Ogni anno, l’OCSE scatta una fotografia globale dei sistemi educativi. È un’istantanea che va oltre le classifiche: racconta come si studia, quanto si investe, quali disuguaglianze restano, e dove il titolo di studio continua a fare la differenza nella vita delle persone. L’edizione 2025 di Education at a Glance arriva in un momento di forti tensioni per le scuole e le università: carenza di docenti, competenze stagnanti, costi crescenti e una popolazione che invecchia. Dietro le percentuali ci sono storie di mobilità sociale che si ferma, Paesi che attirano talenti e altri che li perdono, sistemi che garantiscono equità e altri che faticano a tenere il passo.
In questo quadro, l’Italia occupa una posizione complessa: cresce il numero di diplomati e laureati, ma restano divari storici e una spesa pubblica sotto la media OCSE. Capire dove siamo rispetto al resto del mondo, e cosa raccontano i dati, diventa essenziale per immaginare il futuro dell’istruzione.
Cos’è "Education at a Glance"
Education at a Glance è più di un rapporto statistico: è un atlante dell’istruzione globale. Ogni anno, l’OCSE raccoglie e armonizza dati da decine di Paesi, li rende comparabili e li trasforma in indicatori che raccontano quanto si studia, dove si investe, quali competenze si acquisiscono e che ritorni produce l’istruzione sulla vita delle persone e sull’economia. È uno strumento pensato per i governi, ma utile anche a ricercatori, giornalisti, operatori del settore e cittadini curiosi: chiunque voglia capire come funziona la scuola nel proprio Paese rispetto agli altri trova qui una bussola.
L’edizione 2025 è frutto di un lavoro corale: ministeri dell’istruzione, agenzie statistiche nazionali, esperti internazionali e team OCSE hanno collaborato per uniformare metodologie e definizioni, così che i dati siano davvero confrontabili. A supporto ci sono strumenti come PISA (Programme for International Student Assessment), che misura le competenze degli studenti quindicenni, e PIAAC (Survey of Adult Skills), che fotografa quelle degli adulti. Il risultato è un ritratto preciso ma leggibile, che non si limita a fornire numeri: mostra tendenze, squilibri e progressi, offrendo ai decisori politici una base solida per le scelte future.
Come viene redatto
Dietro le 500 pagine del rapporto c’è un lavoro di ingegneria statistica che dura mesi. Ogni Paese coinvolto invia i propri dati all’OCSE seguendo standard rigorosi: le classificazioni dei livelli di istruzione (ISCED), le definizioni dei cicli scolastici, i criteri per calcolare la spesa pubblica e privata, i tassi di iscrizione e completamento. L’OCSE armonizza queste informazioni per renderle comparabili, colma i vuoti con stime e verifica la qualità dei dati attraverso controlli incrociati.
Il rapporto è organizzato in quattro grandi sezioni. La prima misura l’impatto dell’istruzione: dal livello medio di studi raggiunto ai riflessi sul reddito, sull’occupazione, sulla salute e sulla partecipazione sociale. La seconda segue il percorso degli studenti, dalla scuola dell’infanzia fino all’università, analizzando tassi di accesso, mobilità internazionale e abbandoni. La terza entra nel capitolo finanziario, con dati su spesa pubblica e privata, tasse universitarie e borse di studio. La quarta racconta il lavoro degli insegnanti: stipendi, orari, carriere e carenze di personale.
Accanto alle tabelle ci sono capitoli di analisi, box di approfondimento e un focus speciale: quest’anno è sull’istruzione terziaria e sulle competenze degli adulti, con i risultati aggiornati della Survey PIAAC. È un documento pensato per specialisti, ma con una struttura che permette di estrarre storie e confronti chiari, anche per il pubblico più ampio.
I numeri globali dell’istruzione (panoramica OCSE)
L’edizione 2025 di Education at a Glance offre una fotografia ampia e stratificata: mai così tanti giovani hanno avuto accesso all’università, ma il titolo di studio non è garanzia di competenze solide e il contesto sociale continua a pesare. La qualità dell’istruzione non avanza allo stesso ritmo della quantità, mentre molti Paesi affrontano sfide comuni: carenza di insegnanti, spesa pubblica disomogenea, disuguaglianze radicate.
Riassumiamo qui i dati principali:
- Accesso record all’istruzione terziaria
– Quasi un giovane adulto su due nei Paesi OCSE ha una laurea.
– Nel 2000 erano poco più di uno su quattro.
– Dal 2021 la crescita rallenta: +0,3 punti percentuali l’anno contro +1 punto del decennio precedente. - Divari sociali persistenti
– Solo il 26% dei giovani con genitori senza diploma superiore ottiene una laurea.
– La quota sale al 70% tra chi ha almeno un genitore laureato.
– Pochi Paesi hanno ridotto davvero il gap, come Danimarca, Inghilterra e Comunità Fiamminga del Belgio. - Competenze non sempre all’altezza dei titoli
– Più di un laureato su dieci ha competenze alfabetiche di base o inferiori.
– In molti Paesi, le capacità di alfabetizzazione e di matematiche degli adulti sono stagnanti o in calo. - Completamento universitario problematico
– Solo il 43% degli studenti completa nei tempi previsti; 70% entro tre anni extra.
– Divario di genere marcato: le donne completano di più e più velocemente. - Ritorno economico dell’istruzione
– In media, un laureato guadagna il 54% in più di chi ha solo il diploma.
– Con master o dottorato, il vantaggio arriva all’83%. - Carenza e turnover degli insegnanti
– Alcuni Paesi, come Danimarca ed Estonia, registrano dimissioni di un docente su dieci l’anno.
– Altri sistemi restano stabili, ma con personale più anziano. - Spesa pubblica e risorse
– L’OCSE registra una media del 4,7% del PIL investito in istruzione.
– Nord Europa in testa; Paesi dell’Europa meridionale in ritardo.
Il caso Italia: luci e ombre
L’Italia emerge nel rapporto OCSE come un Paese in bilico: alcuni indicatori mostrano progressi costanti, come il calo dei giovani senza diploma, ma il sistema resta segnato da divari storici, scarsi investimenti e una difficoltà cronica nel valorizzare i talenti. L’università attrae pochi studenti stranieri, i percorsi di studio sono lunghi e frammentati, e il titolo di laurea continua a rappresentare un vantaggio netto sul mercato del lavoro, pur senza garantire competenze diffuse.
Tassi di istruzione e mobilità sociale
- Solo il 15% dei giovani provenienti da famiglie prive di diploma superiore riesce a laurearsi.
- La quota sale al 63% tra chi ha almeno un genitore laureato.
- Divario intergenerazionale tra i più alti in area OCSE.
- Cresce però il numero di diplomati: dal 76% al 81% tra 2019 e 2024.
Completamento universitario
- Solo il 37% completa la laurea triennale nei tempi previsti;
- 51% entro un anno extra, 56% entro tre anni oltre la durata prevista (OCSE: 70%).
- Divario di genere: 61% delle donne contro 51% degli uomini completano nei tempi estesi.
- Tasso di abbandono dopo il primo anno: 13%, in linea con la media OCSE.
Istruzione e lavoro
Il tasso di disoccupazione tra i 25-34enni con un livello di istruzione inferiore alla scuola secondaria superiore è diminuito di almeno 6 punti percentuali tra il 2019 e il 2024. Tuttavia, questo dato deve essere interpretato con cautela, poiché il tasso di inattività di coloro che hanno un livello di istruzione inferiore alla scuola secondaria superiore è aumentato nello stesso periodo.
In questa fascia d’età i disoccupati sono così suddivisi:
- il 14,8% è senza diploma
- l’8,9% ha il diploma
- il 6,5% è laureato
Quindi il titolo di studio resta una protezione importante contro la disoccupazione, tuttavia in Italia la laurea paga di meno rispetto ad altri Paesi, infatti, mentre nella media dei Paesi industrializzati i lavoratori laureati guadagnano il 54% in più dei diplomati, in Italia questa percentuale scende al 33%. Invece, se guardiamo al divario salariale tra chi è diplomato e chi non ha conseguito il diploma, mentre in Italia è del 19%, nella media OCSE è del 17%.
Competenze alfabetiche
- 37% degli adulti italiani ha competenze alfabetiche al livello più basso (OCSE: 27%).
- Il gap di competenze è uno dei maggiori tra i Paesi industrializzati.
Spesa e risorse
- L’Italia investe 3,9% del PIL in educazione (meno della media OCSE che è del 4,7%).
- Spesa universitaria per studente: 8.992 USD (OCSE: 15.102 USD).
Forte dipendenza dal finanziamento pubblico: oltre il 73% dei fondi per l’istruzione terziaria proviene dallo Stato.
Attrattività internazionale
- Studenti stranieri nell’università italiana: 4,8% (in calo dal 5,6%).
- Barriere linguistiche e struttura accademica limitano l’appeal internazionale.
Altri dati chiave
- Solo il 20% degli studenti prende un anno sabbatico tra scuola e università (OCSE: 44%).
- Ripartizione dei laureati triennali: 21% STEM, 20% economia/giurisprudenza, 36% arti e umanistiche/scienze sociali.
Oltre i numeri: cosa ci dice davvero il rapporto OCSE
Dietro i grafici e le percentuali di Education at a Glance 2025 c’è il ritratto di un’istruzione che cambia a velocità diverse a seconda dei Paesi. L’immagine globale è duplice: il mondo non è mai stato così istruito, ma i divari si sono fatti più sofisticati. Non si tratta più solo di accesso all’università, ma di qualità dei percorsi, competenze acquisite, tempi di completamento, attrattività dei sistemi. L’OCSE non si limita a misurare: invita a guardare oltre il numero di laureati e a chiedersi quanto la scuola e l’università riescano davvero a preparare studenti e adulti per un’economia in continua trasformazione.
Per l’Italia, il quadro è noto ma non meno allarmante: bassa spesa pubblica, scarsa capacità di attrarre talenti internazionali, divari sociali radicati e competenze deboli. Il sistema ha punti di forza, come l’ampia copertura del finanziamento pubblico e una rete universitaria capillare, ma fatica a trasformare queste basi in risultati competitivi. Le carriere universitarie restano lunghe e frammentate, gli abbandoni pesano e il titolo di studio, pur prezioso, non sempre garantisce competenze adeguate agli standard internazionali.
Guardando al resto dell’OCSE, emerge un panorama variegato: Paesi che investono in modo massiccio, come quelli nordici, mostrano risultati migliori, mentre altre economie, pur con risorse limitate, hanno innovato percorsi e metodologie. L’Italia appare bloccata a metà strada: ha aumentato i livelli di istruzione rispetto alle generazioni precedenti, ma non abbastanza da colmare il divario con i Paesi più avanzati.
Questo rapporto offre una base solida per ragionare di riforme. La priorità non è solo spendere di più, ma investire meglio: orientamento precoce, sostegno a studenti vulnerabili, qualità della didattica universitaria, apertura internazionale. Sono scelte che richiedono tempo, ma senza di esse la fotografia del prossimo Education at a Glance rischia di somigliare troppo a quella di oggi. I numeri dell’OCSE non sono una condanna, ma uno specchio: sta ai governi decidere se usarlo per guardarsi davvero, osservando pregi e difetti.