Una galassia di ruoli, percorsi e possibilità
Formare, educare, insegnare: non sono la stessa cosa, ma si somigliano. Si parte da punti diversi, si lavora in contesti diversi, ma in fondo si parla sempre di costruire qualcosa con e per gli altri. In Italia, come nel resto d’Europa, ci sono regole precise per chi vuole fare questo mestiere. Dipende da dove vuoi lavorare (nido, scuola, formazione adulti), con chi, e in che ruolo.
Per insegnare a scuola il percorso è chiaro: chi punta all’infanzia o alla primaria deve iscriversi alla magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria (dura 5 anni ed è a numero chiuso). Chi invece vuole insegnare alle medie o alle superiori ha bisogno prima di una magistrale nella materia che vuole insegnare, poi di un percorso abilitante da 60 CFU, e infine deve superare il concorso.
Chi ha in mente i nidi o i servizi educativi per i bambini più piccoli, deve partire dalla triennale in Scienze dell’educazione (classe L-19), scegliendo un piano di studi pensato per la prima infanzia. Se poi si vuole salire di ruolo e magari coordinare un servizio, serve anche la magistrale in area pedagogica.
Gli educatori professionali socio-pedagogici lavorano in comunità per minori, centri diurni, servizi sociali: servono competenze pedagogiche solide e tanta capacità di stare nella relazione. Anche qui, la L-19 è il titolo di accesso, ma sono fondamentali le esperienze sul campo. Per diventare pedagogista, invece, serve una magistrale (LM-85, LM-57, LM-50).
Il formatore, infine, è una figura più fluida: lavora nella formazione professionale, nella formazione continua per adulti, nella consulenza aziendale. Spesso arriva da percorsi diversi: lauree umanistiche o economiche, master in risorse umane o formazione degli adulti.

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Un settore con molti bisogni (e molte contraddizioni)
In Italia oltre il 50% degli insegnanti ha più di 50 anni. Questo significa una cosa semplice: nei prossimi anni ci sarà bisogno di nuove leve. Servono insegnanti, in particolare di sostegno, di materie scientifiche, e nelle scuole del Nord. Lo dicono i dati del Ministero, lo confermano i numeri di chi va in pensione ogni anno. Anche nei servizi educativi territoriali e nella formazione per adulti si prevede una crescita, spinta dai fondi PNRR e dalla transizione digitale.
Chi si laurea in Scienze della formazione primaria ha un tasso di occupazione superiore all’88% a cinque anni dal titolo. Chi esce da Scienze dell’educazione trova lavoro nel 78% dei casi entro un anno. Non è poco, considerando le difficoltà del mercato del lavoro in altri settori umanistici.
Ma non basta dire che il lavoro c’è. Bisogna anche dire com’è. E qui viene il lato meno patinato della questione: precarietà, carichi emotivi, stipendi bassi, burocrazia. È un mestiere che può stancare, se lo si vive da soli, se non si ha una comunità professionale intorno, se non si ha tempo per la formazione continua. Come racconta Marta, 28 anni, insegnante di scuola primaria a Torino: «A scuola ho trovato la mia strada, ma non è un cammino in discesa. Le giornate sono intense, tra preparazione, consigli, riunioni, genitori. Ma i bambini… quelli ti cambiano lo sguardo. E allora capisci perché sei lì».
Come orientarsi (davvero)
Per scegliere questo percorso serve prima di tutto ascoltarsi. Non è solo una questione di materie che piacciono, ma di disponibilità alla relazione, di empatia, di capacità di adattarsi. Gli strumenti per orientarsi ci sono: i test attitudinali, le esperienze di volontariato, i colloqui con tutor o professionisti, i tirocini durante l’università. Tutti passaggi che aiutano a capire se davvero è questo il posto giusto.
Servono anche competenze: soft skills come la comunicazione, l’ascolto, la gestione del gruppo. E hard skills: conoscenze disciplinari, competenze didattiche, digitali, metodologiche. Sempre più, la formazione iniziale chiede a chi vuole educare di essere educato a farlo, con serietà.
Un lavoro che cambia, che cambia le persone
Fare l’insegnante, l’educatore o il formatore non è solo un lavoro. È un mestiere che trasforma chi lo fa. Che chiede cura, studio continuo, confronto. Che obbliga a fare i conti con le emozioni, con le fatiche, ma anche con una soddisfazione rara: quella di vedere qualcuno crescere, imparare, trovare la sua strada.
Ecco perché, nonostante le difficoltà, migliaia di giovani ogni anno scelgono questo percorso. Perché non è una professione qualsiasi. È una scelta che riguarda il futuro. Il proprio, e quello degli altri.
