La Legge di Bilancio è sempre un momento chiave per capire le priorità del governo, anche in termini di investimento a lungo termine sulla cultura e la formazione. Cosa prevede, dunque, la bozza di Bilancio 2026 per il mondo della scuola e dell’università? Quali sono le misure concrete e cosa, invece, è ancora in discussione?
La bozza: quando è stata presentata e quali sono i tempi
Il testo preliminare della manovra è stato approvato in Consiglio dei Ministri il 17 ottobre 2025 e pochi giorni dopo è stato trasmesso al Parlamento per l’esame e l’eventuale modifica. La discussione avviene prima nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, poi in Aula, e dovrà concludersi entro il 31 dicembre, termine previsto dalla Costituzione per approvare la legge. Solo dopo l’approvazione definitiva e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, le misure entreranno in vigore, a partire dal 1° gennaio 2026. Finché non si conclude l’iter parlamentare, ciò che leggiamo è solo una proposta. Le misure possono essere modificate, integrate o addirittura cancellate.
Scuola: risorse limitate e poche novità strutturali
Nel testo attuale, la scuola riceve alcune attenzioni, ma resta in secondo piano rispetto ad altri settori. Viene istituito un “fondo per la valorizzazione del sistema scolastico” con una dotazione iniziale di 122 milioni di euro per il 2025, che salirà a 189 milioni nel 2026 e poi si stabilizzerà a 75 milioni all’anno dal 2027 in poi. Tuttavia, non è ancora chiaro come saranno usati questi soldi. Il fondo nasce come contenitore, ma serviranno decreti successivi per stabilirne le finalità: si parla genericamente di miglioramento del sistema scolastico, ma non ci sono ancora dettagli su cosa si intenda nello specifico.
Un’altra novità riguarda la Carta del docente. Il bonus annuale per la formazione e l’acquisto di materiale didattico, finora riservato agli insegnanti di ruolo, verrà esteso anche ai supplenti annuali su posto vacante e disponibile. Per sostenere questa estensione, la manovra prevede un incremento delle risorse pari a 60 milioni di euro annui a partire dal 2025. Anche in questo caso, l’importo effettivo della carta sarà definito ogni anno, sulla base dei fondi disponibili e del numero di beneficiari.
Altre misure, di cui si era parlato nei giorni precedenti alla diffusione della bozza, non sono presenti nel testo ufficiale. È il caso del presunto voucher da 1.500 euro per le famiglie che iscrivono i figli nelle scuole paritarie e della detassazione del personale scolastico, cioè una riduzione delle imposte sugli stipendi degli insegnanti. Entrambe restano per ora solo proposte annunciate a mezzo stampa, ma non formalizzate nella bozza presentata al Parlamento.
I numeri della manovra: quanto vale l’istruzione
I dati finanziari contenuti negli allegati alla bozza confermano un quadro prudente per la scuola e più generoso per l’università. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito riceverà 5,2 milioni di euro nel 2025, che saliranno a 7,8 milioni nel 2026 e a 12,2 milioni nel 2027. Per l’intero decennio 2027–2036, la previsione di spesa complessiva è di 88 milioni di euro.
Il Ministero dell’Università e della Ricerca, invece, partirà da 34,7 milioni nel 2025, passerà a 49 milioni nel 2026 e arriverà a 63,3 milioni nel 2027. La proiezione complessiva per lo stesso decennio è di oltre 1,5 miliardi di euro. Il divario è evidente: mentre l’università riceve investimenti strategici e a lungo termine, la scuola si deve accontentare di interventi limitati, e per ora poco definiti.
Università e ricerca: continuità per i progetti del PNRR
La parte della manovra dedicata all’università e alla ricerca appare più strutturata. La bozza prevede il finanziamento, per gli anni 2027 e 2028, di centri nazionali di ricerca, partenariati tra università e progetti innovativi in ambito sanitario e assistenziale. Si tratta di iniziative nate grazie ai fondi europei del PNRR, che ora il governo vuole rendere più stabili nel tempo.
Il finanziamento previsto è di 150 milioni di euro per ciascun anno. Per accedere a questi fondi, i progetti dovranno dimostrare di essere capaci di coordinare attività complesse, attrarre risorse esterne, generare impatto sulla società e fornire indicazioni utili per le politiche pubbliche. Verranno premiate anche la creazione di strutture, laboratori e brevetti. Un decreto ministeriale annuale definirà i soggetti beneficiari.
Si tratta, dunque, di un intervento importante ma mirato. Non riguarda l’università in senso ampio, ma solo i progetti d’eccellenza capaci di dimostrare risultati concreti.
Quali territori beneficeranno davvero?
Un tema ancora assente nella bozza è quello della distribuzione territoriale delle risorse. Senza criteri chiari, esiste il rischio che fondi e opportunità si concentrino soprattutto nei grandi poli universitari del Centro-Nord, lasciando indietro le aree interne e le regioni del Sud, che spesso avrebbero più bisogno di investimenti. La stessa logica vale per le scuole: senza indicazioni vincolanti, anche il fondo per la valorizzazione potrebbe finire per essere utilizzato in modo disomogeneo.
In fase parlamentare, sarà importante che vengano introdotti criteri di riparto equi, capaci di ridurre i divari e non di accentuarli.
Cosa potrà cambiare con gli emendamenti
Durante l’esame parlamentare, sarà possibile introdurre modifiche attraverso gli emendamenti. Potrebbero arrivare proposte per aumentare i fondi destinati alla scuola, migliorare le condizioni economiche dei docenti, finanziare l’edilizia scolastica o includere anche realtà universitarie minori nei programmi di ricerca. Si potrebbe anche decidere di introdurre misure assenti nella bozza iniziale, come i voucher per le scuole paritarie o forme di detassazione del salario. Nulla è ancora definitivo.
Quando diventeranno operative le misure
Anche se la legge entrerà in vigore il primo gennaio 2026, molte delle misure richiederanno tempo per essere attuate. Saranno necessari decreti ministeriali, piani di riparto delle risorse e, in alcuni casi, bandi e graduatorie. È realistico pensare che diversi interventi diventeranno realmente operativi solo nella seconda metà del 2026 o addirittura nel 2027.
La bozza della Legge di Bilancio 2026 mostra un’attenzione ancora parziale e prudente verso il mondo dell’istruzione. La scuola riceve fondi limitati e senza una strategia chiara, mentre l’università e la ricerca ottengono risorse più consistenti, ma riservate a progetti altamente selettivi. In attesa dell’iter parlamentare, è fondamentale che la discussione politica e pubblica si concentri su come rendere questi investimenti più equi, efficaci e vicini ai bisogni reali di chi vive quotidianamente il mondo della scuola e dell’università.







