Dopo un’attesa prolungata, arriva finalmente un aggiornamento salariale per gli insegnanti italiani. Il 5 novembre 2025 è stato firmato all’Aran il rinnovo del contratto nazionale del comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2022-2024, che coinvolge oltre 1,2 milioni di lavoratori della scuola (circa 850 mila docenti). Quasi tutte le sigle sindacali di categoria – Cisl Scuola, Uil Scuola RUA, Gilda-Unams, Snals-Confsal e Anief – hanno sottoscritto l’accordo, mentre la Flc CGIL ha deciso di non firmare per dissenso sulle condizioni economiche. Questo rinnovo contrattuale porta in dote incrementi stipendiali e somme arretrate tanto attesi dal personale scolastico.
Il rinnovo contrattuale 2022-24: aumenti in busta paga e arretrati
L’accordo appena siglato prevede aumenti medi di circa 140 euro lordi al mese per gli insegnanti, distribuiti su 13 mensilità. Gli incrementi effettivi variano in base all’anzianità di servizio e al grado di scuola: si va da circa 110 euro mensili lordi aggiuntivi per un docente neoassunto fino a punte di circa 180-185 euro mensili lordi per i docenti più esperti a fine carriera. In parallelo, vengono riconosciuti anche gli arretrati per il periodo di vacanza contrattuale: complessivamente un docente può ricevere tra circa 1.200 e 2.000 euro lordi di arretrati, a seconda del profilo e dell’anzianità, somma che sarà erogata indicativamente tra fine 2025 e inizio 2026. Il contratto include inoltre un’emissione una tantum – finanziata con risorse ministeriali straordinarie – a beneficio sia dei docenti sia del personale ATA, quale ulteriore riconoscimento economico per il periodo contrattuale.
Va sottolineato che questo rinnovo riguarda prevalentemente l’aspetto economico: il tavolo negoziale ha scelto di concludere rapidamente la parte retributiva senza introdurre modifiche normative significative. Le questioni normative e organizzative (come orari, progressioni di carriera, formazione, ecc.) sono rinviate a una successiva tornata contrattuale. I sindacati firmatari definiscono la firma come un “atto di responsabilità” verso i lavoratori della scuola: l’intesa consente di sbloccare subito risorse già stanziate in legge di bilancio, evitando ulteriori ritardi nell’adeguamento delle buste paga. Si è contestualmente ottenuto un impegno formale a riaprire immediatamente il negoziato per il contratto 2025-2027, così da garantire continuità contrattuale e ulteriori aumenti in tempi brevi.
Di segno opposto la posizione della FLC CGIL, unico sindacato a non aver sottoscritto l’accordo. La CGIL ritiene gli aumenti insufficienti: secondo le loro valutazioni, oltre il 60% degli incrementi erano di fatto già stati anticipati tramite l’indennità di vacanza contrattuale (gli aumenti provvisori legati all’inflazione durante il periodo di contratto scaduto) e la cifra finale copre meno di un terzo dell’inflazione accumulatasi nel triennio di riferimento. In sostanza, vista l’alta inflazione degli ultimi anni, l’accordo non recupererebbe il potere d’acquisto perduto dagli insegnanti, sancendo anzi una perdita reale. Gli altri sindacati respingono questa visione e ritengono prioritario aver garantito subito in busta paga quanto disponibile, pur riconoscendo che la trattativa futura dovrà puntare a ulteriori risorse per colmare il divario con l’aumento del costo della vita.
Un aumento tardivo e il confronto con i precedenti rinnovi
Il contratto scuola 2022-24 giunge in extremis, considerando che avrebbe dovuto coprire un periodo ormai quasi concluso. Il precedente contratto (riferito al triennio 2019-2021) era scaduto il 31 dicembre 2021, lasciando gli insegnanti per quasi tre anni con il contratto “scoperto”. Solo a fine 2022 era stata firmata un’ipotesi di accordo per il 2019-21 – poi definitivamente recepita nel 2023 – che aveva fruttato ai docenti un incremento medio di circa 100 euro lordi mensili oltre al pagamento di consistenti arretrati per gli anni di vacanza contrattuale. In effetti, la scuola italiana veniva da un lungo periodo di blocco degli stipendi pubblici: dal 2009 al 2018 non vi erano stati rinnovi contrattuali significativi nel comparto istruzione, se non tramite qualche indennità una tantum e adeguamenti marginali. Soltanto a partire dal 2018 si è sbloccata la situazione, con un primo aumento medio di circa 85-95 euro mensili riconosciuto ai docenti nel contratto 2016-18 (firmato dopo nove anni di congelamento retributivo). A seguire, il rinnovo 2019-2021 ha portato un ulteriore aumento medio di circa 123 euro in busta paga per i docenti.
Alla luce di questo percorso, l’incremento medio di 140-150 euro mensili stabilito dal nuovo contratto 2022-24 rappresenta un miglioramento più consistente rispetto ai rinnovi precedenti. È il frutto anche di stanziamenti aggiuntivi messi a disposizione dal Ministero dell’Istruzione e dal Governo (come i 240 milioni di euro destinati a incrementi del trattamento accessorio docente) per rendere l’accordo più sostanzioso. Tuttavia, va ribadito che l’erosione inflazionistica degli ultimi anni ha ridotto il potere d’acquisto dei salari: i circa 150 euro lordi di aumento corrispondono grosso modo a un +5-6% stipendiale, a fronte di un’inflazione cumulata ben superiore nel triennio recente. Lo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito riconosce, per voce del Ministro Giuseppe Valditara, che questi incrementi sono solo un punto di partenza: l’obiettivo dichiarato è proseguire con il contratto 2025-27 per raggiungere complessivamente circa +416 euro lordi mensili per un docente medio rispetto al 2018. Ciò significa recuperare gradualmente terreno, sebbene per colmare davvero il gap accumulato in termini reali occorrerebbero investimenti ben maggiori.
Da evidenziare è anche la volontà di garantire una sorta di continuità contrattuale: raramente in passato la scuola italiana è riuscita a chiudere un contratto e ad aprire subito il successivo. I vertici istituzionali sottolineano infatti il carattere “storico” di questa stagione contrattuale, in cui si punta ad avere tre contratti (2019-21, 2022-24 e 2025-27) firmati nell’arco di poco più di tre anni, evitando lunghi vuoti. Resta comunque il fatto che, a oggi, gli stipendi degli insegnanti italiani risultano ancora piuttosto bassi sia in valore assoluto sia soprattutto in raffronto con gli standard internazionali, nonostante i recenti aumenti.
Stipendi 2026: cifre e scatti per ogni ordine di scuola
Sempre in base alla bozza contrattuale che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2026, le nuove tabelle retributive ridisegnano in modo più chiaro la progressione degli stipendi per grado di scuola e anzianità di servizio.
Per la scuola dell’infanzia e primaria, un docente guadagnerà:
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circa 22.365 euro lordi annui nei primi 8 anni di carriera;
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24.731 euro tra 9 e 14 anni;
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26.807 euro tra 15 e 20 anni;
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28.854 euro tra 21 e 27 anni;
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30.848 euro tra 28 e 34 anni;
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fino a 32.387 euro oltre i 35 anni di servizio.
Nella scuola secondaria di primo grado (medie), gli stipendi saliranno a:
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24.008 euro nei primi 8 anni;
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26.964 euro tra 9 e 14 anni;
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29.371 euro tra 15 e 20 anni;
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31.745 euro tra 21 e 27 anni;
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34.110 euro tra 28 e 34 anni;
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35.867 euro oltre i 35 anni.
Per la scuola secondaria di secondo grado, infine, un insegnante partirà da circa 24.008 euro lordi annui, con una progressione che lo porterà a:
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27.666 euro tra 9 e 14 anni;
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30.266 euro tra 15 e 20 anni;
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33.640 euro tra 21 e 27 anni;
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35.867 euro tra 28 e 34 anni;
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fino a 37.636 euro dopo i 35 anni di servizio.
Gli stipendi degli insegnanti italiani a confronto con l’Europa
Il tema delle retribuzioni dei docenti non può prescindere da un confronto con gli altri Paesi europei. Purtroppo per l’Italia, le statistiche confermano da anni che i nostri insegnanti figurano tra i meno pagati dell’Europa occidentale. Secondo i dati raccolti dalla rete Eurydice e dall’OCSE, lo stipendio annuo lordo iniziale di un docente italiano si aggira attorno ai 25-28 mila euro, a seconda del grado di scuola, mentre a fine carriera (dopo circa 35-40 anni di servizio) un insegnante in Italia può arrivare a circa 40-43 mila euro lordi annui. Queste cifre, per quanto migliorate dagli ultimi rinnovi contrattuali, restano sensibilmente inferiori rispetto a quelle di molti Paesi comparabili per economia e costo della vita.
In Francia, ad esempio, un insegnante parte da circa 30-32 mila euro lordi all’anno e può arrivare a guadagnare oltre 50 mila euro annui a fine carriera. In Spagna il salario di ingresso per un docente nella scuola secondaria supera i 40 mila euro lordi annui, e con l’ultimo scatto di anzianità può raggiungere circa 60 mila euro. Clamoroso il divario con la Germania: qui un professore delle scuole superiori inizia la professione con circa 61 mila euro lordi annui e può superare gli 80 mila euro verso la fine della carriera. Il Lussemburgo, piccolo Stato ai vertici per stipendi pubblici, offre ai propri docenti salari che vanno da oltre 52 mila euro iniziali fino a più di 100 mila euro lordi annui dopo decenni di servizio. Anche realtà non germanofone come Austria e Portogallo presentano parametri migliori dell’Italia: un docente austriaco di scuola secondaria può arrivare a circa 60-65 mila euro annui nel gradone più alto, mentre in Portogallo i docenti senior superano i 55 mila euro lordi l’anno.
In termini di medie continentali, la situazione italiana risulta sotto la media. Il rapporto OCSE Education at a Glance evidenzia come il salario medio degli insegnanti italiani (considerando tutti i gradi scolastici) sia fermo attorno a 32 mila euro lordi annui, a fronte di una media OCSE-europea di circa 42 mila euro. Ciò equivale a un gap di oltre il 20% a sfavore dei nostri docenti rispetto ai colleghi degli altri Paesi sviluppati. Un dato citato spesso dai sindacati è che lo stipendio massimo di un docente italiano di scuola superiore è all’incirca pari – o addirittura inferiore – allo stipendio iniziale di un docente spagnolo o tedesco. Questo indica una progressione di carriera estremamente lenta e poco remunerativa in Italia: mentre da noi occorre lavorare quasi una vita per raggiungere livelli retributivi che altrove costituiscono il punto di partenza, nei sistemi esteri nello stesso arco di tempo gli stipendi raddoppiano o addirittura triplicano.
Va precisato che esistono Paesi europei con retribuzioni più basse di quelle italiane – come Ungheria, Lettonia, Grecia, Albania e altri Stati dell’Est, dove gli insegnanti spesso non superano i 20-25 mila euro annui nemmeno a fine carriera. Tuttavia, si tratta di nazioni con costi della vita decisamente inferiori e economie meno avanzate. Nel contesto dei Paesi a economia matura e con costo paragonabile all’Italia, i docenti italiani risultano economicamente svantaggiati. Questo svantaggio retributivo si riflette anche in altri indicatori: ad esempio, l’età media degli insegnanti italiani è tra le più alte al mondo (circa 49 anni, con quasi la metà del corpo docente oltre i 50 anni), segno che la professione fatica ad attrarre giovani leve e a rinnovarsi. Il “mestiere” dell’insegnante in Italia sta diventando sempre meno attrattivo, e la retribuzione inadeguata è indicata da molti studi come uno dei fattori principali di questa crisi vocazionale.
Importanza di investire sugli stipendi dei docenti
La questione salariale non è solo una questione di giustizia verso gli insegnanti, ma ha anche implicazioni dirette sulla qualità del sistema educativo. Una retribuzione dignitosa e competitiva è fondamentale per motivare il personale docente, riconoscerne la professionalità e trattenere nella scuola i docenti più preparati. Quando gli stipendi restano cronicamente bassi, c’è il rischio concreto che il lavoro dell’insegnante perda prestigio sociale e che i migliori laureati scelgano altre carriere meglio remunerate, impoverendo così il capitale umano destinato all’istruzione. Inoltre, docenti costretti a far quadrare i conti con stipendi modesti possono andare incontro a stress aggiuntivi (molti, ad esempio, ricorrono a seconde occupazioni o lezioni private per integrare il reddito), con possibili ricadute sulla concentrazione e sull’energia da dedicare alla didattica.
Diversi organismi internazionali sottolineano da tempo che investire negli stipendi degli insegnanti significa investire sulla qualità della scuola. Basti pensare che i sistemi educativi considerati più efficaci tendono ad avere stipendi docenti competitivi e percorsi di carriera appetibili, che attraggono talenti nella professione. L’Italia, al contrario, sconta un ritardo: come visto, abbiamo salari al di sotto della media UE e un trend di crescita salariale molto lento (addirittura, in termini reali gli stipendi degli insegnanti italiani sono diminuiti nell’ultimo decennio, considerando l’inflazione). Questa situazione ha portato a carenze di personale in alcune classi di concorso e zone del Paese, specialmente per materie tecnico-scientifiche dove il settore privato offre stipendi iniziali ben più alti rispetto alla scuola. Nel 2023, ad esempio, l’Inghilterra ha coperto solo la metà del fabbisogno di nuovi insegnanti previsti, e in generale nell’Unione Europea si registra un aumento del deficit di docenti qualificati. L’Italia non fa eccezione, anzi: l’alto numero di cattedre scoperte annualmente e di supplenti precari è sintomo di una difficoltà strutturale nel rendere l’insegnamento una carriera abbastanza attraente.
Alla luce di tutto ciò, appare evidente l’importanza di una adeguata retribuzione per gli insegnanti. Garantire stipendi più alti non è un “privilegio”, ma un investimento strategico sul futuro: significa riconoscere il valore di chi forma le nuove generazioni e assicurarsi che nelle classi vi siano professionisti competenti, motivati e sereni. Un docente meglio pagato si sente più valorizzato e potrà dedicarsi con maggiore concentrazione all’innovazione didattica e all’aggiornamento professionale, senza doversi preoccupare continuamente di arrivare a fine mese. Inoltre, stipendi in linea con gli standard europei restituirebbero dignità sociale al ruolo docente, contribuendo a ridurre quell’idea – purtroppo diffusa – che insegnare sia un ripiego o una missione “che non paga”. In definitiva, colmare il divario retributivo che separa l’Italia dal resto d’Europa è fondamentale per garantire una scuola di qualità, capace di attrarre risorse umane all’altezza delle sfide educative attuali.
Il rinnovo contrattuale 2022-24 rappresenta un passo nella direzione giusta, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Sarà cruciale, nelle prossime leggi di bilancio e nelle future contrattazioni, proseguire nell’aumento degli stipendi del personale docente in modo sostenuto, avvicinandoli gradualmente alla media europea. Come affermato da più parti, investire nella scuola – a partire dai suoi insegnanti – è una condizione imprescindibile per migliorare l’istruzione nel nostro Paese e, in prospettiva, il capitale culturale, sociale ed economico dell’Italia.









