Più che dare risposte, restare disponibili alle domande
L’orientamento, se ci pensiamo bene, non è un momento in cui dire cosa fare. È un’occasione per stare accanto mentre chi amiamo prova a capire chi è.
L’adolescenza è un’età strana: piena di domande gigantesche (“Chi sono?”, “Cosa farò?”, “E se non fossi capace?”) che raramente si trasformano in discorsi a tavola. A volte restano sospese, non dette. Ma questo non significa che non ci siano. Il modo in cui un genitore riesce a stare accanto a queste domande — anche solo con la sua presenza, il suo ascolto, il suo non giudicare — è già orientamento.
Secondo Save the Children, l’atteggiamento che più aiuta in questa fase è la curiosità attiva: fare domande senza l’ansia di trovare subito risposte. Interrogarsi insieme, anche sui dubbi.
Lasciare spazio, non spingere verso
C’è una trappola in cui tutti i genitori rischiano di cadere, anche i più attenti: proiettare sogni, paure, successi mancati sui figli. È umano. Ma quando l’orientamento si trasforma in una rincorsa al “sicuro”, al “prestigioso”, al “quello che avrei voluto io”, si perde di vista l’unica cosa che davvero conta: chi è quella persona lì, davanti a noi, con la sua voce, i suoi desideri, i suoi tempi.
Le aspettative dei genitori, a volte sono troppo pressanti. Saperle riconoscere — e sospendere — è un atto d’amore.
Parlare di sé (anche delle proprie incertezze)
I figli ci osservano più di quanto ascoltino. Se vogliamo che parlino delle loro paure, dobbiamo essere i primi a non vergognarci delle nostre. Raccontare come abbiamo scelto — anche se abbiamo cambiato idea mille volte — li aiuta a capire che l’errore non è una condanna, ma una tappa. Che si può ricominciare. Che la fatica di decidere è normale.
Nel dialogo, anche il silenzio conta. L’importante è che sentano che c’è uno spazio sicuro dove tornare. Senza giudizio. Senza voti.
Non servono risposte perfette, ma relazioni solide
L’orientamento funziona davvero quando smette di essere una “scadenza” e diventa un’occasione per conoscersi. Partecipare insieme a un open day, leggere un volantino di una scuola nuova, chiedere “cosa ti ha colpito?”: sono piccoli gesti che costruiscono fiducia. Non serve essere esperti. Serve esserci.
La Regione Friuli Venezia Giulia ha pubblicato una guida rivolta proprio alle famiglie, dove si dice chiaramente: accompagnare nella scelta significa aiutare i figli a conoscersi meglio, non a decidere al posto loro.
Quando serve, si può chiedere una mano
Non sempre tutto si può gestire in casa. E va bene così. Se emergono dubbi più profondi, blocchi, tensioni, è giusto coinvolgere persone competenti: orientatori, tutor, docenti formati. Figure che sanno fare da ponte tra il dentro e il fuori. Chiedere aiuto non è un fallimento, ma un modo maturo di prendersi cura.
Il Ministero dell’Istruzione, con le iniziative legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha potenziato i servizi di orientamento in molte scuole, anche con sportelli dedicati a studenti e famiglie. Vale la pena informarsi, partecipare, fare rete.
Genitori come specchi, non come binari
L’immagine che forse funziona meglio è questa: i genitori non sono binari su cui far scorrere un treno. Sono specchi. Riflessioni che aiutano chi cresce a vedersi meglio, a capire chi è diventato, cosa gli interessa davvero. A volte serve solo questo: non dire dove andare, ma mostrare che si può cercare, con calma, con libertà, senza dover dimostrare nulla.
“Mia madre mi ha detto: ‘Anche se scegli una scuola che io non avrei mai considerato, io ci sarò. L’importante è che tu ci creda’. Ecco, lì mi sono sentito libero”, ci ha raccontato Giorgio, 17 anni, uno dei ragazzi con cui abbiamo parlato mentre costruivamo il progetto di Alpha Orienta.
L’orientamento non è un compito da genitore. È un esercizio di relazione. È una possibilità — rara e preziosa — per stare vicini nel momento in cui chi amiamo sta scegliendo chi diventare.
