Il nuovo sistema del semestre filtro per l’accesso a Medicina, Odontoiatria e Veterinaria ha mostrato risultati allarmanti al primo giro di esami. Dopo la prima sessione del 20 novembre, meno del 15% dei candidati è riuscito a superare tutte le prove richieste. In altre parole, circa nove studenti su dieci non hanno passato il “test” in questa prima tornata. Si tratta di percentuali di promozione estremamente basse e mai viste in precedenza, che stanno sollevando molte domande. Di seguito analizziamo che cos’è il semestre filtro, quali sono stati i risultati del primo appello e perché si è verificata una tale “valanga di bocciature”, confrontando la situazione con il vecchio sistema del quiz d’ingresso e con le difficoltà riscontrate dagli studenti negli esami tradizionali di queste materie.
Cos’è il semestre filtro e i risultati del primo appello
Il semestre filtro è la nuova modalità di selezione introdotta dal Ministero dell’Università per il 2025/2026 in sostituzione del tradizionale test d’ingresso a numero chiuso. In pratica, tutti gli aspiranti medici, odontoiatri e veterinari possono iscriversi liberamente al primo semestre dei rispettivi corsi di laurea senza dover superare prima un quiz di ammissione. Durante questo semestre aperto (da inizio settembre a fine novembre) gli studenti frequentano tre insegnamenti fondamentali – Biologia, Chimica (con propedeutica biochimica) e Fisica – ciascuno da 6 crediti formativi. Al termine, però, scatta la selezione: i candidati devono sostenere e superare gli esami di tutte e tre le materie per poter proseguire gli studi nel secondo semestre.
Il 20 novembre si è svolto il primo appello nazionale di questi esami. Ogni prova consisteva in 31 quesiti (15 a scelta multipla e 16 a completamento) da svolgere in 45 minuti. Per essere dichiarati “idonei” era necessario ottenere almeno 18/30 in ciascuna materia. Chi ha superato la soglia minima in tutti e tre gli esami entra nella graduatoria nazionale per l’ammissione a Medicina/Odontoiatria/Veterinaria.
I risultati pubblicati il 3 dicembre hanno dipinto un quadro decisamente preoccupante: solo tra il 10% e il 15% dei partecipanti ha passato tutte le prove al primo tentativo. In altre parole, circa l’85-90% degli iscritti al semestre aperto è stato bocciato ad almeno uno degli esami nella prima sessione. Complessivamente avevano affrontato gli esami circa 50-53 mila candidati su tutto il territorio nazionale, dunque i promossi completi (con tre esami superati) sono soltanto sui 5-8 mila studenti. Il dato appare omogeneo a livello nazionale: in tutti gli atenei le percentuali di successo sono rimaste a due cifre basse, senza grandi differenze geografiche.
A conferma di ciò, molte università hanno diffuso i propri esiti che mostrano numeri simili ovunque. Ad esempio, alla Statale di Milano solo il 12% circa degli studenti ha superato l’esame di Fisica (considerando la soglia di 18/30), il 24% quello di Chimica e il 30% Biologia. A Bari solo 1 studente su 10 ha ottenuto la sufficienza in Fisica; valori quasi identici a Napoli Federico II (10%) e Catania (appena 9,4% di promossi in Fisica). Anche dove è andata “meglio”, come a Pavia o Bologna, in Fisica si è rimasti intorno al 15% di successi. In generale Fisica si è confermata la prova più ostica, con tassi di superamento inferiori rispetto a Chimica e Biologia in tutti gli atenei. Basti pensare che a Palermo ha passato Fisica solo il 14% circa, contro il 30% in Chimica e il 45% in Biologia. Questa disciplina si è rivelata il vero “collo di bottiglia” dell’intero filtro selettivo.
Va sottolineato che per proseguire il percorso di studi è necessario superare tutte e tre le materie. Anche uno solo degli esami sotto il 18 significa esclusione dalla graduatoria e quindi dalla possibilità di immatricolarsi al corso di laurea. In particolare molti candidati, pur avendo magari ottenuto un buon punteggio in Biologia e Chimica, sono stati bocciati complessivamente a causa di un voto insufficiente in Fisica. Questo spiega perché la percentuale di chi ha superato tutti gli esami sia allineata alla percentuale più bassa tra le materie (appunto quella di Fisica, intorno al 10-15%).
È già prevista una seconda sessione di esami il 10 dicembre, alla quale gran parte degli studenti non idonei si iscriverà per tentare di migliorare i voti o colmare le insufficienze. Ogni candidato ha infatti la facoltà di rinunciare ai voti del primo appello e ripetere uno, due o tutti e tre gli esami al secondo appello, nel tentativo di ottenere punteggi più alti. Al Ministero hanno già fatto sapere che le prove della seconda sessione sono state predisposte e avranno difficoltà simile alle prime – non ci sarà dunque un abbassamento dell’asticella in corsa. Gli esiti del secondo appello saranno pubblicati entro il 23 dicembre. Vale la pena ricordare che il voto ottenuto nella seconda prova (se positivo) sarà definitivo, sia ai fini della graduatoria di ammissione sia come voto registrato nel libretto universitario dello studente. Infatti, questi esami del semestre filtro fanno parte a tutti gli effetti del curriculum: chi verrà ammesso a Medicina/Odontoiatria/Veterinaria se li ritroverà convalidati come esami del primo anno, con i relativi crediti e voti che entreranno nella media.
Alla luce dei risultati finora emersi, c’è già un potenziale scenario paradossale: se anche dopo il secondo appello la percentuale di promossi totali rimanesse bassa, per la prima volta si avrebbe un numero di studenti ammessi inferiore ai posti disponibili a bando. Il Ministero ha stanziato infatti (poco meno di) 20 mila posti complessivi per Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, ma con i numeri attuali rischiano di non essere tutti occupati. Finora un caso simile non si era mai verificato con i test di ingresso tradizionali (dove semmai restavano esclusi molti idonei in eccesso); vedremo se la situazione migliorerà con la seconda tornata di esami.
Perché così tanti bocciati? – Le possibili cause
Di fronte a un tasso di promozione così basso al primo appello, ci si interroga sulle cause di questa “strage” di bocciature. Diversi fattori, strutturali e contingenti, possono aver contribuito:
- Requisiti di superamento più stringenti: La struttura stessa del nuovo esame ha imposto criteri molto severi. Ogni studente deve raggiungere almeno 18/30 in tutte le materie, senza possibilità di compensare una prova andata male con un’altra più brillante. Nel vecchio test d’ingresso, invece, il punteggio era unico e sommava le varie sezioni: ciò permetteva di bilanciare eventuali lacune in una disciplina (ad esempio la Fisica) con punteggi migliori in Biologia, Chimica o Logica. Ora anche un singolo voto insufficiente comporta l’esclusione. Questo cambiamento ha penalizzato quei candidati con preparazione disomogenea, che magari eccellono in certe materie ma sono deboli in altre. In particolare, Fisica è diventata determinante: molti aspiranti medici tradizionalmente faticano in questo ambito, ma prima potevano comunque entrare se il punteggio totale era sufficiente; adesso, invece, un 17 in Fisica vanifica anche un 30 in Biologia. Il filtro quindi è più rigido, perché richiede una preparazione minima in tutte le aree scientifiche.
- Difficoltà delle prove (soprattutto in Fisica): Dai programmi ufficiali emerge che gli esami del semestre aperto coprono una mole ampia di contenuti, equivalente a corsi universitari introduttivi. Molti studenti hanno trovato le domande particolarmente impegnative e tecniche, al di là della semplice memoria nozionistica. La Fisica in particolare si è rivelata ostica: i quiz spaziavano dalla meccanica alla termodinamica fino all’elettromagnetismo, richiedendo anche capacità di calcolo e applicazione pratica di formule, il tutto in tempi stretti. È risaputo che una parte consistente degli aspiranti medici proviene da licei dove l’enfasi sulle materie scientifiche (in particolare la fisica e la matematica) è minore – basti pensare ai molti studenti di Liceo Classico che poi affrontano Medicina. Questi studenti si sono trovati ad affrontare una prova di fisica quasi da facoltà di Ingegneria, ed è comprensibile che in tanti non abbiano raggiunto la sufficienza. Anche chi veniva da un liceo scientifico ha segnalato difficoltà: non si trattava di semplici quiz mnemonici, ma di problemi in cui occorreva padroneggiare bene i principi teorici per scegliere o calcolare la risposta corretta. Insomma, il livello della prova potrebbe aver superato le aspettative e la preparazione media dei candidati. Non a caso la stragrande maggioranza (oltre l’80-90%) è stata bocciata in Fisica, trascinando verso il basso l’intero esito del test.
- Preparazione insufficiente e tempo ridotto: L’introduzione del semestre aperto ha modificato anche le tempistiche di preparazione degli studenti. In passato, chi affrontava il test di ammissione spesso studiava per mesi (se non per anni) sui manuali specifici, frequentando corsi estivi di preparazione al quiz e così via. Quest’anno molti hanno confidato nel fatto di poter apprendere le materie direttamente durante il primo semestre universitario. Tuttavia, il periodo a disposizione era piuttosto breve: di fatto circa due mesi e mezzo di lezioni (da metà settembre a fine novembre) per coprire interi programmi di Biologia, Chimica e Fisica. Inoltre la didattica è stata in larga parte online, a causa dell’elevatissimo numero di iscritti che gli atenei non potevano fisicamente ospitare in aula. È possibile che questa modalità mista e accelerata non abbia garantito a tutti una preparazione solida. Alcuni studenti hanno lamentato di non essere stati ben informati su cosa li aspettasse e di aver sostenuto la prova un po’ “al buio”. Ad esempio, gruppi di studenti avevano protestato sostenendo che i materiali forniti e le simulazioni fossero scarse, e che l’esame fosse risultato molto più difficile di quanto previsto. Insomma, l’organizzazione alla prima edizione non è stata ottimale: molti candidati potrebbero aver sottovalutato l’esame o non aver avuto il tempo/metodo giusto per assimilare adeguatamente tutti gli argomenti in così poco tempo.
- Platea di candidati più ampia e diversificata: Aprire le porte dell’università a tutti, senza selezione iniziale, ha portato ai blocchi di partenza anche studenti che probabilmente non avrebbero superato il vecchio test di ingresso. Nel sistema precedente, il quiz fungeva da filtro preliminare, selezionando in graduatoria tipicamente i più preparati (o più allenati ai quiz) fino a coprire i posti disponibili. Con il semestre libero, invece, chiunque ha potuto iscriversi e tentare gli esami, anche con livelli di preparazione molto eterogenei. È dunque naturale aspettarsi una percentuale di bocciati maggiore, perché la popolazione di partenza includeva molti profili “deboli” dal punto di vista delle conoscenze scientifiche di base. Alcuni iscritti potrebbero aver provato quasi per tentativo, sperando magari in prove più abbordabili, o semplicemente per vedere il proprio livello. Questo effetto “inclusivo” ha gonfiato il numero di partecipanti (oltre 54 mila iscritti iniziali al semestre aperto) ma inevitabilmente ha abbassato la percentuale di successo. In altre parole, il test di novembre ha mietuto tante bocciature anche perché ha dovuto scremare ex post quella selezione che prima veniva fatta ex ante. Va aggiunto inoltre che l’abolizione del test ha portato molti studenti a considerare seriamente Medicina anche senza un’adeguata preparazione pregressa: mentre prima la difficoltà e la competizione del quiz scoraggiavano chi non era disposto a studiare a fondo prima ancora di entrare, adesso il messaggio passato era “provaci comunque, hai un semestre per formarti”. Purtroppo, recuperare in due mesi lacune che magari risalgono a anni di scuola superiore non è facile, e i risultati lo riflettono.
- Peso eccessivo della Fisica nel punteggio complessivo: Un aspetto tecnico che vale la pena evidenziare è che la riforma ha cambiato anche la ripartizione delle materie nella selezione. Nel test tradizionale di Medicina, la Fisica rappresentava una quota minoritaria delle domande (circa il 15-20% dei quesiti totali) e conviveva con altre sezioni come logica, cultura generale, biologia e chimica. Nel semestre filtro, invece, la Fisica conta esattamente un terzo del processo di ammissione (un esame su tre). Questo aumenta l’impatto di una materia storicamente ostica per molti aspiranti camici bianchi. Chi è bravissimo in biologia ma pessimo in fisica, con il vecchio test poteva sperare di cavarsela grazie al punteggio complessivo; ora come ora, non ha scampo: l’esame di Fisica “pesa” quanto quello di Biologia nel determinare l’ammissione. Questo riequilibrio nelle materie forse risponde all’idea di privilegiare competenze scientifiche solide e complete, ma di fatto ha penalizzato la platea tipica dei candidati a Medicina, spesso più ferrati in discipline biologiche che fisico-matematiche.
- Effetto “copiature” ridimensionato: Paradossalmente, il flop generalizzato delle prove sembra aver smentito anche i timori della vigilia riguardo a possibili copiature di massa. Nelle settimane precedenti l’esame si era molto discusso del rischio di cheating, dopo alcune segnalazioni di irregolarità (ad esempio foto dei quiz circolate in chat). Di fronte a bocciature così diffuse, però, appare evidente che gli studenti non hanno potuto aggirare l’ostacolo copiando. Se vi sono stati tentativi, non hanno influito significativamente sui risultati globali. Il Ministero dell’Università stesso ha commentato questi dati sottolineando che essi “dimostrano che gli studenti non hanno copiato e che l’esame è valido” – quasi un barbatruc per consolarsi di fronte alla debacle. Dunque l’alto tasso di bocciati non è dovuto a particolari misure anti-cheat o a inasprimenti punitivi, ma semplicemente al livello di preparazione insufficiente rispetto alla difficoltà delle prove.
In sintesi, le cause delle molte bocciature vanno ricercate nell’incrocio tra un meccanismo di selezione più rigido e diverso dal passato e una serie di criticità organizzative e formative al debutto di questa riforma: un mix che ha portato migliaia di studenti a fallire uno o più esami del semestre filtro.
Confronto con il vecchio sistema del test d’ingresso
Per capire meglio la portata di quanto accaduto, è utile confrontare questi numeri con quelli che si registravano negli anni precedenti con il tradizionale test a risposta multipla. Normalmente, il test di Medicina (un’unica prova nazionale di 60 quiz) selezionava un certo numero di candidati in base al punteggio, fino a coprire i posti disponibili. Ad esempio, nel 2022 circa 56.700 studenti parteciparono al test di settembre per Medicina e discipline collegate, a fronte di 15.876 posti disponibili a livello nazionale. La metà circa dei partecipanti (50-55%) risultò “idonea” – ovvero riuscì a raggiungere almeno il punteggio minimo di 20 su 90, necessario per entrare in graduatori. Tuttavia, solo i primi 15-16 mila in graduatoria ottennero effettivamente il posto, corrispondenti a circa il 25-28% dei candidati totali. Questo significa che, con il vecchio sistema, all’incirca un candidato su quattro in media riusciva ad entrare a Medicina (percentuale variabile di anno in anno, ma sempre superiore al 20%). In alcuni anni recenti la quota di idonei era ancora più alta – nel 2019 arrivò attorno al 70% – segno che molti superavano la soglia minima, pur restando poi esclusi per il numero chiuso.
Di fronte a ciò, il dato del 12% (circa) di candidati completamente idonei al primo appello del semestre filtro appare estremamente basso. Anche ipotizzando che la seconda sessione del 10 dicembre permetta ad altri studenti di superare gli esami mancanti, la percentuale finale di ammessi difficilmente potrà avvicinarsi a quel ~25% che era la norma con il test tradizionale. Se ad esempio dal secondo appello uscisse un ulteriore 10-15% di promossi, si arriverebbe comunque forse al 20-25% totale di idonei, cioè ancora sotto o appena pari ai posti disponibili (che, ricordiamo, sono stati ampliati fino a sfiorare i 20 mila). Sarebbe la prima volta che l’imbuto della selezione “stringe” più del numero programmato stesso, rischiando di non riempire tutti i banchi nelle aule di medicina. In passato, semmai, succedeva il contrario: c’erano molti più candidati idonei che posti, e la graduatoria nazionale serviva proprio a far rientrare nei corsi solo una frazione di loro, lasciando gli altri esclusi pur avendo raggiunto un punteggio minimo. Oggi invece potremmo trovarci nella situazione paradossale di dover cercare studenti idonei per coprire i posti liberi.
Un altro aspetto di confronto riguarda il contenuto delle prove. Il test di ingresso tradizionale comprendeva, oltre alle materie scientifiche, anche domande di logica e cultura generale (negli ultimi anni ridotte di numero, privilegiando comunque biologia e co.). Nel quiz 2022, ad esempio, c’erano 4 quesiti di comprensione del testo, 5 di ragionamento logico, 23 di biologia, 15 di chimica e 13 di fisica/matematica. Dunque su 60 domande complessive, le scienze di base rappresentavano circa l’85%, con la biologia a farla da padrona. La fisica (e matematica) pesava solo per circa un quinto del test. Nel semestre filtro attuale, invece, ogni materia conta uguale: Biologia, Chimica e Fisica hanno ciascuna 31 quesiti e lo stesso “peso” ai fini dell’ammissione. Di conseguenza, il ruolo della fisica è molto più incisivo nella selezione 2025 rispetto al passato. Questo cambiamento metodologico, come già evidenziato, ha avuto un impatto pesante perché la fisica è risultata l’ostacolo principale per tantissimi candidati.
Va inoltre notato che gli studenti ammessi attraverso il vecchio test affrontavano poi questi stessi esami (chimica, bio, fisica) nel corso del primo anno di università, ma con una differenza fondamentale: li sostenevano da regolarmente immatricolati e avevano più tempo per prepararli, potendo contare anche su più appelli durante l’anno. In pratica, nel sistema tradizionale le materie scientifiche di base venivano comunque studiate e verificate, ma dopo l’ingresso: chi era entrato a Medicina grazie al quiz doveva poi superare l’esame di Chimica, di Biologia, di Fisica nel corso del primo o del secondo anno, per poter proseguire verso gli anni clinici. Quelle prove erano note per essere impegnative e talvolta selettive (molti ricorderanno che “chimica e fisica” sono scogli iniziali che mettono in crisi parecchie matricole di Medicina). La differenza cruciale è che, con il vecchio sistema, l’eventuale bocciatura a un esame del primo anno non comportava l’uscita dal corso di laurea, ma semplicemente la necessità di riprovare l’esame all’appello successivo. Uno studente ammesso tramite test poteva fallire l’esame di fisica a gennaio e ritentarlo a giugno, restando comunque iscritto a Medicina. Con il semestre filtro, invece, la bocciatura in Fisica a novembre significa non essere ammesso al corso di laurea, dunque restare fuori da Medicina ancor prima di cominciare davvero.
In sintesi, le “bocciature” che prima avvenivano durante il primo anno di università, ora avvengono prima dell’immatricolazione e determinano subito l’esclusione. Questo rende il processo più draconiano sul breve periodo. Se volessimo paragonare i numeri, potremmo chiederci: la percentuale di studenti che storicamente passava questi esami al primo colpo durante il corso di studi era paragonabile al 10-15%? Probabilmente no: gli studenti ammessi per concorso erano mediamente più preparati in partenza, e inoltre affrontavano gli esami con un po’ più di rodaggio universitario. I tassi di superamento al primo appello interno di chimica, biologia o fisica in una facoltà di Medicina tradizionale non sono pubblici a livello nazionale, ma è lecito supporre che fossero più alti di questo 10%. Ad esempio, se a Palermo quest’anno solo il 45% ha passato Biologia nel semestre filtro, è improbabile che in passato oltre la metà delle matricole risultasse bocciata a Biologia al primo anno; molto spesso, infatti, gli studenti di Medicina, una volta dentro, riescono a superare questi esami (magari non tutti al primo tentativo, ma nel giro di più sessioni). La grande falcidie attuale suggerisce dunque che il semestre aperto sta funzionando come un test d’ingresso “dilatato” e più severo: dilatato perché sposta la selezione dopo un periodo di lezioni, ma più severo perché pretende una sufficienza in ogni ambito.
Cosa ci portiamo a casa da questi risultati?
Il debutto del semestre filtro ha quindi messo in luce diverse criticità. Le intenzioni della riforma erano di dare a tutti un’opportunità di formazione prima della selezione, con l’idea di allargare il bacino di aspiranti medici e magari colmare lacune attraverso la didattica universitaria. Nei fatti, questa prima tornata sembra aver spostato in avanti la selezione senza ridurne la durezza, anzi forse accentuandola su determinati aspetti (la fisica in primis). I numeri ci dicono che, al primo giro, il nuovo sistema ha escluso per ora proporzionalmente anche più candidati di quanto facesse il vecchio test.
Certo, il quadro definitivo si avrà solo dopo il secondo appello di dicembre. È possibile che molti studenti, forti dell’esperienza della prima prova e di altre due settimane di studio intenso, riescano a colmare le mancanze – ad esempio a superare finalmente l’esame di Fisica al secondo tentativo. Questo potrebbe far salire significativamente la percentuale di promossi complessivi, avvicinandola ai livelli attesi. L’auspicio delle istituzioni è che il “taglio” finale risulti in linea con il numero di posti, così da non sprecare possibilità di formazione di nuovi medici (ricordiamo che l’obiettivo dichiarato della ministra Bernini era aumentare il numero di medici formati ogni anno, non certo ridurlo).
Se però anche la seconda prova dovesse confermare un alto tasso di insuccessi, il Ministero si troverebbe ad affrontare un problema serio. Un esito al di sotto delle aspettative metterebbe in discussione l’efficacia e la sostenibilità stessa di questo nuovo modello di accesso. Già vi sono discussioni e polemiche in corso: studenti e associazioni universitarie criticano la riforma definendola un flop, mentre dal canto suo il Ministero difende la validità dell’esame (sottolineando, ad esempio, il fatto positivo che non si siano verificati imbrogli su larga scala). Tuttavia, non si può ignorare che ritrovarsi con aule semivuote a fronte di migliaia di candidati bocciati sarebbe un paradosso difficile da giustificare. In tal caso, si potrebbe pensare a correzioni di rotta: ad esempio organizzare un terzo appello straordinario per recuperare altri idonei, oppure rivedere per gli anni a venire la difficoltà delle prove o i criteri di valutazione (magari tornando a un punteggio unico invece che alle soglie per materia). È presto per dirlo, ma sicuramente il Ministero dovrà monitorare attentamente i risultati e l’andamento di questa selezione sperimentale.
In conclusione, il primo impatto del semestre filtro evidenzia che dare accesso libero non basta, se poi la selezione risulta altrettanto severa. Molti studenti si sono iscritti pieni di speranze, ma si sono trovati di fronte a prove non più facili del quiz abolito – anzi, per alcuni versi più insidiose. Le cause delle bocciature di massa vanno dalla rigidità del nuovo meccanismo, alle lacune formative pregresse, fino a possibili problemi organizzativi nel preparare gli studenti in così poco tempo. Il confronto col vecchio sistema mostra vantaggi e svantaggi di entrambe le modalità: la selezione tradizionale escludeva subito tanti candidati ma almeno garantiva di occupare tutti i posti disponibili; il semestre aperto dà a tutti una chance formativa, ma rischia di lasciare per strada altrettanti (se non di più) ragazzi, dopo aver investito mesi di corso.
La sfida per il futuro sarà capire se questo modello può essere aggiustato per trovare un equilibrio migliore. Un obiettivo potrebbe essere quello di aumentare il tasso di successo senza abbassare la qualità: ad esempio potenziando il supporto didattico durante il semestre (più tutoraggi, simulazioni, recuperi mirati per chi è indietro) o modulando i quiz in modo da valutare conoscenze davvero essenziali per proseguire gli studi. Solo così il semestre filtro potrebbe trasformarsi da “trappola” a reale opportunità di orientamento e selezione meritocratica. Intanto, l’attenzione è rivolta al secondo appello: sarà un banco di prova tanto per gli studenti (chiamati al riscatto) quanto per il Ministero, che da quei numeri capirà se la sua riforma sta formando i medici di domani o sta semplicemente spostando più avanti il momento dei no.









