Guida completa alle università online in Italia: storia, regolamentazione e tendenze future

Dalle origini fino ai trend attuali e futuri: andiamo alla scoperta delle università telematiche italiane.

di Lucia Resta
6 ottobre 2025
1 MIN READ

C’è stato un momento in cui le università telematiche sembravano solo una soluzione di emergenza. Un’alternativa per chi non poteva permettersi orari fissi, spostamenti, aule affollate. Poi è arrivata la pandemia, e con essa un’accelerazione che ha cambiato tutto: oggi l’università online è una realtà strutturata, consolidata, frequentata ogni anno da oltre 200.000 studenti in tutta Italia.

Ma ridurre tutto a una questione di numeri sarebbe miope. Il vero cambiamento è culturale: non sono più solo gli studenti-lavoratori a scegliere le telematiche, ma anche diplomati, professionisti, neogenitori, residenti all’estero. In altre parole, persone con percorsi di vita diversi che trovano nell’università digitale uno strumento per rimettersi in gioco.

Però attenzione: per orientarsi davvero in questo mondo in espansione serve qualcosa di più di un elenco di corsi o di una classifica. Serve capire come tutto è cominciato, quali regole governano questi atenei, come si è evoluta la qualità dell’offerta formativa, e soprattutto dove sta andando questo modello nei prossimi anni.

Le origini delle università telematiche in Italia

Oggi se ne parla ovunque, ma l’università telematica in Italia non è affatto una novità degli ultimi anni. È un’idea che ha cominciato a prendere forma più di vent’anni fa, ben prima che la pandemia spingesse tutto e tutti verso la didattica a distanza.

La svolta arriva nel 2003, quando il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca decide di fare un passo importante: riconoscere ufficialmente l’esistenza di un nuovo modello di università. Un modello che non avrebbe più bisogno di aule, né di sedi fisiche, ma che si sarebbe basato interamente su piattaforme digitali.

La data da segnare è il 17 aprile 2003, quando viene pubblicato un decreto ministeriale che stabilisce, nero su bianco, che anche le università “a distanza” possono rilasciare titoli con pieno valore legale, a patto di rispettare determinati standard. Da quel momento, tutto cambia.

I primi passi: Marconi e Uninettuno

Le prime a partire sono due università che ancora oggi fanno parte del sistema ufficiale:

  • La Guglielmo Marconi, che apre i battenti nel 2004 e diventa il primo ateneo telematico riconosciuto in Italia. Nata con un’impostazione piuttosto classica, punta fin da subito su un’offerta formativa completa e un’interfaccia vicina a quella delle università tradizionali.
  • L’Uninettuno, invece, nasce da un’esperienza più innovativa, quella del consorzio NETTUNO, che già dagli anni ’90 trasmetteva lezioni via satellite. È orientata da subito all’internazionalizzazione, con corsi in diverse lingue e una forte vocazione tecnologica.

Due anime diverse, ma complementari. Due modi di intendere l’università online: uno più istituzionale, l’altro più aperto e sperimentale.

Un cambiamento più profondo di quanto sembri

Ma perché tutto questo è stato così importante? Perché per la prima volta, in Italia, si è cominciato a sganciare il concetto di “università” dalla presenza fisica. Non era più necessario trasferirsi in un’altra città, sostenere costi per vivere vicino all’ateneo o incastrare tutto tra orari e spostamenti. L’università — per la prima volta — poteva arrivare a casa tua, su uno schermo, quando e dove volevi.

È stato un cambio di prospettiva enorme. Non solo tecnologico, ma culturale. Un modo nuovo di pensare allo studio, all’accesso al sapere, all’idea stessa di diritto allo studio. E anche se all’inizio il modello è stato guardato con un certo scetticismo (in parte ancora oggi), ha posto le basi per un’evoluzione che, negli anni, ha coinvolto sempre più studenti, più corsi, più atenei.
Ora possiamo vedere come questo modello è cresciuto, diventando non più una semplice alternativa, ma una vera e propria parte integrante del sistema universitario italiano.

L’evoluzione del modello: da alternativa a opzione strutturale

Quando le università telematiche hanno fatto il loro ingresso ufficiale in Italia, erano viste da molti come una specie di esperimento. Un’alternativa per chi era fuori dai percorsi universitari “tradizionali”: lavoratori, adulti, persone con esigenze particolari. Un’idea interessante, certo. Ma per tanti, all’epoca, non ancora una vera opzione universitaria a pieno titolo.

E invece, anno dopo anno, quel modello ha cominciato a crescere. Non in modo clamoroso, ma con una costanza che ha fatto la differenza. All’inizio erano pochi gli atenei riconosciuti: Guglielmo Marconi e Uninettuno, poi eCampus, Pegaso, Unitelma, e via via gli altri. Nel 2025, sono 11 le università telematiche ufficialmente riconosciute dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Nessuna “scuola privata”: tutte accreditate, controllate, valutate. E anche i numeri, lentamente ma senza sosta, sono cambiati.

Crescita continua (e non solo post-Covid)

Molti pensano che il boom delle università online sia iniziato con la pandemia. In parte è vero: tra il 2020 e il 2022, la didattica a distanza è diventata una necessità per tutti, e il modello telematico ha guadagnato legittimità. Ma la crescita era già in atto prima, e ha continuato anche dopo, quando le università tradizionali sono tornate in aula.

Nel 2025, più di 200.000 studenti risultano iscritti a un’università telematica in Italia. Un numero che rappresenta circa un quinto del totale delle immatricolazioni a livello nazionale. E non si tratta solo di studenti “di ripiego” o di percorsi secondari. Sempre più giovani scelgono una telematica come prima opzione, anche appena usciti dalle scuole superiori. Perché possono studiare da casa, mantenere un lavoro part-time, evitare trasferimenti. Perché possono costruirsi un percorso più adatto al loro stile di vita.

Da margine a sistema

Quello che prima sembrava un settore ai margini, oggi è una componente stabile e riconosciuta del sistema universitario italiano. Le università telematiche non sono più “le cugine digitali” delle università tradizionali. Sono parte dello stesso ecosistema, con regole, vincoli e responsabilità comuni. Con l’aggiunta di un vantaggio non da poco: sono nate digitali. Non hanno dovuto “adattarsi” alla tecnologia: l’hanno usata da subito, e questo le rende più reattive, più agili, più in linea con le esigenze di una popolazione studentesca sempre più eterogenea.

Cosa dice la legge: riconoscimento, accreditamento e controlli

Una delle domande che molti si fanno quando sentono parlare di “università telematica” è: “Ma è legale? Vale davvero come un’università normale?” e la risposta è semplice, ma merita una spiegazione. Sì, le università telematiche riconosciute dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) sono a tutti gli effetti università legali, con gli stessi obblighi, gli stessi diritti e lo stesso valore giuridico degli atenei “in presenza”. Il percorso normativo che le regola non è improvvisato, né recente: è frutto di una cornice costruita passo dopo passo.

Il decreto che ha dato il via

Tutto inizia con il già citato Decreto Ministeriale del 17 aprile 2003, che istituisce le università telematiche come una nuova tipologia di ateneo, autorizzata a rilasciare titoli di studio universitari (laurea triennale, magistrale, master, dottorato) valutati allo stesso modo di quelli ottenuti nelle università tradizionali.

Il decreto stabilisce che:

  • le università telematiche devono essere autorizzate dal MUR, previo accertamento dei requisiti minimi;
  • devono sottoporsi a valutazioni periodiche;
  • devono dimostrare di garantire qualità didattica e trasparenza, anche a distanza.

In sostanza, non basta aprire una piattaforma online per diventare università telematica. Serve una struttura regolamentata, verificata, accreditata.

Il ruolo dell’ANVUR

Il controllo della qualità non è lasciato al caso. Ogni università — sia telematica che tradizionale — è sottoposta alla vigilanza dell’ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca.
L’ANVUR si occupa di:

  • valutare ogni cinque anni l’accreditamento istituzionale degli atenei;
  • analizzare i risultati della didattica, della ricerca, dei servizi agli studenti;
  • definire se un ateneo può mantenere o perdere l’autorizzazione ad attivare nuovi corsi.

Se un’università telematica non supera la valutazione ANVUR, può essere bloccata, limitata o — nei casi più gravi — esclusa dal sistema. È già successo in passato, segno che i controlli non sono solo formali.

Valore legale dei titoli: nessuna differenza

Forse il punto più importante: una laurea ottenuta in un’università telematica riconosciuta dal MUR ha lo stesso valore legale di una laurea in presenza. Vuol dire che:

  • puoi usarla per partecipare a concorsi pubblici;
  • puoi iscriverti agli albi professionali, dove previsto l’esame di Stato;
  • puoi accedere a master universitari, corsi di specializzazione, dottorati;
  • ha piena validità anche nel mondo del lavoro privato.

Il nome dell’ateneo può cambiare la percezione (come succede anche per le università tradizionali), ma il valore del titolo di studio è identico per legge.

Come funziona davvero un’università telematica oggi

Per capire davvero cos’è un’università telematica, bisogna andare oltre le definizioni formali. Serve entrare nel concreto: come si studia? come si seguono le lezioni? come si sostengono gli esami? E, soprattutto, in cosa differisce — davvero — rispetto a un’università tradizionale? La risposta breve è che cambia la forma, non la sostanza. Quella lunga, la vediamo adesso.

Lezioni asincrone: il cuore del sistema

Nella maggior parte delle università telematiche, le lezioni sono registrate e disponibili su una piattaforma digitale accessibile 24 ore su 24. Non ci sono orari fissi né obblighi di presenza. Significa che puoi studiare quando vuoi e da dove vuoi: dal computer, dal tablet, dallo smartphone. Ogni corso di laurea ha il suo calendario, i suoi materiali, i suoi docenti. Le videolezioni sono spesso suddivise in moduli brevi, accompagnati da slide, letture consigliate, esercitazioni e test di autovalutazione. Questo approccio asincrono è la vera chiave della flessibilità: permette di conciliare studio e lavoro, genitorialità, sport, o qualsiasi altra esigenza.

I tutor: meno cattedra, più accompagnamento

Nonostante la distanza, non sei mai del tutto solo. Le università telematiche prevedono quasi sempre tutor di corso, cioè figure di supporto didattico a cui puoi scrivere in caso di dubbi, difficoltà, chiarimenti.

In alcuni atenei — come Pegaso, Unitelma o Giustino Fortunato — ci sono anche tutor personali assegnati allo studente, che aiutano a pianificare lo studio e a organizzare gli esami. In altri casi, il supporto avviene tramite forum, chat, e-mail o videochiamate periodiche. Il rapporto è meno “frontale” rispetto a un’aula, ma potenzialmente più personalizzato — se lo sai utilizzare.

Gli esami: online, in sede, o entrambe le cose

La modalità di esame varia da università a università. Alcune, come eCampus o San Raffaele, richiedono presenza fisica in sede per sostenere le prove scritte o orali. Altre, come Uninettuno o IUL, permettono esami da remoto tramite piattaforme sicure con sorveglianza online. Molte università, come Pegaso o Mercatorum, offrono entrambe le opzioni, lasciando allo studente la scelta tra più sedi d’esame (chiamati poli didattici) e sessioni online.

Anche le tipologie di prova variano: ci sono esami a risposta multipla, a domande aperte, orali in videochiamata, test a tempo, elaborati da caricare. Il mito dell’esame “facile” è ormai superato: i controlli ci sono, e il livello di difficoltà è molto simile a quello delle università tradizionali — a volte anche più selettivo, perché digitalizzato.

Ogni ateneo ha le sue regole

Pur essendo tutte regolate dal MUR, le università telematiche non sono tutte uguali. Ogni ateneo ha la sua piattaforma, le sue modalità d’esame, i suoi tempi, il suo approccio didattico. Alcune offrono più appelli l’anno (fino a 10 o 12 sessioni), altre ne hanno meno ma più strutturati. Alcune prevedono la possibilità di iniziare in qualsiasi momento, altre seguono un calendario semestrale più rigido. Ci sono atenei con moltissimi corsi attivi (come eCampus, Pegaso, Uninettuno), e altri con un’offerta più selezionata e verticale.

Se vuoi capire quale si adatta meglio al tuo stile di vita, ti consigliamo di leggere anche 👉Qual è la migliore università online in Italia? La classifica 2025

L’impatto sul sistema universitario italiano

Le università telematiche non stanno solo crescendo nei numeri: stanno cambiando l’equilibrio di tutto il sistema universitario italiano. Fino a qualche anno fa, il loro impatto sembrava marginale. Oggi non è più così. Il fatto che oltre 200.000 studenti scelgano ogni anno un ateneo online non è una curiosità statistica: è un segnale strutturale, che influenza anche le università tradizionali. E non solo sul piano tecnologico.

Le università “in presenza” stanno cambiando pelle

Negli ultimi anni, molte università statali e tradizionali hanno iniziato a integrare forme di didattica digitale. Non solo per necessità (come è successo durante la pandemia), ma per vera e propria strategia. Nascono corsi blended, lezioni asincrone anche negli atenei pubblici, piattaforme più avanzate per la gestione degli esami e del materiale didattico. L’università tradizionale sta assorbendo, con qualche resistenza, alcune logiche delle telematiche. In pratica, le due realtà si stanno avvicinando. Da un lato le telematiche cercano maggiore credibilità accademica, dall’altro le università tradizionali cercano più flessibilità e accesso.

Meno mobilità, più scelte locali (e digitali)

Un effetto molto concreto è la riduzione della mobilità studentesca interna. Prima, chi abitava in una città senza università doveva trasferirsi. Oggi, con un’università online, può studiare da casa — e magari laurearsi senza mai lasciare la propria regione. Questo ha cambiato anche l’approccio alla scelta post-diploma: non si valuta più solo dove andare, ma anche come studiare. E per molti, la risposta non è più in un campus fisico, ma in una piattaforma digitale.

Più opzioni, più competizione

Con 11 università telematiche riconosciute (e tutte attive), l’offerta formativa si è ampliata e diversificata. Questo spinge anche gli atenei tradizionali a essere più competitivi, a curare di più i servizi, a migliorare la comunicazione verso gli studenti. Inoltre, molti atenei statali iniziano a collaborare con le telematiche o a creare consorzi digitali (come IUL, legata a Indire, o Unitelma Sapienza, legata a La Sapienza di Roma). Il risultato? Un sistema più dinamico, più accessibile, ma anche più complesso da navigare per chi deve scegliere.

Un nuovo pubblico universitario

Forse l’impatto più profondo è demografico. Le università telematiche hanno ampliato il concetto stesso di “studente universitario”: non più solo diciottenni appena usciti dalle superiori, ma anche trentenni, quarantenni, lavoratori, genitori, persone che non avevano potuto studiare prima. Hanno riportato all’università intere fasce di popolazione che ne erano escluse. E questo cambia la missione del sistema universitario italiano: non più solo formare giovani, ma offrire formazione accessibile a tutte le età.

Sostenibilità ed equità: opportunità o nuova forma di esclusione?

Le università telematiche vengono spesso raccontate come uno strumento di democratizzazione dell’istruzione. E in parte è vero: sono più accessibili, meno costose (almeno in apparenza), compatibili con il lavoro e con una vita adulta piena di incastri. Ma se vogliamo guardare in faccia la realtà, dobbiamo chiederci: sono davvero per tutti? O rischiano di aprire un’altra forma di disuguaglianza, più silenziosa ma non meno concreta?

Accesso sì, ma solo se hai gli strumenti (e la connessione)

Studiare online presuppone una serie di condizioni che non sono garantite per tutti:

  • un computer o tablet funzionante;
  • una connessione stabile;
  • uno spazio tranquillo in cui seguire le lezioni e sostenere esami;
  • una minima alfabetizzazione digitale.

Per molte famiglie italiane, soprattutto nelle aree più fragili o nei contesti meno digitalizzati, tutto questo non è scontato. Il cosiddetto digital divide esiste, e rischia di lasciare indietro proprio chi avrebbe più bisogno di un’alternativa flessibile per studiare.

Autonomia e metodo: le due vere barriere

Un altro aspetto poco discusso è quello psicologico e organizzativo. Le università telematiche chiedono una cosa che a scuola (e spesso anche in aula) non si impara: l’autonomia. Nessuno ti obbliga a connetterti a un’ora precisa. Nessuno prende le presenze. Se salti una settimana di studio, non se ne accorge nessuno… fino al giorno dell’esame.

Per molti è un’opportunità: puoi gestire il tempo come vuoi. Per altri è un rischio: senza una routine, è facile perdere il ritmo e sentirsi disorientati. E quando non c’è una classe accanto a te, o un professore che ti guarda negli occhi, il senso di solitudine può diventare un ostacolo vero.

E il costo? Non sempre così basso

Uno dei luoghi comuni più diffusi è che le università telematiche siano “economiche”. In parte è vero, ma dipende da molti fattori: tipo di corso, presenza di convenzioni, modalità di pagamento. Ad esempio:

  • alcune università come Unitelma Sapienza o IUL partono da poco meno di 1.000 euro l’anno;
  • altre, come eCampus o Pegaso, arrivano facilmente a 3.000–6.000 euro l’anno, in base al corso e ai servizi aggiuntivi;
  • alcune offrono agevolazioni per dipendenti pubblici, forze armate, convenzioni aziendali, ma bisogna cercarle attivamente.

Se vuoi un confronto dettagliato sui costi effettivi, abbiamo scritto questo articolo 👉 Università telematiche a confronto: qual è la più economica?

Quindi: opportunità sì, ma solo se supportata

Le università telematiche possono davvero ampliare l’accesso all’istruzione, ma non basta aprire una piattaforma e caricare videolezioni. Serve:

  • supporto personalizzato;
  • tutor che seguano chi è più in difficoltà;
  • strumenti inclusivi per chi ha disabilità o bisogni educativi speciali;
  • trasparenza sui tassi di abbandono;
  • un dialogo costante con chi queste università le frequenta davvero.

Senza tutto questo, il rischio è di avere un sistema accessibile solo sulla carta, e non nella pratica.

Quali sono le sfide ancora aperte?

Le università telematiche, oggi, fanno parte a pieno titolo del sistema universitario italiano. Sono regolate, riconosciute, frequentate da centinaia di migliaia di persone. Ma questo non significa che il modello sia arrivato a maturazione. Ci sono ancora nodi da sciogliere, aspettative da gestire, limiti da colmare. Sfide che non riguardano solo la tecnologia, ma anche la percezione, la qualità e il rapporto con la realtà professionale.

1. La qualità didattica non è sempre omogenea

La prima sfida è interna al sistema: non tutte le università telematiche offrono lo stesso livello di qualità. Alcune hanno docenti di alto profilo e programmi solidi. Altre si affidano a contenuti più standardizzati, spesso registrati anni fa, con pochi aggiornamenti. In certi casi mancano percorsi strutturati di tutoraggio o materiali didattici davvero interattivi.

La normativa impone standard minimi, certo. Ma la qualità percepita dagli studenti può variare molto da un ateneo all’altro — e anche da un corso all’altro. Serve maggiore trasparenza, più attenzione al feedback degli iscritti e un investimento serio sull’aggiornamento costante dei contenuti.

2. Reputazione e diffidenza culturale

Nonostante i passi avanti, molti datori di lavoro (e anche alcuni docenti universitari) guardano ancora con sospetto i titoli conseguiti online. Il pregiudizio è duro a morire: studiare da casa viene ancora percepito da alcuni come “più comodo”, “meno impegnativo”, “meno serio”. Questo si traduce, a volte, in una sottovalutazione dei percorsi telematici sul mercato del lavoro, soprattutto nei contesti più tradizionalisti. Serve tempo, ma anche chiarezza: più le università telematiche saranno trasparenti sui risultati, più potrà crescere la fiducia.

3. Collegamento col mondo del lavoro: un anello debole

Un altro punto critico è l’integrazione con il mondo professionale. Molti corsi online non prevedono stage obbligatori, né reali partnership con aziende o enti pubblici. Il rischio è che lo studente arrivi alla laurea con una preparazione teorica buona, ma senza contatti, esperienze o reti di riferimento.

Le cose stanno lentamente cambiando: alcune università stanno attivando tirocini a distanza, progetti in convenzione, sportelli per il career service. Ma su questo fronte c’è ancora tanto da fare, soprattutto se si vuole attrarre studenti più giovani, interessati all’occupabilità immediata.

4. Dati pubblici e abbandoni: un tema ancora opaco

C’è un tema di trasparenza: non tutte le università telematiche pubblicano dati aggiornati su iscritti, tassi di abbandono, esiti occupazionali. In alcuni casi è difficile anche solo capire quanti studenti completano il percorso o in quanto tempo. Questi dati sarebbero fondamentali per orientare le scelte degli studenti e per costruire un sistema più sano, basato su evidenze. Senza di essi, l’università telematica rischia di sembrare una “scatola chiusa”: accessibile, ma poco leggibile.

In sintesi: il modello funziona, ma non è perfetto. Serve un passo in più, da parte degli atenei e anche delle istituzioni. Perché l’università online non può più permettersi di essere percepita come un mondo a parte: deve essere pienamente dentro la sfida della formazione del futuro.

Cosa aspettarsi nel futuro delle università online

Le università telematiche non sono più un’alternativa. Sono una delle forme in cui oggi si studia all’università, punto. E questo cambia le domande che dobbiamo porci. Non più: “funzionano davvero?”. Ma piuttosto: “Come evolveranno nei prossimi anni?”, “Saranno in grado di rispondere a nuove esigenze formative, professionali, sociali?” Le tendenze sono già visibili, e ci danno alcune indicazioni su cosa aspettarci.

1. Una didattica sempre più personalizzata

La direzione è chiara: andare verso percorsi sempre più flessibili, modulari, cuciti sulle esigenze dello studente. Alcune università telematiche stanno già sperimentando:

  • sistemi di tracciamento del percorso individuale;
  • suggerimenti personalizzati in base ai risultati ottenuti;
  • tutor virtuali sempre più sofisticati;
  • intelligenze artificiali integrate nei contenuti formativi.

Non si tratta solo di tecnologia: l’obiettivo è adattare il percorso di studio al singolo individuo, come già avviene in molte piattaforme di formazione aziendale.

2. Maggiore apertura all’estero

Un’altra tendenza riguarda l’internazionalizzazione. Alcuni atenei (come Uninettuno) già offrono corsi in più lingue e collaborano con università di altri Paesi. Ma il vero passo avanti potrebbe arrivare con il riconoscimento automatico dei titoli a livello europeo, in linea con gli obiettivi dello Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. Le università telematiche italiane, se sapranno giocare bene questa partita, potranno attrarre studenti da tutto il mondo, offrendo titoli riconosciuti, validi, spendibili ovunque.

3. Una connessione più forte col mondo del lavoro

Molti corsi telematici stanno già inserendo micro-credential, corsi brevi certificabili, moduli professionalizzanti. L’idea è semplice: accorciare la distanza tra laurea e competenze richieste dal mercato.
Si va verso:

  • collaborazioni con aziende per corsi co-progettati;
  • percorsi che includano certificazioni digitali di competenze (es. project management, data analysis, coding);
  • e-learning sempre più integrato con le esigenze occupazionali.

In futuro, potremmo vedere corsi di laurea “ibridi”, con una parte universitaria e una parte costruita in partnership con il mondo del lavoro.

4. Più trasparenza, più dati, più orientamento

Un altro passo necessario sarà quello della trasparenza. Saranno sempre più centrali, anche per le università telematiche, i dati su:

  • tassi di abbandono;
  • esiti occupazionali;
  • tempi medi di laurea;
  • qualità percepita dai laureati.

Chi vorrà restare competitivo dovrà aprirsi, raccontare come funziona davvero il proprio modello, rispondere alle domande degli studenti con numeri, non con slogan.

5. Una regolamentazione più chiara (e più esigente)

Infine, è probabile che il Ministero e l’ANVUR stringano ulteriormente i criteri di accreditamento. Già oggi ci sono controlli severi, ma in futuro potrebbero arrivare regole più omogenee, soprattutto su:

  • esami online;
  • supporto didattico;
  • tracciabilità dei progressi;
  • attività di stage e tirocinio.

Il futuro delle università telematiche italiane dipenderà dalla loro capacità di evolversi mantenendo credibilità, non solo numeri.

Oltre il pregiudizio, dentro il sistema

Vent’anni fa sembravano una scommessa rischiosa, oggi, le università telematiche sono parte strutturale del sistema universitario italiano. Hanno cambiato il modo di studiare, ampliato l’accesso, reso possibile la formazione a distanza anche in contesti dove prima sarebbe stato impensabile. Hanno creato opportunità per chi lavora, per chi vive lontano dai grandi centri universitari, per chi ha famiglie da gestire, per chi ha bisogno di tempi diversi. Ma soprattutto — ed è questo il punto cruciale — hanno costretto tutti a fare i conti con l’idea che l’università non debba per forza somigliare a quella che abbiamo conosciuto in passato.

Oggi si può studiare in pantofole o tra un turno di lavoro e l’altro. Si può laurearsi senza mai sedersi in un’aula. Si può scegliere di apprendere non per obbligo, ma su misura della propria vita reale. Non è poco. E non è nemmeno detto che sia più facile, anzi: spesso richiede autodisciplina, motivazione, capacità di auto-organizzarsi. Cose che nel mondo del lavoro contano, eccome.

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