Tra i banchi dell’università, molti studenti affrontano sfide comuni come l’ansia da esame, la procrastinazione o la difficoltà di concentrazione. Tuttavia, per chi convive con il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), queste difficoltà possono diventare veri e propri ostacoli cronici, che interferiscono non solo con il rendimento accademico ma anche con l’autostima, la motivazione e il benessere mentale.
L’ADHD è un disturbo neuroevolutivo che ha origine nell’infanzia e che persiste nell’età adulta, spesso senza essere diagnosticato. Tra i 18 e i 25 anni – l’età tipica del percorso universitario – i sintomi non scompaiono, ma cambiano forma. Se in età evolutiva il disturbo è spesso caratterizzato da iperattività motoria e impulsività, nell’adulto si manifesta soprattutto come disattenzione, disorganizzazione e difficoltà nella regolazione emotiva. Proprio queste caratteristiche rendono particolarmente complessa la gestione della vita universitaria, dove sono richieste autonomia, pianificazione e una costante capacità di concentrazione.
Il cervello ADHD: cosa succede a livello neurochimico
Le difficoltà associate all’ADHD non sono una questione di pigrizia o scarsa volontà: il disturbo è legato a un’alterazione nella trasmissione di due neurotrasmettitori fondamentali, la dopamina e la noradrenalina.
La dopamina è una sostanza chimica prodotta dal cervello che regola diverse funzioni cognitive, tra cui l’attenzione, la motivazione e la capacità di provare piacere. Quando questo neurotrasmettitore non funziona correttamente, la persona fatica a mantenere la concentrazione su compiti ripetitivi o poco stimolanti, e tende a cercare gratificazioni più immediate, spesso perdendo di vista le attività a lungo termine, come lo studio per un esame.
La noradrenalina, invece, è coinvolta nei processi di vigilanza e attenzione sostenuta, oltre che nella risposta allo stress. Anche in questo caso, una sua disregolazione può causare instabilità nei livelli di concentrazione e difficoltà nel gestire situazioni di pressione o compiti che richiedono costanza.
Nel cervello di una persona con ADHD, quindi, il sistema che dovrebbe attivarsi per pianificare, iniziare e portare a termine un compito – noto come “funzione esecutiva” – è meno efficiente. Le aree prefrontali, coinvolte nel controllo delle decisioni, lavorano in modo meno coordinato, e questo si riflette in una serie di comportamenti tipici: dimenticanze frequenti, disorganizzazione, procrastinazione, e difficoltà a valutare priorità e scadenze.
Perché per una persona ADHD l’università è una sfida
Il passaggio alla vita universitaria comporta una perdita della struttura imposta dalla scuola superiore. Non ci sono più orari rigidi, compiti quotidiani o professori che seguono passo dopo passo lo studente. L’università richiede capacità di autogestione, pianificazione a lungo termine, organizzazione autonoma del tempo e capacità di selezionare le informazioni rilevanti. Tutte competenze che risultano particolarmente difficili per chi ha l’ADHD.
Gli studenti affetti da questo disturbo spesso iniziano un’attività con entusiasmo, per poi perdere rapidamente interesse. Possono accumulare materiale da studiare senza riuscire a trovare un criterio per organizzarlo. Spesso sottovalutano il tempo necessario per preparare un esame, rimandano l’inizio dello studio e si ritrovano a dover recuperare in poche settimane – o giorni – mesi di contenuti. Questa dinamica genera un ciclo di ansia, sensi di colpa, frustrazione e ulteriore evitamento.
Anche attività semplici come leggere un capitolo, prendere appunti o rispondere a una mail importante possono risultare estremamente faticose, soprattutto quando non sono accompagnate da una gratificazione immediata. Inoltre, la facilità con cui lo studente si distrae – a causa di stimoli esterni o pensieri interni – rende ogni sessione di studio un esercizio di resistenza, più che di apprendimento.
Strategie efficaci: strumenti per studiare meglio con l’ADHD
Fortunatamente, esistono strategie collaudate che aiutano a compensare le difficoltà legate all’ADHD, migliorando la qualità dello studio e riducendo il carico emotivo. Non si tratta di tecniche miracolose, ma di metodi concreti e adattabili. Ecco le principali:
- Matrice di Eisenhower: aiuta a definire le priorità, distinguendo i compiti urgenti e importanti da quelli secondari. Riduce la confusione e guida le decisioni giornaliere, evitando di perdere tempo su attività poco rilevanti.
- Tecnica del Pomodoro : divide lo studio in blocchi da 25 minuti seguiti da 5 minuti di pausa. Dopo quattro cicli, si fa una pausa più lunga. Favorisce la concentrazione, riduce il rischio di sovraccarico mentale e aumenta la produttività.
- Mappe concettuali : offrono una rappresentazione visiva dei contenuti. Aiutano a comprendere e ricordare meglio le informazioni, e a collegare concetti in modo logico e intuitivo.
- Planner o agenda strutturata : l’organizzazione del tempo passa anche dalla scrittura. Utilizzare un planner – cartaceo o digitale – consente di pianificare scadenze, sessioni di studio e obiettivi quotidiani o settimanali. Molte persone ADHD trovano utile usare entrambi i supporti, suddividendo compiti e impegni, ad esempio agenda cartacea per le to do list e agenda digitale per gli impegni quotidiani.
- Body-doubling: studiare o lavorare in compagnia di qualcuno, anche senza interagire, migliora la concentrazione. La presenza di un’altra persona funge da stimolo esterno e riduce il rischio di distrazioni. Può essere svolto in una biblioteca, con compagni di corso o anche online, con gruppi di studio collegati virtualmente.
- Chunking (scomposizione dei compiti): spezzare un’attività complessa in micro-obiettivi aiuta ad affrontarla senza sentirsi sopraffatti. Ad esempio, invece di “studiare un intero capitolo”, si può iniziare con “leggere il paragrafo 1”.
- Checklist operative: scrivere una lista dei passaggi da seguire aumenta il senso di controllo e motivazione. Spuntare le attività completate fornisce un rinforzo positivo e tiene alta l’attenzione.
- Addestramento alla consapevolezza del tempo (Time Awareness Training) : usare timer o app per monitorare quanto tempo richiede realmente un’attività aiuta a migliorare la capacità di stima temporale, spesso alterata nell’ADHD.
- Ambiente di studio ottimizzato : uno spazio ordinato, privo di distrazioni visive e uditive, migliora la performance. Alcuni studenti beneficiano anche del cambiamento di ambienti per mantenere l’interesse attivo.
- Studio multisensoriale: coinvolgere più sensi rende lo studio più efficace, come leggere ad alta voce, registrare riassunti audio, usare colori diversi per evidenziare o creare schemi a mano stimola la memoria e la concentrazione.
- Tecnica “if–then” (se–allora): prepararsi a gestire gli ostacoli con istruzioni anticipate del tipo: “Se inizio a distrarmi, allora faccio una pausa breve” o “Se completo il compito, allora guardo una puntata della mia serie”. Questa tecnica rafforza la capacità di autoregolazione.
- Gratificazioni programmate : premiarsi dopo aver portato a termine un’attività – anche con qualcosa di semplice – aiuta a rinforzare il comportamento produttivo. È una strategia motivazionale che stimola il sistema dopaminergico.
Cosa prevede la normativa italiana per gli studenti universitari con ADHD
In Italia, le tutele per gli studenti con ADHD in ambito universitario si stanno progressivamente rafforzando, grazie a un intreccio di norme, linee guida e buone pratiche adottate dagli atenei. Sebbene l’ADHD non sia esplicitamente menzionato nella Legge 170/2010 – che riconosce i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e promuove misure compensative e dispensative – viene inquadrato come un Bisogno Educativo Speciale (BES). Questo consente agli studenti di accedere a strumenti analoghi, come i Piani Didattici Personalizzati (PDP) e il supporto dei Servizi Disabilità e DSA interni alle università.
A livello accademico, le indicazioni principali arrivano dalle Linee guida della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (CNUDD). Queste linee guida, recepite dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), raccomandano esplicitamente l’attivazione di misure a sostegno degli studenti con DSA e ADHD. Tra le principali: tempo aggiuntivo durante le prove d’esame, l’uso di strumenti compensativi come mappe concettuali, software di sintesi vocale, calcolatrici e computer, oltre alla possibilità di ricevere tutoraggio personalizzato per supportare l’organizzazione dello studio e la gestione del tempo.
Ogni università dispone di un ufficio dedicato – il Servizio Disabilità e/o DSA – a cui è possibile rivolgersi per far riconoscere la diagnosi, attivare un PDP universitario e concordare con i docenti modalità d’esame personalizzate. Anche se non esiste un modello unico di PDP per l’università, molte istituzioni si stanno muovendo verso una standardizzazione dei criteri di accesso e delle misure applicabili, per garantire equità e trasparenza. Un’ulteriore novità è rappresentata da un disegno di legge presentato al Senato nel 2025, ancora in discussione, che mira a formalizzare l’obbligo per le università di attivare PDP specifici per studenti con DSA e ADHD. La proposta prevede l’introduzione di figure specializzate, percorsi flessibili e una formazione obbligatoria per il corpo docente sull’inclusione universitaria. Anche se la normativa è in evoluzione, le studenti universitarie con ADHD hanno già oggi il diritto di accedere a strumenti personalizzati che rendano il percorso di studi più accessibile, inclusivo ed efficace. Conoscere queste opportunità è fondamentale per poterle richiedere e per affrontare il proprio percorso accademico con maggiore serenità e consapevolezza.
Il supporto della psicoeducazione e della psicoterapia
Oltre alle strategie individuali, è fondamentale che lo studente con ADHD abbia accesso a un percorso di psicoeducazione. L’ADHD è una condizione complessa, che necessita di un trattamento multimodale. La psicoeducazione è una delle opzioni e può essere indivuduale o di gruppo. Si tratta di un percorso guidato da uno psicologo o da una terapeuta specializzata, che ha lo scopo di fornire informazioni chiare e scientificamente corrette sul disturbo, sfatare miti e stereotipi e aiutare la persona a comprendere il proprio funzionamento cognitivo ed emotivo. Una sorta di coaching scientifico, che mette in campo conoscenze neuroscientifiche e consigli pratici su come gestire la quotidianità neurodivergente. Conoscere il proprio funzionamento ADHD, infatti, è il primo passo per accettarlo e per imparare a convivere con esso in modo funzionale. La psicoeducazione aiuta anche a ridurre il senso di colpa e l’autostima negativa, frequenti tra gli studenti che si sono sentiti a lungo “diversi”, “pigri” o “inadeguati” rispetto ai coetanei.
La psicoterapia, in particolare quella cognitivo-comportamentale (CBT), può offrire un supporto più strutturato per modificare schemi disfunzionali di pensiero e comportamento. Le terapie focalizzate sull’ADHD lavorano su aspetti pratici come la gestione del tempo, l’organizzazione dello studio, la pianificazione a lungo termine e la regolazione emotiva. In alcuni casi, il lavoro terapeutico può essere affiancato da un percorso di coaching specifico per l’ADHD, centrato sul raggiungimento di obiettivi concreti, lo sviluppo di routine efficaci e il potenziamento delle risorse personali.
È importante sottolineare che, per alcuni studenti, il trattamento farmacologico – prescritto e monitorato da un medico specialista – può rappresentare una risorsa fondamentale, soprattutto quando i sintomi interferiscono gravemente con la vita quotidiana. Tuttavia, la farmacoterapia non sostituisce gli interventi psicoeducativi e comportamentali, ma li integra in un approccio globale.
L’ADHD in età universitaria è una sfida reale ma affrontabile, se riconosciuta e gestita in modo adeguato. Comprendere il funzionamento neurobiologico del disturbo, adottare strategie organizzative su misura e accedere a un supporto psicologico qualificato sono passi fondamentali per permettere agli studenti di esprimere il proprio potenziale, senza sentirsi schiacciati dalle difficoltà.
L’università può diventare non solo un banco di prova, ma anche un’occasione per costruire competenze, autonomia e fiducia. Con gli strumenti giusti, le difficoltà si trasformano in opportunità di crescita. La chiave è smettere di lottare contro il proprio modo di funzionare e iniziare a lavorare con esso, trovando il proprio equilibrio personale tra mente, metodo e motivazione.