio tra libertà e tutela.
Stati Uniti: gli USA costituiscono un caso a sé, data la grande popolazione e la struttura federale. L’homeschooling negli Stati Uniti è legale in tutti e 50 gli stati, ma le normative variano sensibilmente da stato a stato. In generale, dagli anni ’80 in poi c’è stata una liberalizzazione: grazie anche alla pressione di attivi movimenti di famiglie, oggi ogni stato consente l’istruzione parentale, ma con requisiti molto differenti. In alcuni stati considerati “high regulation” i genitori devono notificare annualmente la loro scelta, presentare un piano formativo, far sostenere ai figli test standardizzati periodici o far valutare i progressi da un insegnante certificato. In altri stati, di “low regulation”, basta magari una semplice comunicazione iniziale (o neppure quella) e poi i genitori sono lasciati liberi di procedere senza inviare rapporti né sottoporre il figlio ad esami ufficiali fino al termine della scuola superiore. Questo significa che negli USA la responsabilità è fortemente in capo alle famiglie, e il ruolo dello Stato varia dal monitoraggio costante all’assenza quasi totale di controllo a seconda di dove ci si trovi. Nonostante questa frammentazione, gli Stati Uniti sono il paese occidentale con il più alto numero di homeschooler in assoluto: si stima che oltre 3% degli studenti americani (cioè diversi milioni di bambini e ragazzi) studino a casa. In alcuni periodi recenti la percentuale è salita ancora (durante la pandemia arrivò temporaneamente a superare il 5%), per poi assestarsi. Le ragioni della scelta negli USA sono molto eterogenee: dalle famiglie evangeliche che rigettano il curriculum laico delle scuole pubbliche, a genitori progressisti insoddisfatti della scuola locale e desiderosi di un’educazione più stimolante, fino a casi legati a particolari esigenze personali. Insomma, un panorama amplissimo. Ciò che accomuna gli Stati Uniti al Regno Unito (pur nelle differenze legislative) è la forte enfasi sul diritto dei genitori di determinare l’educazione dei figli, considerato quasi inviolabile se non in presenza di abusi conclamati. Questo ha creato negli anni anche un florido “mercato” di materiali per homeschooling, reti di co-op (gruppi di famiglie che si riuniscono per fare scuola insieme qualche giorno a settimana), nonché vere e proprie fiere e associazioni dedicate a sostenere chi educa a casa. In sintesi gli USA rappresentano l’estremo più liberalizzato del ventaglio: massima fiducia nelle famiglie e minimo intervento statale, con l’idea che la concorrenza di idee educative sia essa stessa un valore.
Italia: collocando l’Italia in questo scenario, possiamo dire che il nostro paese adotta una posizione intermedia. L’istruzione parentale è consentita (come nei paesi anglosassoni), ma esistono obblighi di comunicazione ed esami (in ciò avvicinandoci più al modello europeo continentale moderato). Siamo certamente lontani dal proibizionismo tedesco e dalla stretta francese, ma allo stesso tempo non arriviamo alla deregolamentazione anglo-americana. L’Italia garantisce la libertà di scelta educativa ai genitori, ma la esercita entro un quadro di “libertà vigilata”, dove l’autonomia delle famiglie è bilanciata da procedure burocratiche e verifiche annuali piuttosto impegnative. Questa collocazione mediana fa sì che il dibattito interno italiano possa guardare sia alle esperienze straniere più permissive (per argomentare a favore di un allentamento dei controlli), sia a quelle più restrittive (per chi invece auspica maggior rigore, temendo un boom incontrollato del fenomeno). In ogni caso, il confronto internazionale mostra che non esiste una linea comune univoca: ogni paese regola l’homeschooling secondo la propria storia, cultura e sensibilità rispetto al rapporto tra Stato, famiglia e istruzione.
Guida pratica per le famiglie: come funziona l’istruzione parentale in Italia
Per le famiglie italiane che, valutati pro e contro, intendono intraprendere il percorso dell’educazione parentale, è utile riepilogare in concreto quali passi compiere e quali sono gli adempimenti richiesti dalla legge. Di seguito una sintetica guida operativa:
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Comunicazione annuale di istruzione parentale: All’inizio di ogni anno scolastico, il genitore deve presentare una dichiarazione di istruzione parentale. Questo documento va indirizzato al Dirigente Scolastico della scuola pubblica (statale) del territorio di residenza che sarebbe competente per l’iscrizione del figlio. Nella comunicazione si notifica ufficialmente che si provvederà personalmente all’istruzione del minore per l’anno in corso. È importante includere nella lettera l’assunzione di responsabilità circa l’adempimento dell’obbligo di istruzione e l’attestazione del possesso delle capacità tecniche ed economiche per farlo. In pratica, i genitori dichiarano di avere i mezzi culturali e materiali per istruire il figlio. La comunicazione va rinnovata ogni anno, generalmente prima dell’inizio dell’anno scolastico (spesso entro la scadenza delle iscrizioni scolastiche o comunque entro i primi giorni di scuola).
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Programmare e svolgere l’istruzione in casa (o in altra forma privata): Una volta inviata la comunicazione, la famiglia deve concretamente organizzare l’educazione del bambino. La legge italiana non prescrive un metodo didattico specifico per l’istruzione parentale: i genitori possono insegnare direttamente, oppure avvalersi di insegnanti privati, tutor online, corsi a distanza, materiali autodidattici, o ancora possono consorziarsi con altre famiglie. Alcune scelgono di creare piccole “scuole parentali” informali, dove gruppi di bambini seguiti dai rispettivi genitori (a turno o insieme) apprendono collettivamente. Qualunque sia la modalità, resta fondamentale che il percorso copra le discipline e le competenze previste per la classe di riferimento del bambino. È consigliabile consultare le Indicazioni Nazionali del MIUR (Ministero dell’Istruzione) per avere chiari gli obiettivi formativi attesi a quella età, così da preparare adeguatamente il ragazzo all’esame. Durante l’anno, è utile mantenere un registro delle attività svolte e dei progressi del bambino, anche se non è formalmente obbligatorio presentarlo: potrà servire come riferimento per i genitori stessi e in caso il dirigente scolastico o gli ispettori vogliano approfondire il percorso seguito.
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Iscrizione e svolgimento dell’esame di idoneità: Questo è un passaggio cruciale. Entro la fine dell’anno scolastico (di solito nel mese di giugno), l’alunno in istruzione parentale deve sostenere l’esame di idoneità per la classe frequentata. Occorre quindi contattare una scuola statale o paritaria (spesso la stessa a cui è stata inviata la dichiarazione, ma può essere anche un’altra, purché ci sia accordo) per iscrivere il proprio figlio come candidato privatista all’esame. L’esame di idoneità verte sui programmi dell’anno scolastico appena svolto: ad esempio, un bambino di 3ª elementare in homeschooling farà un esame di idoneità agli obiettivi di 3ª elementare, per poter poi accedere alla 4ª. L’esame tipicamente consiste in prove scritte e orali sulle materie fondamentali, secondo le modalità stabilite da quella scuola (che devono comunque seguire la normativa ministeriale). È importante informarsi con anticipo presso la scuola scelta sulle date, materie e criteri dell’esame, in modo da prepararsi al meglio. Se il bambino supera l’esame, la scuola rilascerà un certificato di idoneità alla classe successiva. Questo documento attesta che l’obbligo di istruzione per quell’anno è stato assolto con successo e permette al minore di proseguire l’istruzione parentale l’anno seguente (o, se la famiglia lo desidera, di rientrare eventualmente nel sistema scolastico nella classe appropriata).
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In caso di non superamento dell’esame: Se lo studente non supera l’esame di idoneità, la normativa prevede che debba essere iscritto ad una scuola statale o paritaria per l’anno successivo. In altre parole, la bocciatura interrompe la possibilità di continuare con l’istruzione parentale, almeno temporaneamente, perché si considera che il minore non abbia raggiunto gli obiettivi minimi a casa e debba quindi rientrare nel percorso scolastico tradizionale per recuperare. La famiglia, qualora lo ritenga e ne abbia motivo, può valutare di presentare ricorso o richiedere una nuova prova, ma sono situazioni eccezionali: nella maggior parte dei casi, un esito negativo implica il ritorno a scuola del bambino nell’anno seguente, nella stessa classe che non ha ottenuto l’idoneità. È quindi fondamentale preparare con cura il ragazzo per evitare lacune significative.
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Ripetere la procedura ogni anno fino al termine dell’obbligo: L’iter comunicazione -> educazione a casa -> esame di idoneità si ripete per ogni anno scolastico finché dura l’obbligo di istruzione (ossia fino al 16º anno di età, corrispondente grosso modo alla fine del biennio delle superiori). Ogni anno la famiglia dovrà inviare una nuova dichiarazione di intento al dirigente e ogni anno il ragazzo dovrà affrontare l’esame finale. Al compimento dei 16 anni, l’obbligo di legge termina: da quel punto in poi, il giovane può decidere di interrompere gli studi oppure di proseguirli. Se la famiglia intende continuare la formazione in casa anche per gli ultimi anni delle superiori, potrà farlo (non serviranno più dichiarazioni annuali, essendo finito l’obbligo), ma in vista del diploma dovrà iscrivere lo studente come candidato privatista all’Esame di Stato conclusivo. In pratica, al termine del quinto anno di superiori il ragazzo potrà sostenere la Maturità da esterno, ottenendo un diploma ufficiale al pari degli studenti delle scuole. Questo passaggio riguarda però un livello post-obbligo; molte famiglie homeschooler decidono di reinserire i figli in una scuola superiore per gli ultimi anni, altre invece proseguono in autonomia fino alla fine: è una scelta aperta in base alle circostanze e alla preparazione acquisita.
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Rapporti con le istituzioni e utilizzo di risorse: Durante il percorso di istruzione parentale è consigliabile mantenere un dialogo collaborativo con le istituzioni scolastiche. Rispondere con puntualità ad eventuali richieste di colloquio o di informazioni da parte del dirigente scolastico può aiutare a mostrare la serietà del proprio progetto educativo. Non di rado le scuole apprezzano se i genitori forniscono, all’atto della dichiarazione annuale, anche una sorta di sintesi del progetto didattico che intendono seguire (pur non essendo formalmente obbligatorio, allegare un piano di studi può prevenire equivoci e rassicurare sulla qualità dell’istruzione impartita). Inoltre, le famiglie possono avvalersi di supporto esterno: esistono associazioni di homeschooling in Italia che offrono consulenza legale e pedagogica, gruppi di incontro per far socializzare i bambini, nonché piattaforme online dove scambiare materiali e consigli. Anche alcune scuole paritarie forniscono programmi di istruzione parentale a distanza, con verifiche intermedie e tutoraggio, per chi preferisce un percorso più strutturato. Tutto questo non sostituisce l’impegno diretto dei genitori, ma può rendere più sostenibile e completo il percorso educativo.
Seguendo questi passi, una famiglia può dunque gestire in maniera regolare l’istruzione parentale, nel rispetto delle norme italiane e garantendo ai figli sia la libertà di un apprendimento personalizzato sia il riconoscimento istituzionale del loro progresso scolastico. È un cammino che richiede consapevolezza, organizzazione e dedizione, ma che alcune famiglie trovano adeguato alle proprie aspirazioni e ai bisogni dei figli. L’importante è ricordare che, se intrapreso, deve essere portato avanti con senso di responsabilità: l’istruzione parentale, per legge e per etica, non è un semplice “non mandare a scuola”, bensì l’assunzione in prima persona di un compito educativo fondamentale, in collaborazione con lo Stato che ne verifica gli esiti. In questo equilibrio tra libertà privata e interesse pubblico risiede la sfida e la particolarità dell’homeschooling in Italia.









