Come si diventa digital marketer

Pioniere del marketing digitale, Enrico Marchetto racconta come si è inventato un mestiere che all’inizio non aveva nemmeno un nome.

di Anna Castiglioni
12 agosto 2025
1 MIN READ

Fino a pochi anni fa, il digital marketing non esisteva. Non c’erano corsi universitari dedicati, né job title precisi. C’erano però professionisti che, spesso in modo pionieristico, costruivano questa professione mentre la praticavano. Uno di questi è Enrico Marchetto, che lavora nel mondo del marketing digitale dai primi anni Duemila e ha visto nascere – e cambiare – ogni etichetta del settore: dal content marketing alla social media advertising. Abbiamo chiesto a lui cosa significa essere digital marketer oggi, in un contesto in cui i social media hanno cambiato gli equilibri del marketing tradizionale.

Enrico Marchetto

Quando hai capito che volevi diventare marketer?

Odio mettere i puntini sulle “i”, ma in questo caso sono più che necessari. Io faccio digital marketing, quel pezzo di marketing che opera sui canali digitali e, nel mio caso specifico, su Meta. Ecco io non ho mai voluto diventare ‘digital marketer’, perché semplicemente quando ho cominciato a lavorare io, il digital marketing nemmeno esisteva.

Ho iniziato occupandomi di contenuti online. Solo in un momento successivo la mia attività è stata categorizzata come ‘Content Marketing’, cioè il contenuto orientato principalmente alla SEO (erano i primissimi anni duemila). Ho fatto la mia prima inserzione su Meta nel 2012 senza mai più smettere: solo dopo qualche tempo è nata l’etichetta ‘Social Media Advertiser’.

Molto spesso, nella mia carriera, è capitato che fosse il mercato a dare una definizione di ciò che stavo facendo, perché mentre la facevo non aveva ancora un nome. Questo forse è il destino di chi non è un nativo digitale ed è nato in un mondo analogico, chi può dirlo. In realtà la mia vita era progettata per altro e il web marketing nasce in risposta a un fallimento, quello della mia carriera accademica.

Che percorso hai seguito per prepararti a questo lavoro (studio, corsi, pratica...)? Hai seguito un percorso “classico” o hai fatto scelte fuori dagli schemi?

Torno alla domanda precedente. Muoversi per primi in un settore, nel mio caso l’advertising, è una medaglia con due facce. Da un lato hai un vantaggio competitivo enorme. Dall’altro però sei privo di punti di riferimento, di maestri. Gli unici maestri che hai sono la tua pratica, i tuoi sbagli e altri colleghi e colleghe che come te ‘stanno imparando’.

 

Hai avuto mentori, coach, modelli a cui ispirarti?

Diciamo che quando ho sperimentato il social media advertising, gli unici punti di riferimento era negli USA (perché l’adv su Meta era stato introdotto con largo anticipo in America e solo dopo in Italia) e quindi sì, i ‘maestri’ di tecnica erano gli advertiser americani. Non so se il marketing abbia un preciso statuto ontologico, a me piace vederlo come una grande fusione di più discipline in cui il risultato è qualcosa di diverso dalla somma dei fattori che lo compongono. E quindi per me i grandi maestri vengono dalla Sociologia dei Consumi (Bernard Cova), dalla Psicologia Cognitiva (Gaetano Kanisza), dalla Sociologia (Henry Jenkins). Il digital marketing è una disciplina così fuori dagli schemi, che dovrebbe fondarsi su uno statuto che prenda spunto da un approccio multidisciplinare.

Quali sono state le difficoltà più grandi? E come le hai superate? C’è stata una svolta decisiva nel tuo percorso?

Le difficoltà sono state tante e diverse per periodo storico. Agli inizi della professione, il problema maggiore era l’evangelizzazione: perché mai un’azienda avrebbe dovuto spendere del denaro per promuovere un post su Facebook?
Evolvendo, il problema è diventato: “ok ma come misuro l’impatto?”. Attualmente il problema più grande è l’incrementalità, ovvero capire se la mia campagna mi abbia o meno portato un risultato incrementale. Quel prodotto l’ho venduto grazie alla mia campagna, o senza la mia campagna l’avrei venduto lo stesso?

Personalmente ho un grande alleato con cui ho risolto la maggior parte delle mie difficoltà e quell’alleato si chiama Excel. Numeri, serie storiche, ragionamenti di fronte ai dati trasformati in informazione. Adesso l’alleato ha cambiato nome e si chiama AI generativa e Agenti Intelligenti, ma il risultato non cambia. La svolta decisiva è una e una soltanto: quando la macchina, ovvero l’algoritmo di Meta, ha cominciato a funzionare meglio dell’uomo. Liberandomi un monte di ore enorme da investire sull’aspetto strategico e creativo.

Cosa puoi dire a chi oggi vuole intraprendere strada?

Un mese e mezzo fa sono stato a Parma a un evento di digital marketing. C’erano 1.500 persone e probabilmente in quel contesto ero il più vecchio. E non hai idea di quanto fossi felice di trovarmi in un contesto come quello, un contesto che io a 20 anni non avrei potuto nemmeno immaginare. In altre parole: studio e networking. Questa è l’unica strada da seguire. Banale, me ne rendo conto, ma se ti relazioni con il tuo prossimo con solide basi di studio, dai e ricevi una quantità di conoscenza indispensabile per evolvere.

 

Hai una risorsa (libro, video, podcast, sito, newsletter...) che consiglieresti?

In Italia ci sono grandi centri di formazione estremamente qualitativa con soglie di accesso molto basse. Per il social media management penso a Veronica Gentili, a Learnn, a tutta l’attività di divulgazione di Francesco Agostinis. E poi non ci dimentichiamo delle fonti pubbliche: io insegno al Master di Digital Marketing sia a Udine che a Prato. Sono percorsi lunghi e impegnativi, ma sono centri di eccellenza incredibile.

Com’è il tuo lavoro nel concreto – giornata tipo – oggi?

Ho due giornate tipo: la giornata da ufficio e quella da trasferta. La giornata da ufficio inizia col check up dei progetti in cui sono coinvolto. E questo lo faccio quotidianamente coi miei colleghi. Poi mi riservo sempre un po’ di tempo per il personal branding, soprattutto su LinkedIn. Non per chissà quali velleità, semplicemente considero LinkedIn uno dei principali canali di acquisizione clienti per la mia azienda. Poi le call: ho una media di 3 call al giorno. Sono due i capisaldi delle mie giornate: allenarmi
 e leggere (provo a leggere il 10 % di un libro ogni giorno, così mi assicuro di leggere almeno 36 libri in un anno)
. La mia giornata in trasferta è molto semplice: vado dal cliente per un colloquio o per una formazione.

Ci sono tuoi progetti o idee che vuoi condividere con noi?

Ho appena pubblicato un libro di cui vado molto orgoglioso. Si intitola Confessioni di un Marketer. È un tentativo autobiografico di raccontare la mia professione, usando un approccio un po’ mitomane: la soggettiva.

Cosa fa il digital media marketer

Il digital marketer è la figura professionale che si occupa di promuovere prodotti, servizi o brand attraverso i canali digitali. Lavorando su strumenti come social media, motori di ricerca, email, siti web e piattaforme pubblicitarie (come Google Ads o Meta), costruisce strategie su misura per raggiungere il pubblico giusto al momento giusto. Un buon digital marketer unisce creatività, analisi dei dati e comprensione del comportamento delle persone online.

Imposta campagne pubblicitarie su piattaforme come Facebook, Instagram o Google. Scrive testi persuasivi, sceglie immagini e video efficaci, definisce il pubblico da raggiungere e monitora i risultati. Analizza dati e report per capire cosa funziona e cosa va migliorato. Cura spesso anche la strategia sui social, l’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) e le email promozionali. In pratica, unisce creatività e numeri per far crescere un brand online.

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Dario Sigari è un archeologo, apprezzato esperto di arte rupestre, una branca dell’archeologia che nel nostro Paese ha una tradizione relativamente recente.