Probabilmente sei stato il migliore del tuo corso di laurea o la più brillante delle laureande degli ultimi anni e ti aspetti che il primo colloquio di lavoro ruoti attorno alle tue competenze e conoscenze. Sicuramente è così, ma per una prima job interview probabilmente non basta. Per affrontare un colloquio appena usciti dall’università, serve molto altro: intelligenza emotiva, qualche nozione di armocromia, una buona dose di adattamento e i riflessi pronti in caso di imprevisti. Affinché l’insicurezza per la poca esperienza e la paura di non essere all’altezza non giochino brutti scherzi, serve arrivare preparate.
Prima del colloquio: preparazione mirata
La preparazione comincia ben prima di sedersi davanti al selezionatore. Anche senza anni di esperienze lavorative, è possibile presentarsi in modo professionale e convincente. Il primo passo è informarsi sull’azienda: conoscere la sua storia, i valori, i progetti recenti o le iniziative in corso dimostra interesse e proattività. Non serve imparare tutto a memoria, ma avere un’idea chiara di dove ci si sta candidando permette di rispondere con maggiore coerenza alle domande.
Rileggere con attenzione l’annuncio dell’offerta di lavoro è, oltre che utile, necessario: ogni parola scelta dall’azienda indica ciò che sta cercando. Rivedere il proprio CV alla luce di quell’annuncio può aiutare a capire quali esperienze, anche accademiche o personali, siano più rilevanti da evidenziare. Infine, serve anche prepararsi a raccontare il proprio percorso in modo sintetico e personale. È utile avere pronto un racconto breve su cosa si è studiato, perché si è scelta una determinata facoltà, quali sono stati i momenti significativi dell’università e cosa si cerca ora in un primo impiego.
Come affrontare le domande più difficili
Durante un colloquio, ci sono alcune domande che mettono in difficoltà anche i candidati più preparati. Non perché siano trabocchetti, ma perché richiedono un certo grado di consapevolezza e la capacità di parlare di sé con onestà.
Una delle più frequenti è: “Quali sono i tuoi punti deboli?”. In questo caso, non serve negare di averne. Meglio scegliere una debolezza reale, ma che non sia centrale per il ruolo richiesto, e spiegare come la si sta affrontando o migliorando.
Un’altra domanda classica è: “Dove ti vedi tra cinque anni?”. Qui non è necessario avere un piano dettagliato, ma è utile dimostrare che si ha una direzione: l’idea di crescere in un settore, imparare nuove competenze, contribuire in modo attivo.
Infine, alla domanda: “Perché dovremmo scegliere proprio te?”, si può rispondere mettendo in luce non solo ciò che si sa fare, ma soprattutto l’atteggiamento: disponibilità ad apprendere, motivazione e curiosità sono qualità molto apprezzate, soprattutto nei profili junior.
Cosa valutano davvero i selezionatori nei neolaureati
Molti candidati alle prime esperienze credono di dover “compensare” la mancanza di esperienza con frasi ad effetto o curriculum perfetti. In realtà, chi si occupa di selezione sa bene che un neolaureato non può avere anni di lavoro alle spalle. Quello che si cerca non è un profilo già formato, ma una persona su cui investire.
Tra gli aspetti che vengono osservati con più attenzione ci sono:
- La capacità di comunicare con chiarezza. Esporre il proprio percorso, spiegare cosa si è imparato, raccontare un’esperienza universitaria o personale in modo ordinato e coerente è un segnale di maturità.
- La motivazione reale per quella posizione. Non basta dire “sono molto interessato”. Serve dimostrare di aver capito cosa fa l’azienda, in che contesto si inserisce il ruolo e perché ci si vede in quella realtà. Anche un’azienda piccola vuole sapere che è stata scelta consapevolmente.
- L’attitudine all’apprendimento. I neolaureati vengono scelti soprattutto in base alla curva di apprendimento: chi mostra apertura mentale, spirito di iniziativa e disponibilità ad accettare consigli ha molte più possibilità.
- La gestione dell’errore. A volte il selezionatore pone domande volutamente ambigue o chiede come si reagirebbe davanti a un errore. Non conta dare la risposta perfetta, ma mostrare atteggiamento riflessivo, umiltà e capacità di adattamento.
- Le competenze trasversali. Anche senza esperienze lavorative, si osservano la puntualità, l’ascolto, il rispetto dei turni di parola, la capacità di stare nel dialogo. Tutti segnali che raccontano come si potrebbe lavorare con quella persona.
Insomma, non viene valutato solo ciò che si sa, ma soprattutto come ci si muove nel dialogo, come si ragiona e come si reagisce. Questo aiuta chi è all’inizio a sentirsi meno sotto esame e più in un vero confronto: il selezionatore non cerca il candidato perfetto, ma quello più adatto a crescere in quel contesto.
Colloqui di gruppo e assessment: cosa aspettarsi
Oltre ai classici colloqui individuali, alcune aziende — soprattutto le realtà strutturate o multinazionali — prevedono selezioni di gruppo o veri e propri assessment center. In questi casi, si viene inseriti in una dinamica collettiva con altri candidati e candidate, dove si osservano non solo le risposte, ma anche comportamenti, interazioni e capacità di lavorare in squadra.
Può trattarsi di una discussione su un caso aziendale, una simulazione di lavoro o un esercizio pratico. Lo scopo non è trovare il più “brillante” o competitivo, ma capire chi sa collaborare, ascoltare, proporre con equilibrio.
Affrontare queste situazioni con un atteggiamento cooperativo e aperto, senza voler a tutti i costi primeggiare, è spesso la strategia migliore. E anche se può spaventare, ricordarsi che si viene osservati come persone, non solo come profili professionali, aiuta ad abbassare la pressione.
Il colloquio online: cosa cambia e come prepararsi
Oggi molti colloqui, soprattutto i primi, si svolgono da remoto. Cambia il contesto, ma non l’importanza della preparazione. La modalità online può sembrare più semplice, ma richiede alcune attenzioni specifiche. Prima di tutto, è fondamentale scegliere uno spazio tranquillo e ordinato, con buona luce e una connessione stabile. Il rumore di fondo, la scarsa illuminazione o un’inquadratura disordinata possono distrarre e trasmettere disorganizzazione o poca professionalità.
Anche a casa, è importante vestirsi in modo curato, proprio come se si fosse in presenza. Non serve l’abito formale, ma è bene evitare abbigliamento troppo casual. Guardare nella webcam, parlare con un tono calmo e sorridere aiuta a creare un contatto umano, anche attraverso lo schermo. Prima del colloquio, è utile fare una prova tecnica per evitare intoppi e sentirsi più sicuri.
Il colore conta: cosa comunica quello che indossi
Credere che basti un completo elegante per fare una prima buona impressione è quanto meno ingenuo. Quando ci si prepara per un colloquio, non è importante solo cosa si indossa, ma quale nuance si sceglie: i colori hanno un impatto immediato sulla percezione che gli altri hanno di noi, e possono influenzare – in modo sottile ma efficace – il messaggio che comunichiamo.
Senza scomodare i concetti dell’armocromia – la scienza che studia gli abbinamenti dei colori in relazione al proprio incarnato -, per presentarci nel modo più efficace possibile possiamo attingere alla psicologia dei colori, secondo cui le cromie hanno dei significati intrinsechi e il potere di comunicare emozioni.
Il blu, in tutte le sue tonalità, è una delle scelte più sicure: trasmette fiducia, serietà e stabilità. È ideale per chi vuole presentarsi come affidabile e professionale, senza risultare troppo rigido.
Il grigio è neutro ed elegante, adatto a contesti più formali. Non attira troppo l’attenzione, ma comunica equilibrio e capacità di analisi.
Il bianco e i colori chiari danno una sensazione di pulizia e apertura. Una camicia bianca o panna può illuminare il viso e creare un effetto di freschezza e chiarezza.
Per chi vuole mostrare energia e creatività, può funzionare un tocco di giallo, viola o arancione. Basta anche un accessorio, come orecchini o cravatta, per dare vivacità a un completo formale. Meglio invece evitare abbinamenti troppo sgargianti o contrasti eccessivi, così pure un total look nero. Scegliere i colori giusti significa usare il linguaggio visivo a proprio favore, per sentirsi a proprio agio e comunicare con più forza chi siamo, ancora prima di iniziare a parlare. Anche la scelta degli accessori può mostrare molto di noi: delle scarpe eleganti ma sporche o rovinate possono compromettere l’estetica anche dell’abito più formale. Quando si tratta di colloqui, l’abbigliamento non ha nulla a che fare con le firme della moda o con l’eleganza delle grandi occasioni: deve esprimere coerenza con la propria persona, cura e attenzione al dettaglio.
Cosa portare con sé al colloquio (anche online)
Anche l’organizzazione pratica fa la sua parte nel presentarsi al meglio. Per un colloquio in presenza, è bene avere con sé una copia stampata del proprio CV, anche se è già stato inviato via mail. Aggiungere un taccuino e una penna dà l’idea di essere pronti ad ascoltare e prendere appunti. Se si ha un portfolio (per ruoli creativi, comunicazione, design) è utile portarlo in formato cartaceo o digitale su tablet.
Per un colloquio online, valgono le stesse regole: tenere il CV e l’annuncio sott’occhio, magari aperti in una finestra sullo schermo. Avere già a portata eventuali file richiesti evita momenti di imbarazzo o confusione. Anche una bottiglia d’acqua a portata di mano può essere utile per gestire la tensione.
Mostrare di essere preparati anche nei piccoli dettagli trasmette cura, precisione e rispetto per il tempo altrui.
Il contesto conta: presentarsi in modo coerente
Ogni ambiente di lavoro ha i suoi codici, scritti e non scritti. Comprenderli non significa snaturarsi, ma avere la consapevolezza di come presentarsi in modo coerente rispetto al ruolo e all’azienda per cui ci si candida.
Un colloquio per un posto in ambito sanitario, ad esempio, richiede un’immagine curata e sobria: unghie lunghissime o accessori vistosi possono risultare fuori contesto, non perché sbagliati in sé, ma perché non in linea con il tipo di attività che si andrà a svolgere.
Allo stesso modo, candidarsi per un ruolo commerciale o a contatto con il pubblico — come agente immobiliare, receptionist o venditore — richiede un look professionale e ben costruito. Presentarsi con t-shirt e jeans, anche se puliti e ordinati, potrebbe dare l’idea di poca cura o sottovalutazione del momento.
Ci sono anche aspetti più personali, come tatuaggi, piercing o stili estetici forti. Nessuno di questi elementi è, di per sé, un limite, ma è importante avere la sensibilità di capire dove possono essere valorizzati e dove potrebbero rappresentare una barriera, almeno nella fase iniziale del contatto. Se si ha un’identità molto marcata, è utile orientarsi verso realtà aziendali in cui quella stessa identità può essere un valore aggiunto, e non qualcosa da nascondere.
La chiave è essere se stessi con intelligenza: sapere chi siamo, ma anche riconoscere che ogni contesto ha le sue aspettative. Adattarsi non significa omologarsi, ma presentarsi nel modo migliore per essere davvero ascoltati, prima ancora che giudicati.
Come valorizzare un CV con poca esperienza
Avere un curriculum breve non significa non avere nulla da dire. I colloqui per neolaureati sono proprio pensati per chi è all’inizio del proprio percorso, e spesso ciò che fa la differenza è la capacità di valorizzare le esperienze trasversali. Anche una tesi di laurea può diventare un punto di forza, se ben raccontata: il tema scelto, le ricerche fatte, le difficoltà superate e le competenze acquisite possono dire molto sul candidato.
Esperienze come lavori stagionali, tirocini, volontariato, viaggi studio o attività sportive sono ottimi esempi di responsabilità, impegno e capacità relazionali. Spiegare cosa si è imparato in quei contesti, anche se non direttamente collegati alla posizione, aiuta a mostrare attitudine e potenziale.
Chi ha un progetto personale – come un blog, una pagina social, un podcast o un’attività creativa – può citarlo come esempio di iniziativa e costanza. Non serve gonfiare il curriculum, ma saper raccontare ciò che si ha davvero fatto con consapevolezza e autenticità.
Dopo il colloquio: come proseguire
Una volta concluso il colloquio, non finisce tutto lì. Prendersi un momento per riflettere su come è andata aiuta a migliorare nei successivi. Ricordare le domande fatte, le risposte date, i momenti di maggiore sicurezza o di difficoltà può fare la differenza al prossimo incontro.
In alcuni casi può essere utile inviare un breve messaggio di ringraziamento, per mostrare educazione e ribadire l’interesse per la posizione. Non è obbligatorio, ma può lasciare un’impressione positiva.
Se non si riceve risposta immediata, è normale: i processi di selezione possono richiedere tempo. L’importante è continuare a candidarsi, a migliorare il proprio CV, ad accumulare esperienze – anche piccole – e a mantenere viva la fiducia nelle proprie capacità.
Parlare di stipendio: quando e come farlo
La questione economica è tra le più delicate in fase di colloquio, soprattutto per chi è alle prime esperienze. In alcuni contesti lavorativi è considerata un vero e proprio tabù, quasi fosse un volgare affronto parlare di soldi. Eppure il lavoro ruota anche – e soprattutto – attorno alla questione denaro.
Se da un lato è un diritto chiedersi e chiedere quanto si verrà pagati, dall’altro è importante affrontare il tema con intelligenza e con il giusto tempismo. Se il referente del colloquoi solleva l’argomento per primo, si può rispondere con una scala di riferimento, facendo ricerche preventive sulle retribuzioni medie per quel tipo di ruolo e in quella zona. È bene evitare risposte troppo vaghe (“non mi importa, va bene tutto”) ma anche richieste irrealistiche: l’obiettivo è dimostrare consapevolezza del proprio valore e apertura al confronto.
Se invece il tema non viene sollevato durante il primo colloquio, è meglio non affrontarlo subito con domande dirette, soprattutto se si tratta di una fase conoscitiva. È importante però non tralasciare la questione retribuzione, perché essere pagati il giusto per il proprio lavoro è un diritto. Si potrebbe chiedere genericamente quale sia il tipo di contratto proposto o se è necessario contattare il reparto risorse umane circa lumi sulla retribuzione.
Come concludere un colloquio nel modo giusto
Il modo in cui si conclude un colloquio può lasciare un’impressione tanto forte quanto le prime parole scambiate. Spesso, negli ultimi minuti, c’è spazio per fare domande o per riassumere il proprio interesse.
Una buona strategia è preparare in anticipo una o due domande intelligenti, ad esempio sul tipo di attività previste, sulla possibilità di affiancamento o sul percorso di crescita interno. Evita domande banali (“che orari fate?”) o facilmente reperibili sul sito aziendale.
Al momento dei saluti, ringraziare per il tempo e l’attenzione ricevuti è sempre un gesto apprezzato. Si può aggiungere una frase semplice ma efficace, come: “Mi farebbe davvero piacere poter contribuire, ho trovato interessante ciò che mi è stato raccontato.” Non serve forzare, ma mostrare autenticità e coinvolgimento è un buon modo per lasciare un ricordo positivo.
Non solo essere sceltə: anche scegliere
Quando si è alle prime esperienze, è facile pensare che un colloquio sia una sorta di esame da superare. In realtà, è un incontro tra due parti, e non unilaterale. Anche chi cerca lavoro ha il diritto — e la responsabilità — di valutare se quel contesto è adatto a sé. Osservare l’atmosfera dell’ufficio, ascoltare il tono con cui si viene accolti, capire come viene descritto il ruolo: sono tutti segnali che aiutano a farsi un’idea dell’ambiente in cui si potrebbe lavorare. Se qualcosa stona, non va ignorato per fretta o paura.
Essere sceltə è importante, ma scegliere consapevolmente lo è ancora di più. Non si tratta solo di trovare un impiego, ma di costruire un percorso. E anche se all’inizio si è disposti a tutto, imparare a riconoscere dove si può stare bene è il primo passo per costruire una vita lavorativa solida e autentica.
Quando il colloquio non va: come affrontare il “no”
Ricevere una risposta negativa — o, peggio, non riceverne affatto — è una delle parti più frustranti della ricerca del primo lavoro. Ma è anche una delle più comuni. Non è un fallimento personale, né un segnale che “non si è abbastanza”. A volte ci sono decine di candidati per un solo posto, e la scelta può dipendere da fattori che nulla hanno a che fare con il valore della persona.
Il rifiuto può fare male, ma è anche un’occasione per capire dove migliorare: se possibile, chiedere un breve feedback al selezionatore può dare indicazioni preziose. Se invece il silenzio è totale, si può comunque fare un bilancio personale: cosa ho imparato da quel colloquio? Cosa rifarei, cosa no?
Soprattutto, non personalizzare il rifiuto. È un’esperienza che fa parte del processo, e non definisce il valore di nessuno. Ogni colloquio, anche andato male, è un pezzo in più nel proprio bagaglio.
I primi colloqui possono mettere alla prova, ma sono anche un’occasione per conoscersi meglio, capire cosa si vuole davvero e imparare a raccontarsi. Nessuno si presenta al primo colloquio con tutte le risposte pronte, ma ogni esperienza aiuta a costruire maggiore consapevolezza e autonomia.