Appena finita la maturità, c’è chi sa già cosa fare: iscriversi all’università, magari in quella facoltà sognata da tempo, con le idee piuttosto chiare. Ma non per tutti è così. C’è anche chi si sente confuso, stanco, o semplicemente ha bisogno di tempo per capire dove vuole andare davvero. Magari non lo sa spiegare bene, ma sente che buttarsi subito in un’altra corsa—tra esami, scadenze, nuove ansie—non è la cosa giusta. È proprio in questo spazio, tra una fase della vita che finisce e una che ancora non si conosce, che nasce la possibilità di fare un Gap Year: un anno di pausa tra scuola e università, scelto non per mollare tutto, ma per prendersi cura di sé, per cercare, esplorare, crescere.
Cos'è un Gap Year e perché prenderlo in considerazione
Un Gap Year è questo: un tempo fuori dal copione classico, in cui si può viaggiare, lavorare, fare volontariato, imparare cose nuove… insomma, vivere esperienze che aiutano a conoscerti meglio prima di decidere il prossimo passo. Non è un anno perso, ma un tempo di orientamento attivo. Nei paesi anglosassoni è una pratica consolidata: università prestigiose come Princeton incoraggiano gli studenti ammessi a considerare percorsi alternativi per un anno. In Italia, questa scelta sta lentamente emergendo come risposta a una scuola che spesso lascia poco spazio alla riflessione profonda su di sé e sul proprio futuro.

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I vantaggi: tempo per scegliere, strumenti per crescere
Prendersi un Gap Year può aiutare a:
- Evitare scelte affrettate all’università, riducendo il rischio di abbandono o insoddisfazione.
- Chiarire i propri obiettivi, esplorando passioni, talenti, dubbi.
- Acquisire esperienze concrete, sia in Italia che all’estero: lavorative, linguistiche, sociali.
- Diventare più autonomi e consapevoli, entrando nel mondo accademico (o del lavoro) con una maturità diversa.
Studi internazionali mostrano che gli studenti che fanno un Gap Year hanno performance accademiche migliori, più motivazione e maggiore soddisfazione nelle scelte successive.
I rischi: solo se è un vuoto senza direzione
Il Gap Year non è una panacea. I rischi ci sono, soprattutto se si traduce in un anno di inattività. Si possono perdere abitudini di studio, sentirsi disallineati rispetto ai coetanei, avere costi da sostenere senza ritorni. Per questo, serve un minimo di progettazione: il Gap Year funziona solo se è orientato, se ha un senso per chi lo sceglie.
Come orientarsi: domande, strumenti, ascolto
Il primo passo non è cercare il programma giusto, ma farsi le domande giuste: perché voglio prendermi una pausa? Cosa voglio esplorare? Di cosa ho bisogno in questo momento della mia vita?
Serve un orientamento non prescrittivo, ma esplorativo. Parlarne con un orientatore, un insegnante, una persona adulta di riferimento può aiutare a chiarirsi. Anche strumenti di auto-riflessione, test attitudinali, esperienze brevi (un campo, un corso, un lavoretto) possono offrire segnali preziosi.
Cosa fare durante il Gap Year: idee e programmi
Le opzioni sono molte:
- Volontariato (Servizio Civile Universale, Corpo Europeo di Solidarietà, ONG come Year Out).
- Lavoro temporaneo (per acquisire autonomia e magari finanziare altri progetti).
- Esperienze internazionali (au pair, viaggi, programmi work & travel, corsi di lingua all’estero).
- Corsi brevi e formazione non formale (corsi online, laboratori creativi, ITS, corsi professionalizzanti).
- Progetti personali (creativi, sportivi, imprenditoriali, sociali).
L’importante è combinare libertà e struttura, seguendo le proprie curiosità ma anche dandosi qualche obiettivo concreto. Anche un mix di esperienze è possibile: sei mesi di lavoro e sei di volontariato, tre mesi di viaggio e poi corsi online, ecc.
Aspetti pratici: burocrazia, soldi, università
In Italia non esiste il “congelamento” del posto all’università: se non ti iscrivi, perdi il posto. Alcuni atenei consentono sospensioni se ci si immatricola, ma va verificato caso per caso.
- Non essendo studente, non si ha diritto a borse di studio o agevolazioni fiscali legate allo status. Però si rimane fiscalmente a carico se si guadagna meno di una certa soglia.
- Esistono programmi finanziati (ESC, Servizio Civile) che coprono spese e danno un rimborso.
- Chi parte all’estero deve informarsi bene su visti, assicurazioni, sanità.
Tornare (e tornare diversi)
Rientrare da un Gap Year non è un problema: la stragrande maggioranza degli studenti rientra nel sistema accademico con maggiore motivazione, migliori risultati, più capacità di scelta. Serve solo preparare il rientro: allenare di nuovo le abitudini di studio, rientrare nei tempi dell’università, capitalizzare le competenze acquisite.
Una società che orienta davvero
Il Gap Year è una delle possibili risposte a un sistema che spesso costringe a scegliere troppo in fretta. Non è per tutti, ma merita di essere conosciuto, riconosciuto e valorizzato. In un contesto dove l’orientamento è ancora troppo centrato sulla scelta (rapida) del “cosa fare”, il Gap Year è un’opportunità per rimettere al centro il “chi voglio essere”.
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