“La sfida più grande è stata tradurre la teoria in pratica. Nella realtà professionale si lavora con persone reali, ognuna con esigenze specifiche e difficoltà personali. L’aspetto umano è spesso più complesso della scienza stessa”. Con queste parole, il dottor Riccardo Roveda riassume uno dei passaggi più delicati della sua carriera: il momento in cui si è trovato davanti ai primi pazienti, scoprendo che le conoscenze universitarie erano solo una parte del lavoro.
Forse ti è capitato di dirti: “Da lunedì mi metto a dieta”. Magari l’hai fatto, magari no. E non è colpa tua: il cibo non è solo carburante, è emozione, abitudine, ricordo, consolazione. E quando cerchiamo di “mangiare meglio”, non basta sapere cosa mettere nel piatto: serve qualcuno che ci ascolti, che capisca la nostra vita, e che sappia trasformare consigli generici in un percorso che funzioni davvero per noi. Negli ultimi anni sempre più persone hanno capito che questo “qualcuno” spesso è il nutrizionista. Non un distributore di schede alimentari, ma un professionista che sa leggere tra le righe delle nostre abitudini e aiutarci a cambiare senza stravolgerci. Una figura che unisce scienza ed empatia, teoria e realtà.
La storia di Riccardo Roveda parte dai banchi dell’università, passa attraverso esperienze in aziende e studi medici, e arriva oggi a uno studio dove le persone entrano con mille domande e spesso qualche paura… e ne escono con un piano chiaro e un po’ di fiducia in più. Con lui scopriremo cosa significa davvero diventare nutrizionista e perché, al di là dei titoli di studio, è un lavoro che richiede testa, cuore e tanta pazienza.
Il percorso formativo per diventare nutrizionista
Dietro la professione di nutrizionista c’è un percorso di studi lungo, rigoroso e molto specifico. Non basta “amare il cibo” o leggere libri di alimentazione: per avere le competenze necessarie a prendersi cura della salute delle persone servono anni di formazione universitaria e un’abilitazione professionale. Il dottor Roveda ci spiega quali sono state le tappe fondamentali della sua formazione: “Ho intrapreso un percorso universitario presso l’Università Statale di Milano, dove ho conseguito una laurea triennale in Scienze e Tecnologie della Ristorazione, seguita da una laurea magistrale in Alimentazione e Nutrizione per la Salute Umana. Successivamente, ho sostenuto l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione di Biologo Nutrizionista“. Una volta ottenuta l’abilitazione ha iniziato a collezionare esperienze in importanti aziende: “Una tappa fondamentale del mio percorso è stata senza dubbio l’esperienza lavorativa in Nestlé Infant Nutrition e come informatore medico per un’azienda nutraceutica. Queste esperienze mi hanno dato una visione approfondita delle patologie e delle condizioni cliniche più comuni, creando un bagaglio professionale che oggi considero la mia chiave vincente“.
La sua storia mostra bene come diventare nutrizionista non significhi solo collezionare titoli universitari, ma mettere insieme competenze diverse: il rigore della scienza, la conoscenza pratica maturata sul campo, la capacità di leggere i bisogni delle persone e di tradurre i dati in consigli pratici. È in questo intreccio tra studio, esperienza e relazione umana che prende forma la professione di chi ogni giorno aiuta le persone a stare meglio attraverso l’alimentazione. Ecco perché, quando ci si chiede “che studi servono per diventare nutrizionista?”, la risposta non può limitarsi a un elenco di titoli di studio. Certo, servono la triennale, la magistrale e l’abilitazione, ma a fare davvero la differenza sono la curiosità, la voglia di sperimentarsi in contesti diversi e la capacità di trasformare la teoria in strumenti utili per le persone reali.
Il valore aggiunto delle esperienze extra-universitarie e competenze trasversali
Studiare è fondamentale, ma non basta. Lo ribadisce chiaramente il dottor Riccardo Roveda, che racconta quanto le esperienze fatte al di fuori dell’università abbiano inciso sulla sua crescita professionale: “Credo sia fondamentale acquisire esperienza pratica sul campo. Lavorare nel mondo aziendale e clinico mi ha permesso di confrontarmi con realtà molto diverse tra loro“. Accanto all’esperienza pratica, Roveda sottolinea anche l’importanza delle cosiddette soft skills: “È essenziale sviluppare competenze comunicative, empatia, e una buona capacità organizzativa, elementi indispensabili per la relazione con il paziente e la gestione autonoma di uno studio”.
Dietro queste parole c’è un concetto semplice ma profondo: i pazienti non sono fogli Excel da compilare, ma persone con storie, fragilità e vite complicate. Se non c’è ascolto, se non c’è empatia, nessuna dieta funziona davvero. Allo stesso modo, senza organizzazione, anche il professionista più preparato rischia di perdersi tra appuntamenti, cartelle cliniche e mille dettagli quotidiani. In fondo, ciò che rende speciale un buon nutrizionista non è solo la capacità di “scrivere un piano alimentare”, ma quella di entrare nella vita delle persone con rispetto, aiutandole a costruire un percorso sostenibile. È lì, nel dialogo e nella fiducia reciproca, che la scienza diventa cura.
Dalla teoria alla pratica: le prime sfide
Il passaggio dall’università alla professione è uno dei momenti più delicati per chiunque scelga questo mestiere. Studiare biochimica, fisiologia o nutrizione è fondamentale, ma trovarsi davanti a una persona in carne e ossa è tutta un’altra storia. L’università ti insegna la scienza, ma non ad avere a che fare con le persone, con quella signora che non riesce a rinunciare al dolce la sera, con il ragazzo che salta i pasti perché lavora troppo, con chi arriva con mille tentativi falliti alle spalle e un po’ di sfiducia negli occhi. È qui che inizia la vera formazione, quella che non si trova nei libri. “L’università ad oggi non ti prepara al rapporto con il paziente”, ammette Roveda. Ed è proprio lì, nell’incontro con l’altro, che la teoria comincia a trasformarsi in qualcosa di vivo: un piano alimentare che non è solo numeri e grammature, ma uno strumento per migliorare la vita quotidiana di una persona.
Aggiornarsi: un dovere (e una risorsa)
Fare il nutrizionista non significa “imparare una volta per tutte”. È una professione che vive di cambiamento continuo: nuove ricerche, nuovi trend, nuove esigenze delle persone. Restare fermi significa rischiare di essere superati. Il dottor Riccardo Roveda lo sottolinea con forza: “L’aggiornamento è assolutamente essenziale. Mi tengo informato tramite corsi ECM, notizie scientifiche, riviste specializzate, e anche ricevendo informatori scientifici che presentano novità e aggiornamenti. Non disdegno nemmeno i social media, che spesso permettono di cogliere trend e temi di attualità”.
Dietro questa frase c’è un messaggio chiaro: studiare non finisce mai. Le riviste scientifiche e i corsi di formazione garantiscono basi solide e affidabili, ma anche i social — se usati con attenzione — possono diventare uno strumento per capire come cambiano le domande e le preoccupazioni delle persone. In un mondo dove le fake news e le diete miracolose si diffondono in un clic, aggiornarsi non è solo un dovere verso se stessi come professionisti, ma soprattutto una responsabilità verso i pazienti. Perché un nutrizionista che sa distinguere tra scienza e moda diventa un punto di riferimento credibile, capace di dare chiarezza in mezzo alla confusione.
Gli strumenti del nutrizionista
Dietro la scrivania di un nutrizionista non ci sono solo fogli e penne. Oggi la tecnologia è una compagna indispensabile per organizzare il lavoro e offrire un servizio davvero completo ai pazienti. Il dottor Riccardo Roveda lo racconta così: “Fondamentale avere un software gestionale pratico, che permetta la gestione dei pazienti e lo studio di piani alimentari. Inoltre, strumenti di analisi corporea come bioimpedenziometri professionali sono molto utili”. In altre parole, non si tratta solo di preparare un piano alimentare, ma di poter seguire ogni persona nel tempo, monitorare i progressi, archiviare dati in modo ordinato. Un buon gestionale diventa quindi un alleato prezioso, soprattutto quando lo studio cresce e il numero di pazienti aumenta.
Accanto alla parte organizzativa, c’è la valutazione pratica: strumenti come il bioimpedenziometro permettono di misurare la composizione corporea (massa magra, massa grassa, idratazione) e di avere un quadro più preciso rispetto al semplice peso sulla bilancia. Dettagli che fanno la differenza non solo nella definizione del piano, ma anche nella motivazione della persona che vede i propri progressi nero su bianco. In fondo, gli strumenti del mestiere non sono mai fini a sé stessi: diventano preziosi solo quando sono messi al servizio della relazione con il paziente, aiutando a trasformare numeri e grafici in motivazione concreta.
I primi pazienti: come farsi conoscere
Per ogni giovane nutrizionista arriva, prima o poi, la domanda più difficile: come trovare i primi pazienti? Dopo anni di studio, esami e tirocinio, ci si ritrova davanti alla realtà concreta di dover costruire una rete di persone che si fidano di te. Non è semplice, e spesso è la parte che spaventa di più. Il dottor Riccardo Roveda racconta con gratitudine i suoi inizi: “Ho avuto la fortuna di iniziare all’interno dello studio di una nutrizionista già avviata, il che mi ha permesso di crescere in un contesto già funzionante”. Un trampolino che gli ha consentito di osservare, imparare e inserirsi in una realtà già rodata, senza dover inventare tutto da zero.
Ma non sempre è così: spesso bisogna farsi conoscere passo dopo passo, usando strumenti diversi. “I social media e il passaparola sono fondamentali per farci conoscere”, spiega. E aggiunge un consiglio pratico: “Utile anche collaborare con palestre e farmacie“. In altre parole, non basta saper fare bene il proprio lavoro: bisogna anche imparare a comunicarlo, a mostrarsi, a costruire credibilità giorno dopo giorno. I primi pazienti arrivano così, un po’ per fortuna, un po’ per fiducia trasmessa, un po’ grazie alla capacità di mettersi in gioco. Da lì nasce quel passaparola che, ancora oggi, resta la forma di pubblicità più potente.
Costruire un rapporto di fiducia
Quando una persona entra nello studio di un nutrizionista, porta con sé molto più di un obiettivo alimentare: c’è la sua storia, i suoi tentativi passati, le sue paure e le sue speranze. Ed è lì che si gioca la partita più importante: non sulla bilancia, ma nel rapporto di fiducia che si crea tra professionista e paziente. Il dottor Riccardo Roveda lo spiega con semplicità: “La fiducia si costruisce con l’ascolto, l’empatia e la capacità di adattare il piano nutrizionale alla realtà della persona. Non basta fornire una dieta: bisogna comprendere chi si ha davanti e trovare soluzioni sostenibili”.
In altre parole, la relazione nasce dal riconoscere l’altro come persona, non come “caso clinico”. C’è chi non riesce a rispettare una tabella perché lavora fino a tardi, chi ha bisogno del dolce dopo cena per sentirsi appagato, chi ha un legame complicato con il cibo. Serve pazienza, capacità di mediazione e realismo. Come sottolinea Roveda, “bisogna essere pratici e far capire che le esigenze della vita vera si comprendono”. È in questo spazio di comprensione reciproca che il nutrizionista diventa non solo un professionista della salute, ma anche un alleato, qualcuno che cammina accanto al paziente nel suo percorso.

Il dottor Riccardo Roveda, nutrizionista
Le problematiche più comuni in studio
Ogni paziente arriva con una motivazione diversa, ma alcune richieste tornano più spesso di altre. Non sorprende che la più frequente sia il desiderio di dimagrire. Ma il lavoro di un nutrizionista non si esaurisce qui: dietro a questa esigenza si nascondono spesso condizioni molto più complesse. “Molti pazienti cercano soluzioni per perdere peso”, racconta il dottor Riccardo Roveda, “ma le problematiche più comuni includono anche disturbi gastrointestinali, squilibri metabolici e condizioni legate a patologie croniche. Spesso si cerca anche un rapporto più sano con il cibo“.
Il punto è che il nutrizionista non lavora solo su ciò che si vede allo specchio. Lavora sulle difficoltà quotidiane: la digestione complicata, la stanchezza che sembra non passare mai, il diabete che richiede attenzione costante, le abitudini alimentari che diventano fonte di stress. E lavora soprattutto su quel legame invisibile, ma fortissimo, che ognuno di noi ha con il cibo. In questo senso, ogni incontro diventa unico: non esiste una dieta “standard”, ma un percorso cucito su misura, che tenga conto non solo delle analisi mediche, ma anche della storia personale e delle abitudini di vita.
Quando il paziente non segue il piano: cosa fare?
Succede a tutti. Un piano alimentare studiato con cura, appuntamenti fissati, motivazione alta… e poi qualcosa si inceppa. Un invito a cena, una settimana difficile al lavoro, una crisi di motivazione. Seguire le indicazioni alla lettera non è mai semplice, e spesso il nutrizionista si trova davanti a pazienti scoraggiati, convinti di “non essere capaci”. Il dottor Riccardo Roveda lo dice chiaramente: “Con pazienza e comprensione si cerca di capire le difficoltà reali e si riformula il piano insieme, con obiettivi più realistici. La rigidità non funziona: bisogna costruire un percorso condiviso”. In queste parole c’è tutta la differenza tra un approccio punitivo e uno umano. Un nutrizionista che giudica rischia di allontanare la persona; uno che ascolta, invece, apre uno spazio di fiducia dove il paziente può sentirsi compreso. A volte basta abbassare l’asticella, rivedere piccoli dettagli, adattare il percorso alla vita reale. Il punto non è la perfezione, ma la continuità. Non “seguire una dieta” come fosse una gabbia, ma imparare passo dopo passo a cambiare abitudini, trovando un equilibrio che duri nel tempo. È qui che il nutrizionista diventa una guida: non qualcuno che impone, ma qualcuno che accompagna.
La prima visita con un nuovo paziente
Entrare nello studio di un nutrizionista per la prima volta significa affrontare un incontro che non è solo “tecnico”, ma di conoscenza reciproca. C’è chi arriva emozionato, chi un po’ scettico, chi porta con sé il peso di mille diete fallite. La prima visita, per molti, è anche un momento di vulnerabilità: ci si mette in gioco, si raccontano abitudini intime, si condividono paure. Ed è proprio qui che inizia il lavoro del nutrizionista. “La prima visita prevede un’anamnesi completa, la valutazione delle abitudini alimentari, dello stile di vita e dei parametri corporei“, spiega il dottor Riccardo Roveda. “L’obiettivo è avere un quadro completo per costruire un piano nutrizionale personalizzato”.
Non è solo questione di numeri e misurazioni. È un dialogo. Il nutrizionista ascolta: che rapporto hai con il cibo? Come vivi i pasti? Quali sono i tuoi ritmi quotidiani, le tue difficoltà, i tuoi piccoli piaceri irrinunciabili? Perché un piano, per funzionare davvero, deve parlare la lingua della vita reale di chi lo riceve. Spesso, durante questo primo incontro, accade qualcosa di importante: cala la tensione. Il paziente capisce che non è lì per essere giudicato, ma per essere accompagnato. Il nutrizionista, invece, comincia a conoscere non solo i dati clinici, ma la persona che ha davanti. È da qui, da questa conoscenza reciproca, che prende forma un percorso che non è mai uguale per tutti.
Il futuro del nutrizionista
Negli ultimi anni l’attenzione verso l’alimentazione è esplosa. Le persone non cercano più solo una dieta per “perdere qualche chilo”, ma vogliono vivere meglio, prevenire malattie, avere più energia, sentirsi bene nel proprio corpo. In questo scenario, la professione di nutrizionista avrà un ruolo sempre più importante. Il dottor Riccardo Roveda lo vede chiaramente: “La figura del nutrizionista è destinata a diventare sempre più centrale nel panorama della salute. Con l’aumento dell’interesse per prevenzione, performance e longevità, ci sarà sempre più bisogno di professionisti competenti e aggiornati”.
Ma il futuro porta con sé anche nuove difficoltà: “La concorrenza crescente, anche dell’intelligenza artificiale, e la disinformazione sui social rappresentano grandi sfide”, osserva Roveda. “È necessario distinguersi con professionalità, aggiornamento costante e una comunicazione chiara e trasparente… e umanità”. E forse è proprio qui la chiave: nell’umanità. Perché nessun algoritmo potrà mai sostituire uno sguardo che ascolta, una parola di incoraggiamento detta al momento giusto, un piano costruito non solo su numeri e analisi, ma sulla vita vera di chi sta di fronte. Il futuro del nutrizionista, quindi, non è fatto solo di tecnologia e competenze scientifiche, ma della capacità di restare vicino alle persone in un mondo che corre sempre più veloce.
Consigli a chi vuole diventare nutrizionista
Molti giovani oggi sognano di diventare nutrizionisti. Alcuni lo fanno per passione verso l’alimentazione, altri perché vogliono aiutare le persone, altri ancora perché vedono una professione in crescita. Ma cosa significa davvero intraprendere questa strada? Il dottor Riccardo Roveda lo dice con semplicità, quasi come se stesse parlando direttamente a dei ragazzi agli inizi di questo percorso: “Intraprendetelo con serenità. Consiglio di affiancarsi inizialmente a professionisti già avviati, per imparare sul campo. Coltivate la passione, e ricordate che ogni paziente è una persona con una storia unica da ascoltare e comprendere”.
Dietro queste parole c’è un invito prezioso: non avere fretta, non pensare che basti un titolo per essere pronti, ma vivere il percorso come una crescita continua. Il consiglio di “affiancarsi a chi è già avviato” è più di un suggerimento pratico: è la consapevolezza che questo mestiere si impara davvero solo stando a contatto con la vita reale delle persone, osservando, ascoltando, mettendosi alla prova ogni giorno. E poi c’è la passione. Perché studiare si può, organizzarsi si impara, aggiornarsi è un dovere… ma senza passione manca il motore che permette di andare avanti anche quando è difficile. La passione è quella scintilla che rende ogni incontro unico, che fa sentire al paziente di non essere solo, che ricorda al nutrizionista perché ha scelto questa strada.
Oltre le diete: l’essenza del nutrizionista
Diventare nutrizionista significa studiare tanto, certo, ma significa soprattutto imparare ad ascoltare. Significa trasformare anni di teoria in strumenti concreti che aiutano le persone nella vita di tutti i giorni. Significa avere pazienza, perché i cambiamenti sono lenti, e sensibilità, perché ogni paziente è diverso dall’altro. Il percorso del dottor Riccardo Roveda lo dimostra bene: dalle aule universitarie alle esperienze aziendali, dai primi pazienti alla gestione di uno studio, ogni tappa è stata un tassello necessario per costruire una professione che unisce scienza e umanità. E forse è proprio questo il cuore del lavoro: non limitarsi a “dare diete”, ma accompagnare le persone in un cammino fatto di scelte quotidiane, di piccoli passi e di fiducia reciproca. Un lavoro che chiede competenza, aggiornamento e rigore, ma che trova il suo senso più profondo nella relazione umana.
Cosa fa un nutrizionista (e perché potrebbe servire anche a te)
Prima di chiudere questo viaggio dentro la professione, vale la pena fermarsi un attimo e rispondere a una domanda semplice ma fondamentale: chi è davvero un nutrizionista? Spesso, infatti, questa figura viene confusa con altre professioni sanitarie o ridotta all’idea di “chi fa le diete”. La realtà è molto più ricca e profonda.
Cos’è un nutrizionista
Il nutrizionista è un professionista della salute che traduce la scienza dell’alimentazione in piani personalizzati, cuciti su misura per ogni persona. Non è solo un tecnico, ma un alleato che aiuta a ritrovare equilibrio e benessere nella vita quotidiana.
Cosa fa concretamente?
Le attività di un nutrizionista non si riducono a scrivere diete. Nel concreto, per fare questo mestiere bisogna saper:
- valutare lo stato nutrizionale e lo stile di vita della persona;
- elaborare piani alimentari personalizzati, adattati alle esigenze cliniche e ai ritmi quotidiani;
- fornire educazione alimentare e accompagnare i pazienti nel cambiamento delle abitudini;
- collaborare con medici e altri specialisti quando servono interventi integrati;
- utilizzare strumenti di analisi corporea per monitorare i progressi;
- costruire un rapporto di fiducia fatto di ascolto ed empatia.
Quando serve davvero un nutrizionista?
Può essere utile rivolgersi a un nutrizionista:
- per perdere peso in modo sano;
- in caso di disturbi gastrointestinali, intolleranze, patologie metaboliche;
- per migliorare performance sportive o affrontare fasi della vita come gravidanza o menopausa;
- quando si cerca un rapporto più sereno con il cibo;
- anche solo per fare il punto sul proprio stile alimentare e migliorarlo.
In fondo, il nutrizionista è questo: qualcuno che ti accompagna. Non un giudice, non un distributore di regole, ma una guida che cammina al tuo fianco mentre impari a prenderti cura di te.