Come trovare lavoro se hai una disabilità

Dal diritto alle barriere: cosa dice la legge e cosa accade davvero nel lavoro delle persone con disabilità

 

di Anna Castiglioni
22 agosto 2025
1 MIN READ

Per le persone con disabilità, accedere al lavoro significa rivendicare un diritto fondamentale ed essere parte attiva della vita sociale e produttiva. Anche se le normative italiane e internazionali garantiscono forme di tutela, l’inclusione piena resta spesso ostacolata da barriere culturali, organizzative e strutturali. Vediamo come orientarsi tra diritti, obblighi e opportunità.

Il quadro normativo italiano (con un occhio all’Europa)

In Italia il diritto al lavoro delle persone con disabilità è regolato principalmente dalla Legge 68/1999, che ha introdotto il sistema del collocamento mirato. Secondo questa legge, le aziende con almeno 15 dipendenti devono rispettare quote obbligatorie di assunzione: ad esempio, le imprese con più di 50 dipendenti devono dedicare il 7 % dei loro posti a persone con disabilità. Quindi, se in azienda ci sono 50 dipendenti, almeno 3 o 4 devono essere lavoratori con disabilità
La Legge 104/1992, più ampia e complessiva, sancisce diritti di assistenza, integrazione sociale e favorisce agevolazioni (permessi, facilitazioni fiscali, adattamenti di orario) per persone con diverse forme di disabilità, inclusi familiari. La riforma del 2024 ha introdotto nuove modalità di valutazione dello stato di disabilità, con approccio multidimensionale e l’idea del “ragionevole accomodamento” per il posto di lavoro: siano essi strumenti, orari o supporti organizzativi che rendono il lavoro accessibile senza pregiudicare la persona

A livello europeo, l’Italia riflette le linee guida della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (Ratificata nel 2009) e della Strategia UE 2021‑2030, che chiede ai Paesi membri di fissare obiettivi di inclusione nel lavoro e promuovere il principio di parità di trattamento. Purtroppo, nonostante le leggi, l’Italia registra ancora un tasso di occupazione molto basso tra le persone con disabilità: circa il 32 % contro il 60 % della popolazione generale. Secondo i dati, le donne con disabilità e le persone nella fascia 45‑64 anni risultano particolarmente svantaggiate. Inoltre persistono barriere culturali, stigma, pregiudizi o incapacità delle aziende di predisporre davvero adattamenti efficaci. Per questo sono previsti anche incentivi fiscali e contributivi per datore di lavoro che assumono persone con disabilità.

 

Diritti e doveri di lavoratori e lavoratrici con disabilità

Ogni lavoratore e lavoratrice con disabilità ha diritto a un ambiente di lavoro accessibile, a valutazioni personalizzate delle proprie capacità e ad “adeguamenti ragionevoli” per affrontare eventuali difficoltà. In pratica, se una persona ha una disabilità motoria, il datore può dover provvedere a una scrivania accessibile o a un orario flessibile; se ha una disabilità visiva o uditiva, può accedere a strumenti tecnologici o forme di supporto specifico European Union.
D’altro canto il lavoratore ha il dovere di informare il datore sulle proprie esigenze, collaborare nella individuazione delle soluzioni e mantenere un impegno responsabile rispetto al proprio ruolo. L’obiettivo è chiaro: un’inclusione che sia effettiva, non solo formale.

Differenze tra tipi di disabilità

Non tutte le disabilità sono uguali e ogni percorso richiede approcci diversi. Chi ha disabilità motoria può incontrare difficoltà logistiche, come accessibilità fisica, ma può essere facilitato da ausili tecnici. Chi ha disabilità sensoriale necessita di strumenti compensativi; le disabilità intellettive o dello spettro autistico richiedono spesso progetti di inserimento personalizzati, tutoraggio continuo o ambienti di lavoro con carichi e stimoli adeguati.
La normativa italiana considera queste differenze: il collocamento mirato tiene conto del tipo di disabilità e delle potenzialità della persona, puntando all’abbinamento tra profilo professionale e contesto lavorativo adeguato.

 

Malattie croniche e diritto al lavoro: cosa prevede la legge

Chi convive con una malattia cronica sa quanto sia importante poter contare su un lavoro stabile, flessibile e compatibile con il proprio stato di salute. Fortunatamente, l’ordinamento italiano prevede una serie di tutele specifiche che riconoscono i diritti delle persone con patologie di lungo corso – anche quando queste non sono immediatamente visibili.
A seconda della gravità e dell’impatto della condizione sulla capacità lavorativa, una persona con malattia cronica può accedere alle categorie protette, secondo la Legge 68/1999. Per farlo è necessario ottenere il riconoscimento di una invalidità civile pari o superiore al 46%, che consente l’iscrizione al collocamento mirato presso i Centri per l’Impiego. Questo vale per patologie come la sclerosi multipla, il diabete in forma grave, la fibromialgia, l’epilessia o alcune forme di malattie oncologiche. L’adesione alle categorie protette permette l’accesso agevolato al mercato del lavoro, favorendo un inserimento professionale adeguato alle capacità residue della persona.

Anche la Legge 104/1992 tutela chi ha una malattia cronica riconosciuta come causa di handicap. Questa legge garantisce permessi retribuiti, orari flessibili, trasferimenti agevolati e altre misure che aiutano a conciliare salute e lavoro. Per accedere a questi benefici è necessaria una certificazione rilasciata da una commissione medico-legale, che valuta non solo la diagnosi ma anche l’impatto sociale e lavorativo della condizione.

In tema di sicurezza sul lavoro, la Legge 81/2008 obbliga i datori di lavoro a valutare anche i rischi correlati alla salute del singolo lavoratore. Se una persona ha una patologia cronica, il medico aziendale può suggerire modifiche temporanee o permanenti alle mansioni, oppure adattamenti dell’ambiente di lavoro. Questo tipo di attenzione non è solo una garanzia di tutela per il lavoratore, ma un investimento in benessere e produttività per l’azienda.

Inoltre, il principio della non discriminazione è sancito da normative italiane ed europee, come il Decreto legislativo 216/2003, che vieta ogni forma di esclusione dal mondo del lavoro basata su condizioni di salute, anche non invalidanti. Le persone con malattie croniche hanno dunque diritto a essere trattate alla pari, e le aziende sono tenute – nei limiti del possibile – a predisporre quelli che la normativa chiama “accomodamenti ragionevoli”: soluzioni organizzative, tecniche o logistiche che rendano il lavoro accessibile senza gravare sull’organizzazione.
Un caso particolare è quello delle persone che hanno affrontato una malattia oncologica. Anche dopo la guarigione, possono mantenere il diritto a percorsi di reinserimento lavorativo, flessibilità oraria e tutela della privacy rispetto alla propria condizione. In nessun caso il datore può richiedere informazioni dettagliate sulla diagnosi, se non sono strettamente necessarie.

In sintesi, chi vive con una malattia cronica non solo può lavorare, ma ha il diritto di farlo in un ambiente equo e inclusivo. E ha anche il dovere – dove possibile – di comunicare le proprie esigenze e collaborare nella costruzione di soluzioni efficaci. Perché il lavoro è dignità, autonomia, futuro.

 

Disabilità invisibili: una sfida spesso sottovalutata

Quando si parla di disabilità, l’immaginario comune tende ad associare il concetto a condizioni visibili, come l’uso di una sedia a rotelle o l’assenza di una funzione sensoriale. Tuttavia, esistono disabilità invisibili che possono incidere profondamente sulla qualità della vita e sulla possibilità di lavorare, pur non essendo immediatamente percepibili da chi osserva. Si tratta, ad esempio, di malattie croniche (come il diabete, la fibromialgia, le patologie autoimmuni), disturbi psichici (come depressione, ansia generalizzata, bipolarismo), neurodivergenze (come l’ADHD o il disturbo dello spettro autistico in forma lieve) e condizioni neurologiche (come la sclerosi multipla o l’epilessia). Spesso, chi convive con queste situazioni fatica a ottenere riconoscimento e supporto, proprio perché “non si vedono”.
Nel mondo del lavoro, queste persone possono trovarsi a gestire stanchezza cronica, difficoltà di concentrazione, crisi impreviste o bisogno di pause frequenti. Tuttavia, se adeguatamente supportate, possono svolgere il proprio ruolo con competenza e continuità. È fondamentale, in questi casi, che il datore di lavoro sia informato – nel rispetto della privacy – e disposto a predisporre accomodamenti personalizzati, come flessibilità oraria, telelavoro, o ambienti di lavoro meno stressanti. Riconoscere e includere chi vive con una disabilità invisibile significa andare oltre l’apparenza e applicare davvero il principio della parità di trattamento.

Come muoversi concretamente

Per iniziare a cercare lavoro, il primo passo è rivolgersi ai Centri per l’Impiego (tramite l’ufficio per il collocamento mirato) o a sportelli regionali, dove viene eseguita la valutazione e si accede alla banca dati nazionale dei lavoratori disabili. Da lì partono le segnalazioni alle aziende che devono rispettare le quote obbligatorie. Molte associazioni, come ANFFAS, FISH o disabili.com, offrono supporto per orientamento al lavoro, formazione e mentorato. Anche INAIL sostiene programmi per promuovere inserimenti lavorativi mirati. Sul fronte europeo, programmi come il Disability Employment Package supportano i paesi e i servizi pubblici nell’adozione di pratiche inclusive e strumenti di supporto personalizzati.

Come preparare un curriculum accessibile ed efficace

Scrivere un buon curriculum è sempre importante, ma per una persona con disabilità può rappresentare anche un momento delicato. Una delle domande più frequenti è: devo indicare la mia disabilità nel CV? Non esiste una risposta unica. La legge non obbliga a farlo, ma in alcuni casi – come nelle selezioni per il collocamento mirato – è necessario allegare la documentazione che attesta l’appartenenza alle categorie protette. In altri contesti, indicarlo può aiutare a evitare fraintendimenti e valorizzare il proprio percorso con trasparenza.
Il curriculum deve mettere in evidenza le competenze e le esperienze, anche quelle non formalmente lavorative. Volontariato, attività associative, corsi online, progetti personali sono elementi che raccontano motivazione, autonomia e capacità relazionali. È importante anche rendere il curriculum accessibile, soprattutto se chi lo redige ha una disabilità sensoriale. Si possono usare formati Word o PDF accessibili, evitare tabelle complesse, usare font chiari e leggibili e inserire un linguaggio semplice. Alcuni software per la lettura vocale o la dettatura possono supportare la scrittura. Ultima, ma non per importanza, è la lettera di presentazione, che può essere uno spazio per raccontarsi oltre la disabilità, spiegando non “cosa si è” ma “cosa si sa fare” e “a cosa si desidera contribuire”.

Inclusione digitale: piattaforme e tecnologie che aiutano a lavorare

La tecnologia rappresenta un’enorme opportunità di autonomia per le persone con disabilità. Esistono strumenti digitali in grado di adattare l’ambiente lavorativo alle esigenze specifiche, migliorando accessibilità e produttività.
Per le persone con disabilità visive, i lettori di schermo (screen reader) come JAWS o NVDA permettono di leggere testi al computer. Chi ha difficoltà motorie può usare tastiere alternative, mouse ergonomici o software di riconoscimento vocale che permettono di scrivere e navigare con la voce. Anche il mondo del lavoro si sta adattando. Le piattaforme di ricerca lavoro più inclusive permettono di segnalare le proprie esigenze, partecipare a giornate dedicate e accedere ad annunci riservati.  Il lavoro da remoto o in modalità ibrida rappresenta una soluzione sempre più adottata, anche perché consente una maggiore personalizzazione dei ritmi, della postazione e dei tempi di recupero. In alcuni casi, il lavoro a distanza è stato l’elemento decisivo per garantire l’inclusione di figure altamente competenti, che avrebbero avuto difficoltà negli spostamenti o nella gestione logistica del lavoro in sede.

Incentivi e sgravi per le aziende che assumono persone con disabilità

Per favorire l’inclusione lavorativa, la normativa italiana prevede una serie di incentivi economici destinati alle imprese che assumono persone con disabilità. Questi vantaggi sono erogati principalmente dall’INPS e dall’INAIL e variano in base al tipo di contratto, alla percentuale di invalidità della persona assunta e al tipo di disabilità.
Le aziende possono beneficiare di contributi per l’adattamento della postazione di lavoro, sgravi sui contributi previdenziali e rimborsi per l’assunzione a tempo indeterminato. Ad esempio, è previsto un contributo fino al 70% del costo salariale per i primi tre anni in caso di assunzione di lavoratori con disabilità grave.
Oltre ai vantaggi economici, assumere una persona con disabilità consente alle aziende di adempiere agli obblighi di legge previsti dalla Legge 68/99 in modo costruttivo, evitando sanzioni e promuovendo una cultura aziendale più equa e inclusiva. Per richiedere gli incentivi, l’azienda deve rivolgersi al Centro per l’Impiego e seguire l’iter indicato nei bandi. In alcuni casi è richiesta la presentazione di un progetto personalizzato di inserimento lavorativo.

Associazioni e reti che offrono orientamento e supporto

Non sempre è facile affrontare il percorso verso l’autonomia lavorativa da soli. Per fortuna, in Italia esistono numerose associazioni, fondazioni e reti locali che offrono orientamento, supporto e formazione alle persone con disabilità in cerca di lavoro. Organizzazioni come ANFFAS, UILDM, FISH e AISM non solo tutelano i diritti, ma offrono anche sportelli di consulenza per l’inserimento lavorativo. In molte città italiane esistono servizi di job coaching specializzati, affiancati da tutor formativi o psicologi del lavoro.
Le associazioni possono anche aiutare a gestire pratiche burocratiche, preparare documenti, trovare corsi di aggiornamento o creare reti con aziende inclusive. Alcune collaborano direttamente con enti pubblici o università per costruire progetti su misura. Oltre alle grandi associazioni nazionali, esistono reti locali e cooperative sociali che promuovono l’inserimento in contesti lavorativi protetti o misti, offrendo una prima esperienza concreta e accompagnata.

Il Disability Manager: una figura chiave per l’inclusione

Negli ultimi anni sta emergendo una nuova figura professionale: il Disability Manager. Si tratta di un esperto che lavora all’interno delle aziende o delle amministrazioni pubbliche per favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità e costruire un ambiente di lavoro inclusivo, rispettoso delle diversità.
Il suo ruolo non è solo gestionale o tecnico, ma anche culturale. Il Disability Manager si occupa di:

  • facilitare l’incontro tra candidati e azienda,
  • coordinare l’adeguamento degli ambienti,
  • accompagnare il lavoratore nei primi mesi,
  • formare colleghi e responsabili per promuovere una comunicazione efficace e rispettosa.

È una figura trasversale, che dialoga con le risorse umane, l’ufficio tecnico, la direzione e i servizi territoriali. In molte realtà è ancora una posizione sperimentale, ma le università italiane stanno già attivando percorsi di formazione specifici per questa professione, come corsi post-laurea in gestione delle disabilità o diversity management.
Promuovere la presenza del Disability Manager nelle imprese significa fare un passo concreto verso l’inclusione sistemica e non occasionale. È una risorsa che non tutela solo le persone con disabilità, ma migliora la cultura aziendale, valorizza i talenti e aiuta tutti i dipendenti a lavorare meglio.

SULL'AUTORE
LEGGI LA SUA BIO
ALTRE SU
Lavoro e stage