Orientamento post-diploma: cosa funziona e cosa no secondo 4.000 studenti italiani

Il report CISIA svela aspettative, limiti e nuove idee per accompagnare i ragazzi dopo il diploma.

di Lucia Resta
13 ottobre 2025
1 MIN READ

Passare dalle superiori all’università è una delle svolte più grandi che ci troviamo ad affrontare: non è solo un atto accademico, è un passo che mette in gioco sogni, paure, curiosità e responsabilità. Eppure, molti studenti scoprono troppo tardi che orientarsi davvero – capire chi siamo, cosa vogliamo fare, quali strade sono possibili – non è un lusso, ma una necessità.

Il report Orientarsi dopo la scuola 2025, curato dal CISIA, ha chiesto direttamente a oltre 4.000 ragazze e ragazzi come hanno vissuto questo passaggio: cosa hanno trovato utile, cosa è mancato, quali ostacoli hanno incontrato, e cosa avrebbero voluto fin dall’inizio.

Questa non è solo una raccolta di dati: è uno specchio che ci riflette molte verità sul sistema dell’orientamento in Italia oggi. Ecco ciò che scopriremo insieme:

  • Cosa funziona: le iniziative che davvero aiutano a orientarsi
  • Cosa non funziona: le mancanze, le criticità, le zone d’ombra
  • Le voci degli studenti: i suggerimenti concreti che emergono direttamente da chi ha vissuto l’esperienza

Due nodi fondamentali che meritano un’attenzione particolare — le disuguaglianze nell’accesso all’orientamento e il momento in cui l’orientamento arriva (spesso troppo tardi) — che saranno il fulcro dei prossimi articoli.

Se sei uno studente, un genitore, un insegnante o semplicemente curioso di capire come migliorare davvero il sistema, questo articolo vuole farti vedere le cose dal “lato di dentro” di chi orienta e di chi è orientato.

Cos’è il report “Orientarsi dopo la scuola 2025”

Ogni scelta importante ha bisogno di buone domande. E il report Orientarsi dopo la scuola 2025 nasce proprio da qui: da una domanda semplice ma urgente: l’orientamento scolastico e universitario, così com’è oggi, funziona davvero per chi lo deve vivere?

A farsela è stato il CISIA (il Consorzio Interuniversitario che organizza i TOLC, i test d’ingresso per l’università), che ha deciso di intervistare direttamente chi quella fase la sta attraversando o l’ha appena vissuta: studentesse e studenti di tutta Italia.

Un’indagine fatta “dal basso”

L’obiettivo era chiaro: capire cosa funziona e cosa no nell’orientamento post-diploma, ascoltando in modo diretto i bisogni, i dubbi e le esperienze di chi deve scegliere il proprio futuro.
Per farlo è stato costruito un questionario online, semplice ma molto ben progettato, rivolto a tre gruppi principali:

  • chi è già iscritto all’università;
  • chi si è diplomato ma ha deciso di non iscriversi;
  • chi è ancora alle scuole superiori.

Il questionario è stato inviato a oltre 270.000 persone registrate ai portali del CISIA e di Orientazione.it. Hanno risposto in oltre 6.000, ma più di 4.300 lo hanno compilato fino in fondo, offrendo così un campione molto significativo, sia per numero che per varietà di profili.

Cosa si voleva scoprire?

L’indagine ruota attorno a tre domande fondamentali:

  • Quanto sono efficaci le attività di orientamento oggi proposte da scuole, università, enti e portali?
  • Quando le persone prendono (realmente) la decisione sul proprio percorso post-diploma?
  • Chi e cosa influenza questa scelta? Le passioni personali? La famiglia? I test? Gli amici?

A queste domande si è cercato di dare risposta in modo misurabile, ma anche leggendo le esperienze reali raccontate da chi si trova in questo passaggio cruciale della vita.

Un report che non resta “chiuso in un cassetto”

L’obiettivo del progetto non è accademico, ma pratico: fornire strumenti a scuole, università, operatori e decisori politici per migliorare davvero l’orientamento in Italia. Non con interventi generici, ma con dati e proposte concrete, nate direttamente da chi vive la scuola, affronta la scelta e spesso ne porta il peso, Ecco perché questo report è molto più di una ricerca: è una base concreta per cambiare le cose, e per farlo partendo da dove si dovrebbe sempre partire — dalle persone.

Chi sono i rispondenti: uno spaccato della popolazione studentesca italiana

Quando si parla di orientamento, spesso ci si limita a discutere “cosa dovrebbe essere fatto” senza tenere davvero conto di chi sono i ragazzi e le ragazze che lo vivono. Per questo uno degli aspetti più interessanti del report CISIA è che ci offre una fotografia reale, ricca di dettagli, di chi ha partecipato all’indagine.

I 4.363 rispondenti che hanno completato il questionario rappresentano un campione eterogeneo, composto da tre profili principali:

  • 80,9% sono studenti e studentesse già iscritti all’università
  • 8,4% sono diplomati ma non iscritti
  • 10,7% sono ancora alle scuole superiori

Questa suddivisione consente di leggere l’orientamento da più punti di vista: chi ha già scelto, chi ha deciso di non proseguire e chi deve ancora decidere. E già questo ci dà un primo messaggio forte: la scelta post-diploma non è un percorso lineare per tutti.

Un mix di scuole, territori e vissuti

Il report mostra una forte presenza di studenti provenienti dai licei, in particolare scientifico e classico. Meno rappresentati, invece, sono gli studenti degli istituti tecnici e professionali. Questa differenza non è solo statistica: riflette anche una diversa esposizione e accessibilità alle attività di orientamento, tema che approfondiremo nel prossimo articolo.

Sul fronte geografico, la partecipazione è distribuita abbastanza bene tra nord, centro e sud Italia, anche se il nord è leggermente più rappresentato. Le scuole italiane all’estero, invece, risultano quasi assenti.

Il ruolo della famiglia (e delle disuguaglianze)

Un dato particolarmente significativo riguarda il livello di istruzione e lo status socioeconomico delle famiglie. Il report mostra che:

  • chi frequenta licei ha, più spesso, genitori con titoli di studio universitari;
  • nei tecnici e professionali, invece, sono più frequenti famiglie con titoli di studio più bassi e condizioni economiche più fragili.

In altre parole, il contesto familiare incide ancora moltissimo sul tipo di scuola frequentata e, come vedremo, anche sulla possibilità di accedere ad attività di orientamento efficaci.

Una fotografia utile, non perfetta

Va detto che il campione non è stato selezionato in modo “scientificamente rappresentativo” (non è un campionamento probabilistico), ma è basato su chi ha scelto volontariamente di rispondere. Tuttavia, i dati raccolti riflettono molto bene le tendenze reali che chi lavora nella scuola o nell’università riconosce ogni giorno. Questo rende l’indagine uno strumento utile e credibile per chi vuole migliorare davvero l’orientamento — perché mette al centro non solo i numeri, ma i percorsi di vita delle persone coinvolte.

L’orientamento in pratica: chi lo fa, come e quando

Parlare di orientamento post-diploma in astratto è semplice. Ma quando si va a vedere cosa succede davvero — chi lo propone, in quali momenti dell’anno, con quali strumenti — le cose si fanno più complesse. Il report del CISIA lo mostra molto bene: se da un lato l’orientamento viene proposto in molte scuole e università, dall’altro spesso non arriva nel momento giusto e non ha il formato giusto.

Quanti studenti partecipano alle attività di orientamento?

Una prima buona notizia: il 76% degli studenti intervistati ha partecipato ad almeno un evento o attività di orientamento. La partecipazione è più alta tra gli iscritti all’università e tra chi frequenta il quinto anno delle superiori. Molto più bassa, invece, tra i diplomati non iscritti (quasi uno su due non ha mai partecipato a nessuna attività).

Questo ci dice due cose:

  • da un lato, chi poi sceglie e si iscrive, spesso è stato esposto a opportunità di orientamento,
  • dall’altro, chi non partecipa resta indietro, e a volte semplicemente non sa nemmeno che queste attività esistono.

Chi organizza l’orientamento?

La scuola resta il punto di partenza per la maggior parte degli studenti. Sono i docenti, soprattutto delle materie umanistiche e scientifiche, a segnalare eventi e opportunità. Ma c’è anche una buona quota di studenti che si informa in autonomia, spesso online, segno che il bisogno di orientamento è reale, anche quando l’offerta è limitata.

Le università fanno la loro parte, in particolare con gli Open Day, che si confermano una delle attività più partecipate e apprezzate. Interessante notare che oltre il 60% dei partecipanti a questi eventi poi si iscrive proprio in quell’ateneo. Questo significa che le esperienze concrete funzionano: visitare una facoltà, parlare con altri studenti, entrare in un’aula universitaria, può fare la differenza.

Che tipo di attività vengono proposte?

Qui emerge un nodo critico. Le attività più comuni sono:

  • gli Open Day generici,
  • le lezioni frontali di presentazione dei corsi,
  • gli incontri informativi su alternative all’università.

Ma quando si chiede agli studenti cosa avrebbero voluto fare, la risposta cambia:

  • laboratori interattivi,
  • simulazioni di una giornata tipo all’università,
  • colloqui individuali o in piccoli gruppi con tutor.

Insomma: gli studenti chiedono esperienze, non solo informazioni. Vogliono “toccare con mano” cosa significa vivere l’università, prima di decidere se fa per loro e in quale direzione andare.

Quando viene fatto l’orientamento?

Altro punto delicato: quasi tutto l’orientamento viene concentrato nell’ultimo anno delle superiori, spesso tra gennaio e maggio. Ma il 50% degli studenti dice che avrebbe preferito iniziare prima, magari nel penultimo anno, quando c’è più tempo per riflettere e meno pressione da esami, scadenze e maturità.

E chi non ha fatto orientamento?

Circa un quarto del campione non ha partecipato ad alcuna attività di orientamento. I motivi principali?

  • La scuola non li ha proposti (25,5%)
  • Pensavano di sapere già cosa fare (23,6%)
  • Non erano nemmeno a conoscenza che esistessero (15,9%)

A questo gruppo è stato chiesto: “Cosa ti aiuterebbe a decidere?” e le risposte sono interessanti e coerenti con quanto detto prima:

  • ascoltare chi ha già fatto una scelta simile,
  • provare una lezione universitaria,
  • fare un percorso guidato da aziende o enti,
  • svolgere un test attitudinale per conoscersi meglio,
  • consultare siti web che parlano di orientamento.

In breve, l’orientamento in Italia c’è, ma spesso arriva nel formato sbagliato e nel momento sbagliato. Chi riesce ad accedervi (soprattutto nei licei) ne trae beneficio. Ma tanti altri restano fuori — non per mancanza di voglia, ma per assenza di opportunità o di informazioni.

Che cosa funziona davvero (e cosa no)

Dopo aver esplorato chi partecipa all’orientamento, come e quando, arriva la domanda forse più importante: quali attività aiutano davvero gli studenti a scegliere con consapevolezza? E cosa invece non funziona? Le risposte che emergono dal report CISIA sono molto chiare. Dietro i numeri, si leggono desideri semplici e concreti: essere coinvolti, capire se stessi, toccare con mano la realtà dell’università e del lavoro. Il problema è che spesso ciò che viene proposto non corrisponde a ciò che serve davvero.

Cosa funziona

1. Open Day ben progettati
Non è solo un’occasione per distribuire dépliant. Quando gli Open Day diventano momenti di immersione reale nella vita universitaria, lasciano il segno. Lo dimostra un dato importante: oltre il 50% degli studenti che partecipano a un Open Day si iscrive poi proprio in quell’ateneo. Significa che vivere gli spazi, ascoltare testimonianze, vedere da vicino i corsi fa davvero la differenza.
Potenziare gli Open Day con laboratori, visite guidate e momenti di confronto diretto può renderli strumenti potentissimi di orientamento.

2. Il confronto con persone vicine
Nella scelta del corso universitario, hanno un forte impatto:

  • i familiari,
  • gli amici,
  • i professionisti che hanno ispirato curiosità.

Anche le esperienze di vita personale (viaggi, volontariato, sport, incontri) hanno un peso rilevante.
Tutto ciò conferma che la scelta post-diploma non è solo tecnica, ma profondamente legata all’identità, alle relazioni, all’immaginazione del futuro.

3. L’autonomia nella ricerca
Una buona percentuale di studenti si informa da sola, cercando eventi, siti, testimonianze online.
Questo ci dice due cose:

  • gli studenti non sono passivi: vogliono scegliere, capire, esplorare;
  • serve un’informazione più accessibile, ordinata, centralizzata.

Cosa non funziona

1. Orientamento solo informativo, non esperienziale
La maggior parte delle attività offerte oggi sono:

  • presentazioni generiche,
  • lezioni frontali,
  • brochure sull’offerta formativa.

Ma gli studenti non chiedono solo dati, chiedono esperienze:

  • simulazioni di lezioni reali,
  • incontri con tutor,
  • laboratori pratici,
  • momenti per scoprire cosa li appassiona davvero.

2. Tempistiche troppo strette
Come già anticipato, quasi tutto l’orientamento avviene nell’ultimo anno delle superiori, spesso quando la scelta va fatta in fretta. Molti studenti dicono di avere deciso tardi, in condizioni di pressione o incertezza.
Un orientamento efficace, invece, dovrebbe:

  • iniziare prima, idealmente già al terzo o quarto anno,
  • essere continuativo, non un evento isolato.

3. Mancanza di strumenti di autoconoscenza
Solo pochi studenti riferiscono di aver svolto test attitudinali, percorsi di riflessione personale, o attività pensate per capire quali siano le proprie competenze, inclinazioni e interessi. Eppure, sono proprio questi strumenti che aiutano a scegliere non solo “cosa fare”, ma chi vogliamo diventare.

Una distanza da colmare

In sintesi, il report evidenzia uno scarto tra offerta e domanda:

  • le scuole e le università offrono orientamento,
  • ma spesso non lo fanno nei modi o nei tempi che gli studenti trovano utili.

Serve un cambio di paradigma: meno orientamento da catalogo, più orientamento su misura.

Cosa ci dicono gli studenti su come migliorare l’orientamento

Se c’è un valore aggiunto nel report Orientarsi dopo la scuola 202”, è questo: non si limita a registrare cosa è stato fatto, ma chiede direttamente agli studenti cosa vorrebbero che fosse fatto meglio. E le risposte sono chiare, coerenti, spesso anche molto lucide. Chi ha partecipato all’indagine non si è limitato a criticare: ha indicato idee concrete, realizzabili, che possono davvero rendere l’orientamento più efficace, più inclusivo, più utile. Vediamo quali sono i principali messaggi che emergono.

1. “Aiutateci a conoscere davvero l’università”

Uno dei bisogni più ricorrenti è molto semplice: capire cosa vuol dire vivere l’università, al di là dei nomi dei corsi e dei CFU.
Gli studenti chiedono:

  • di sapere come funzionano realmente le lezioni, gli esami, i tirocini;
  • di conoscere i linguaggi, le modalità di studio, gli ambienti;
  • di essere guidati nel capire cosa cambia rispetto alla scuola superiore.

Spesso, la distanza tra scuola e università è culturale prima che tecnica. Accorciarla vuol dire facilitare le scelte.

2. “Fateci provare, non solo ascoltare”

C’è una forte richiesta di orientamento esperienziale, che va oltre le presentazioni frontali.
Le attività più desiderate sono:

  • simulazioni di lezioni universitarie;
  • laboratori pratici sugli sbocchi professionali;
  • colloqui individuali o in piccoli gruppi, con tutor o orientatori.

Questo tipo di approccio aiuta a costruire un’idea più concreta del percorso, e a capire se è davvero ciò che si vuole fare.

3. “Iniziamo prima”

Molti rispondenti, guardando indietro, avrebbero voluto cominciare a orientarsi prima del quinto anno, magari già dal terzo o dal quarto.
Il motivo?

  • C’è più tempo per riflettere con calma;
  • si è meno sotto pressione per esami, test, scadenze;
  • si possono valutare più strade senza la sensazione di “dover decidere tutto subito”.

4. “Vogliamo aiuto per conoscerci meglio”

Un’altra proposta forte riguarda gli strumenti per capire chi si è, cosa si vuole, quali sono le proprie attitudini. Pochi studenti hanno svolto test psicoattitudinali o attività guidate di autoconoscenza, eppure molti ne riconoscono il valore. Un buon percorso di orientamento non si limita a presentare l’offerta formativa, ma aiuta a mettersi a fuoco, anche dal punto di vista personale e motivazionale.

5. “Facciamo orientamento anche fuori dalla scuola”

Infine, diversi studenti segnalano l’importanza di:

  • ascoltare le esperienze di chi ha già fatto quella scelta (studenti universitari, giovani lavoratori);
  • confrontarsi con professionisti reali, che raccontano cosa fanno, come ci sono arrivati, cosa hanno imparato;
  • partecipare ad attività di orientamento organizzate da aziende, enti o associazioni.

In altre parole: l’orientamento è più utile quando si apre al mondo reale, non quando resta chiuso tra le mura scolastiche.

In sintesi: gli studenti chiedono orientamento, ma fatto bene

Quello che emerge dal report è che il bisogno di orientamento è forte, sentito, condiviso. Non c’è disinteresse. C’è piuttosto la frustrazione di trovarsi davanti a proposte generiche, tardive, tutte uguali per tutti. Ma c’è anche la consapevolezza che l’orientamento, se fatto bene, può davvero aiutare a fare scelte più consapevoli, più serene, più adatte. E sono proprio queste voci – così chiare, così oneste – a rappresentare il punto di partenza migliore per cambiare le cose.

Più vicini alle scelte reali degli studenti

Se c’è una cosa che questo report ci insegna è che l’orientamento non può più essere considerato una formalità da calendario. Non è (solo) una serie di eventi, una lista di corsi, un compito da sbrigare prima della maturità. È, o dovrebbe essere, un percorso continuo di accompagnamento, che aiuti ragazze e ragazzi a conoscersi meglio, a esplorare le possibilità, a fare scelte più consapevoli e meno solitarie.

I dati raccolti dal CISIA con Orientarsi dopo la scuola 2025 ci restituiscono una fotografia onesta, utile, preziosa: un sistema che si muove, sì, ma che ancora lascia indietro troppe persone; che informa, ma non sempre coinvolge; che parla, ma non sempre ascolta davvero.

Eppure, le proposte degli studenti ci sono, sono chiare e concrete: vogliono più esperienze, più ascolto, più tempo. E soprattutto, vogliono sentirsi protagonisti della loro scelta. Questa è forse la lezione più importante: l’orientamento non si fa “su” di loro, ma “con” loro. Prendere sul serio queste voci non è solo un dovere educativo, ma una possibilità reale per costruire percorsi più efficaci, più giusti, più umani.

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