Nel dibattito sull’accesso a Medicina in Italia, un nuovo capitolo si è aperto con l’introduzione del “semestre filtro”. Questa riforma, voluta per superare il contestato test d’ingresso a numero chiuso, puntava a un sistema più equo e formativo. Tuttavia, i primi risultati emersi hanno deluso le aspettative, riproponendo criticità già evidenziate in passato. Dati e vicende recenti indicano che promesse politiche e realtà accademica sono entrate in rotta di collisione, lasciando migliaia di aspiranti medici in una situazione di incertezza e frustrazione.
Dalle selezioni tradizionali ai ricorsi: il contesto di partenza
In Italia l’accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia era storicamente regolato da un test d’ingresso nazionale, a numero chiuso. Ogni anno decine di migliaia di aspiranti affrontano una prova a quiz, da cui scaturisce una graduatoria nazionale per assegnare i posti disponibili (poco meno di 20 mila nel 2025). Questo sistema, in vigore da decenni, ha suscitato polemiche ricorrenti: da un lato c’è chi lo ritiene un male necessario per garantire qualità della formazione e sostenibilità del sistema; dall’altro c’è chi lo critica come iniquo, stressante e talvolta aleatorio, sostenendo che possa escludere potenziali bravi medici per via di pochi punti in un quiz.
Le controversie hanno spesso raggiunto le aule di tribunale. In passato, numerosi candidati esclusi dal test hanno presentato ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) denunciando presunte irregolarità nelle prove. In diversi casi i giudici amministrativi hanno dato loro ragione, ordinando l’immatricolazione in sovrannumero di migliaia di studenti che non avevano superato il test. Questo fenomeno dei “ricorsisti” ha alimentato ulteriormente il dibattito: se da un lato ha consentito a più studenti di accedere a Medicina, dall’altro ha creato classi sovraffollate e posto interrogativi sulla preparazione di chi entra senza aver superato la selezione meritocratica iniziale.
Lo studio del 2017: il test e le performance accademiche
Già nel 2017 erano disponibili dati significativi sul confronto tra studenti ammessi tramite test e studenti ammessi tramite ricorso. Uno studio condotto nelle università piemontesi (“Does the admission test predict medical school performance? Results from a natural experiment”) ha analizzato le performance degli immatricolati in Medicina nell’anno accademico 2014/2015, distinguendo tra “regolari” (605 studenti entrati avendo superato il test d’ammissione) e “ricorsisti TAR” (176 studenti entrati grazie a ricorso, pur con punteggi insufficienti al test). I risultati del lavoro di Giuseppe Costa, Roberto Gnavi, Chiara Di Martino e Paolo Borraccino, pubblicati sulla rivista Epidemiologia & Prevenzione, hanno mostrato differenze nette nei successi accademici al termine del primo anno di corso.
In particolare, la percentuale di studenti che riuscì a superare tutti gli esami del primo anno fu circa doppia tra gli ammessi dal test rispetto ai ricorsisti. I numeri parlano chiaro: poco meno della metà degli studenti entrati regolarmente (circa il 48%) completò con successo tutti gli esami previsti del primo anno, contro poco più di un quinto (circa il 22%) degli studenti entrati senza test. Anche considerando traguardi parziali, il divario rimaneva marcato: circa 83% dei regolari superò almeno la metà degli esami annuali, a fronte di circa 60% dei ricorsisti. Solo sul dato più basilare – aver sostenuto almeno un esame – la differenza si riduceva (93% contro 81%), ma rimaneva comunque significativa.
Insomma, chi aveva passato il test d’ingresso tendeva a ottenere risultati accademici migliori nel primo anno, mentre tra coloro che erano entrati per via giudiziaria una quota consistente faticava a stare al passo con gli esami. Gli autori dello studio concludevano che il test di ammissione, pur con tutti i suoi limiti, possedeva un significativo valore predittivo sulle performance future dello studente. In altre parole, un punteggio basso al quiz di ingresso correlava con maggiori difficoltà nel completare il primo anno di studi nei tempi previsti. Questo dato veniva portato a sostegno dell’idea che abolire la selezione iniziale in favore di un filtro successivo (sul modello francese dell’année blanche, in cui tutti entrano e poi pochi superano il primo anno) rischiava di tradursi in un boomerang: molti studenti poco preparati avrebbero accumulato ritardi, esami non superati e, in definitiva, abbandoni, con costi umani ed economici elevati.
Va sottolineato che lo studio piemontese metteva anche in guardia sull’interpretazione dei dati: il gruppo dei ricorsisti era composto da studenti che avevano scelto di intraprendere battaglie legali pur di entrare a Medicina, quindi presumibilmente altamente motivati. Malgrado ciò, le loro performance medie risultarono inferiori a quelle dei compagni ammessi con merito nel test. Questo implica che, se si considerasse l’intera platea di esclusi al test (inclusi coloro che non tentarono nemmeno il ricorso), le differenze potrebbero essere ancora più accentuate. In sintesi, già otto anni fa c’era un campanello d’allarme statistico: allargare l’accesso senza tenere conto della preparazione iniziale rischia di aumentare il numero di studenti in difficoltà durante il percorso di studi.
La riforma del semestre filtro: obiettivi e differenze rispetto al passato
Nonostante tali evidenze, nel 2023–2024 il dibattito politico-culturale sull’accesso a Medicina ha portato a una svolta. Sull’onda di promesse elettorali e pressioni dell’opinione pubblica, il Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) ha avviato una riforma radicale per l’anno accademico 2025/2026: l’abolizione del test d’ingresso tradizionale in favore del cosiddetto “semestre filtro”. Introdotto con il Decreto-Legge 71/2025, questo nuovo modello puntava a offrire un’opportunità formativa a tutti gli aspiranti medici prima di effettuare la selezione. Vediamo in cosa consiste e come differisce dal precedente sistema:
- Accesso iniziale aperto: invece di un concorso a quiz preliminare, tutti gli studenti interessati a Medicina (Odontoiatria e Veterinaria incluse) hanno potuto immatricolarsi sin da subito al corso di laurea, senza selezione iniziale. Si è passati dall’idea del “tutti contro tutti in un test” a quella del “tutti dentro almeno per un semestre”.
- Percorso formativo comune: il semestre filtro è stato concepito come un ciclo introduttivo di lezioni in presenza (in realtà, di fatto un trimestre scarso di attività didattiche) su tre materie scientifiche di base: Chimica, Fisica e Biologia, ciascuna da 6 crediti formativi universitari. L’idea dichiarata era di fornire basi solide e strumenti omogenei agli studenti, indipendentemente dal background scolastico, prima di valutarne le attitudini.
- Esami alla fine del semestre: al termine di questo percorso, invece di avere un unico test nazionale a crocette su logica e nozioni, gli studenti hanno dovuto sostenere tre esami universitari (uno per ciascuna materia del corso introduttivo). Queste prove, con quesiti disciplinari veri e propri, costituivano l’effettivo filtro selettivo: i voti ottenuti avrebbero formato una graduatoria nazionale per l’ammissione definitiva al primo anno di Medicina.
- Soglia di sufficienza: a differenza del vecchio test a risposta multipla, dove contava solo il punteggio relativo in graduatoria, negli esami del semestre filtro era previsto un voto minimo per considerare superata ciascuna prova. In pratica serviva almeno 18/30 in ognuno dei tre esami (corrispondente alla sufficienza accademica) per poter concorrere a un posto. Chi non raggiungeva la sufficienza in tutte le materie restava automaticamente escluso dalla graduatoria finale, a prescindere dagli altri voti ottenuti.
- Graduatoria nazionale post-corso: per i candidati che superavano tutti e tre gli esami, il Ministero avrebbe stilato una graduatoria su base nazionale, ordinata in base ai punteggi degli esami stessi, fino a coprire i posti disponibili. In teoria, questo meccanismo intendeva selezionare i più meritevoli tra coloro che avevano seguito il semestre, premiando chi dimostrava di aver appreso le materie fondanti del percorso medico.
Le intenzioni della riforma erano ambiziose. Si parlava di una selezione “più equa”, perché basata su conoscenze acquisite all’università e non sul solo bagaglio delle superiori o sull’abilità nei quiz. Inoltre, dando a tutti la possibilità di frequentare le lezioni prima dell’esame, si pensava di democratizzare l’accesso e ridurre la pressione psicologica del “click-day” di settembre. In sintesi, nelle dichiarazioni ufficiali il semestre filtro doveva rappresentare una sorta di patto formativo: lo Stato metteva a disposizione insegnamenti e strumenti, gli studenti ci mettevano impegno e studio, e solo alla fine si operava la selezione sui risultati accademici effettivi.
Un percorso in salita: dalle aspettative ai primi problemi
La realtà, però, si è dimostrata ben più complessa delle aspettative. Fin dall’avvio del semestre filtro, nell’autunno 2025, sono emerse difficoltà organizzative e criticità segnalate sia dagli studenti sia dai docenti. Innanzitutto, la durata effettiva delle attività didattiche è risultata assai inferiore a un semestre accademico tradizionale: poco più di due mesi di lezioni, da inizio settembre a fine ottobre, con ritmi serrati. Il carico di studio concentrato in così poco tempo è apparso proibitivo a molti: basti pensare che 3 corsi da 6 CFU implicano circa 450 ore di impegno studentesco, compressi in poche settimane. Numerosi candidati hanno lamentato di non aver avuto tempo sufficiente per assimilare materie complesse come Chimica, Fisica e Biologia, soprattutto considerando che provenivano da scuole secondarie diverse (chi da licei scientifici ben preparati in queste discipline, chi da percorsi meno orientati alle materie scientifiche).
In aggiunta, le modalità d’esame previste hanno sollevato perplessità. Tutti e tre gli esami sono stati fissati d’ufficio lo stesso giorno, a livello nazionale, in due sessioni ravvicinate (20 novembre la prima sessione, 10 dicembre la seconda). Ciò significava, per ogni studente, dover affrontare un vero e proprio “tour de force” di tre prove scritte consecutive, con brevissime pause tra una e l’altra. Questa impostazione rigida è contraria alle normali pratiche universitarie, dove gli esami vengono spalmati nell’arco di settimane e lo studente ha la libertà di pianificare lo studio per una prova alla volta. Molti docenti hanno osservato che difficilmente uno studente medio programma di sostenere tre esami in un unico giorno; nel caso del semestre filtro, invece, lo Stato ha imposto questa maratona, lasciando margini minimi per il ripasso e aumentando il carico di stress.
Un altro elemento critico è stato il distacco tra didattica ed esame: le prove finali sono state preparate da una commissione ministeriale nazionale, con domande uguali in tutta Italia, e non dai docenti stessi che avevano tenuto i corsi. Agli studenti e ai loro insegnanti, dunque, non era del tutto chiaro quale sarebbe stato lo stile e il livello di dettaglio delle domande, dovendosi attenere unicamente ai programmi ufficiali indicati. Questa mancanza di trasparenza e allineamento tra lezioni ed esame ha contribuito a generare ansia e incertezza. In molti casi, poi, le lezioni si sono svolte in modalità mista o a distanza (specialmente in alcune sedi con molti iscritti), riducendo ulteriormente quel contatto diretto col docente e la materia che sarebbe invece cruciale in un breve corso intensivo.
Il risultato degli esami filtro: pochi promossi e molte polemiche
Le conseguenze di queste premesse si sono manifestate nei risultati del primo turno di esami. A fine novembre 2025 i numeri diffusi dal Ministero hanno destato allarme: solo il 22-23% degli iscritti ha ottenuto la sufficienza (18/30) negli esami di Chimica e Biologia, e addirittura appena tra il 10% e il 15% in quello di Fisica. Considerando che per entrare in graduatoria occorreva superare tutte e tre le materie, la percentuale di studenti che risultavano pienamente idonei dopo la prima tornata era estremamente bassa. In pratica, meno di uno su cinque è riuscito a passare il “filtro” al primo colpo, lasciando gli altri quattro su cinque con almeno un’insufficienza.
Questa débâcle ha immediatamente fatto temere che, a riforma appena partita, si rischiasse il paradosso opposto rispetto al passato: non più troppi candidati per pochi posti, ma posti scoperti per mancanza di candidati idonei. Infatti, con numeri simili, la graduatoria finale avrebbe coperto solo una frazione dei circa 19.700 posti disponibili a Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, lasciando migliaia di posti vacanti e migliaia di studenti esclusi dopo mesi di studi. Una seconda sessione d’appello, svoltasi il 10 dicembre, ha permesso ad alcuni di migliorare i propri voti, ma non ha ribaltato la situazione in modo sostanziale. Molti partecipanti hanno riferito che anche le prove bis sono state tutt’altro che agevoli: i quesiti sono stati giudicati molto difficili, con la prova di Fisica definita da alcuni addirittura “impossibile”.
Parallelamente, sono emerse segnalazioni di irregolarità durante lo svolgimento degli esami filtro. Sui social network e nelle chat sono circolati screenshot di domande in tempo reale, suggerendo che alcuni siano riusciti a utilizzare lo smartphone per copiare. Video non autorizzati e tracce diffuse online mentre le prove erano ancora in corso hanno spinto il neonato comitato “Medicina Senza Filtri” a parlare di gara falsata, accusando l’organizzazione ministeriale di non aver garantito condizioni uniformi e sorveglianza adeguata in tutte le sedi. Il sospetto che “furbetti” abbiano eluso i controlli ha ulteriormente esasperato gli animi, in un contesto dove già tanti studenti attribuivano il proprio insuccesso più a difetti del sistema che alla propria impreparazione.
Alla luce di risultati così deludenti, le promesse della vigilia hanno lasciato spazio a recriminazioni e richieste di correzione di rotta. Gli studenti che avevano creduto nel nuovo percorso si sono sentiti trattati come “cavie da laboratorio” di un esperimento fallito. Una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica, scritta dallo studente Agostino Veronese a nome di molti colleghi del semestre filtro, ha elencato le principali contestazioni in toni accorati. Secondo questi giovani, il progetto nato per scegliere in modo nuovo i medici del futuro si è trasformato nell’esatto contrario di quanto promesso, lasciando in eredità:
- Un “bimestre impossibile” invece di un vero semestre: attività didattiche concentrate in pochissime settimane, insufficienti per metabolizzare le conoscenze richieste.
- Un carico di studio irraggiungibile: mole di materiali e velocità di avanzamento che hanno messo in difficoltà persino studenti brillanti, figurarsi i meno preparati.
- Prove d’esame senza trasparenza: quesiti calati dall’alto, non tarati sull’effettivo svolgimento dei corsi, con scarsa chiarezza preventiva su criteri e modalità di valutazione.
- Vigilanza disomogenea e irregolarità: differenze organizzative tra atenei, episodi di scarsa sorveglianza e sospetti di copiature che minano la credibilità dell’intero concorso.
- Mortificazione dei candidati: il risultato complessivo ha offerto “l’immagine tremenda di un Paese che sembra voler dimostrare al mondo che i suoi giovani non valgono nulla”, scrive Veronese, esprimendo un senso di umiliazione collettiva.
A rincarare la dose, anche dal mondo della scuola e dell’università sono arrivate critiche severe. Una docente e sindacalista, Caterina Altamore, in un’altra lettera aperta alla Ministra dell’Università Anna Maria Bernini, ha definito il semestre filtro “un percorso affrettato, pasticciato e non ponderato”. Sottolineando come gran parte delle attività si siano svolte da remoto e in tempi ristretti, Altamore ha osservato che “i risultati degli esami lo dimostrano”, chiedendo conto al Ministero di scelte che hanno travolto migliaia di ragazzi, ora a rischio di perdere l’anno accademico.
La risposta del Ministero e l’ammissione “sanatoria”
Di fronte alla tempesta perfetta scatenatasi – tra esiti disastrosi, proteste di piazza e polemiche politiche – il Ministero ha dapprima difeso la bontà della riforma, per poi riconoscerne in parte le criticità. La ministra Bernini, incalzata dalle opposizioni in Parlamento, ha ribadito che l’obiettivo primario è non far perdere l’anno agli studenti del semestre filtro. Perciò già qualche giorno fa il MUR ha iniziato a delineare una soluzione tampone: una sorta di sanatoria per riempire tutti i posti disponibili, ammettendo in graduatoria anche candidati che non hanno ottenuto tre sufficienze, ovvero che sono risultati insufficienti in uno o più esami.
Il meccanismo ipotizzato – e confermato nelle linee generali a fine 2025 – prevede di compilare comunque una graduatoria nazionale di quasi 20 mila ammessi. In cima verranno collocati coloro che hanno superato tutte e tre le prove con almeno 18/30, a seguire (con punteggi decrescenti) quelli che hanno passato solo due esami su tre, poi gli altri ancora, fino a esaurire i posti. In pratica, “tutti dentro” fino a copertura totale: anche chi ha fallito una o più materie non resterà fuori dal corso di laurea, a patto che i posti non siano già stati occupati da candidati con risultati migliori. Però questo “salvataggio” non sarà senza condizioni: chi entrerà in Medicina pur avendo un debito formativo dovrà innanzitutto colmarlo. Il piano del Ministero prevede infatti che agli ammessi con insufficienze sia richiesto di seguire a gennaio 2026 brevi corsi intensivi di recupero nelle materie non superate, e di sostenere entro febbraio una prova locale di recupero per ottenere i crediti mancanti. Solo chi regolarizzerà in tempo i debiti potrà proseguire nel secondo semestre del primo anno. L’intento dichiarato è evitare che migliaia di studenti restino “bloccati” fuori dal sistema, pur senza abbassare del tutto l’asticella qualitativa (da qui l’idea dei recuperi obbligatori).
Questa soluzione emergenziale, se da un lato scongiura il flop numerico della riforma, dall’altro rappresenta un’ammissione implicita del fallimento delle premesse iniziali. Il fatto stesso di dover includere candidati insufficienti per riempire i corsi conferma che la soglia di sbarramento posta era troppo alta rispetto alla preparazione effettiva degli studenti dopo il mini-semestre. In pratica, il sistema è dovuto tornare a un criterio di graduatoria aperta, molto simile a quello del vecchio test (dove non c’era bocciatura automatica: anche chi rispondeva esattamente solo alla metà delle domande poteva sperare nell’ammissione se il punteggio bastava a scalare posizioni). Solo che, così facendo, la selezione viene di fatto posticipata a dopo l’immatricolazione: chi non recupererà i debiti a febbraio potrebbe dover abbandonare, perdendo mesi di tempo e sforzi.
Intanto la tensione rimane alta. Le associazioni studentesche hanno accolto con favore parziale la sanatoria, ma denunciano il caos generato: “una rivoluzione trasformata in caos”, titolano i media, con richieste di dimissioni al vertice del Ministero. La stessa ministra Bernini si è attirata critiche per i toni poco istituzionali: durante un incontro pubblico ha bollato come “poveri comunisti inutili” alcuni giovani contestatori del semestre filtro, frase che ha infiammato ulteriormente il dibattito politico. In molti ora si interrogano su come si sia giunti a questa situazione e quali lezioni trarre per il futuro.
Tra dati ignorati e nuove scelte: quale futuro per l’accesso a Medicina?
Guardando a quanto accaduto, emerge un quadro di promesse mancate e di scarsa attenzione ai dati pregressi. La riforma del semestre filtro era nata per dare un segnale di cambiamento, rispondendo all’onda emotiva che vedeva nel test a crocette il simbolo di un sistema ingiusto. Eppure, gli esiti concreti hanno in parte confermato proprio i timori che alcuni esperti e studi avevano evidenziato: ovvero che senza un’adeguata preparazione iniziale e senza criteri realistici, allargare l’imbuto all’ingresso significa semplicemente spostare la selezione più avanti, forse rendendola ancora più traumatica. I dati del 2017 sul rendimento dei ricorsisti – apparentemente sottovalutati nelle sedi decisionali – suggerivano che molti studenti esclusi dal test avrebbero incontrato difficoltà serie nel percorso accademico. Nel 2025 questo scenario si è materializzato su scala nazionale: migliaia di giovani motivati si sono ritrovati bocciati in blocco dopo un paio di mesi di corso, con il rischio di aver perso un anno per nulla.
Va detto che il sistema precedente del numero chiuso non era privo di difetti, anzi. Poteva apparire crudele selezionare a priori con un quiz nozionistico e di logica, e negli anni non sono mancati errori nei test, ricorsi legittimi e accuse di favorire chi poteva permettersi costosi corsi preparatori. Allo stesso modo, il modello del semestre filtro non va demonizzato in toto: in astratto l’idea di valutare gli aspiranti medici su conoscenze disciplinari vere, dopo averle insegnate, ha una sua logica pedagogica. Il problema sta nell’implementazione: tempi, modi e risorse. Il “metodo alla francese” richiede investimenti importanti (aule, docenti, tutoraggi per migliaia di studenti) e una pianificazione attenta per non trasformarsi in un tritacarne di masse studentesche. In Italia, l’impressione diffusa è che si sia voluto cambiare tutto in fretta, senza sufficienti garanzie di sostenibilità.
Le implicazioni culturali e politiche di questa vicenda sono rilevanti. Da un lato, tocca il tema dell’ascensore sociale e del rapporto tra giovani e istituzioni: una generazione già provata da incertezze si è sentita prima illusa e poi abbandonata, portando alcuni a perdere fiducia nelle promesse dello Stato. Dall’altro lato, la formazione dei medici – pilastro del sistema sanitario – non può essere terreno di sole battaglie ideologiche: servono medici preparati, ma serve anche dare opportunità a chi ha la vocazione. Trovare l’equilibrio tra meritocrazia ed equità nell’accesso all’università rimane una sfida aperta.
In conclusione, il caso del semestre filtro 2025 è destinato a fare scuola (in negativo) e costringerà a ripensare la programmazione degli accessi a Medicina. Le soluzioni future dovranno necessariamente tenere conto sia dei dati empirici sia delle esigenze degli studenti. Ignorare le evidenze – come quelle emerse già nel 2017 – può portare a riforme fallimentari. Allo stesso tempo, perseverare con sistemi percepiti come ingiusti alimenta contenziosi e malcontento. Probabilmente, come spesso accade, la via da seguire sta in una progettazione ponderata e condivisa: magari un modello misto, che combini una preparazione orientativa iniziale con criteri di selezione più graduali e supporto didattico per chi è in difficoltà. Ciò che è certo è che l’accesso a Medicina resterà un tema caldo, dove dati e promesse dovranno finalmente incontrarsi, per non tradursi in nuove occasioni mancate.









