Borse di studio post-laurea: stop all’esenzione IRPEF, cosa cambia per i ricercatori

La (brutta) novità: borse di ricerca tassate come reddito, vediamo nel dettaglio cosa accade a partire da quest’anno

di Gabriele Capasso
1 luglio 2025
1 MIN READ

Dal 7 giugno 2025 è entrata in vigore una misura che cambia in modo radicale il trattamento fiscale delle borse di studio per attività di ricerca post-laurea. Quelle che finora erano interamente esenti da imposte, ora vengono considerate redditi imponibili a tutti gli effetti: dovranno essere inserite nella dichiarazione dei redditi e tassate secondo le aliquote IRPEF ordinarie.

La modifica è contenuta all’interno dell’articolo 1-bis, comma 4 del DL 45/2025, noto come “decreto PNRR-scuola”. Il decreto cambia il quadro normativo regolando le nuove figure contrattuali post-doc, ma sopprime la parte che garantiva l’esenzione fiscale per le borse di studio post-laurea assegnate dalle università.

Chi è coinvolto e chi è escluso

La norma non colpisce tutte le borse, ma solo una parte ben precisa. Restano esenti da IRPEF:

  • le borse per il diritto allo studio universitario (erogate da Regioni, Comuni, Province);
  • le borse di dottorato di ricerca e di specializzazione, comprese quelle in medicina;
  • le borse per attività di ricerca post-doc inquadrate nei nuovi incarichi previsti dalla riforma universitaria;
  • le borse Erasmus+ e altre borse di mobilità internazionale;
  • le borse riservate a familiari delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata.

A essere colpite dalla nuova tassazione sono invece le borse “tradizionali” per attività di ricerca post-lauream non coperte dai nuovi contratti. In molti casi, si tratta di borse bandite dalle università per progetti specifici, affidate a giovani ricercatori che avevano già completato dottorati o specializzazioni, spesso senza tutele contrattuali.

Nessuna fase transitoria: impatto immediato (e interpretazioni incerte)

Uno degli aspetti più problematici della norma è l’assenza di una disciplina transitoria. La legge si applica dal giorno della sua entrata in vigore (7 giugno 2025), senza salvaguardie per le borse già assegnate o in corso.

Il principio di cassa impone che ciò che si incassa dopo quella data sia soggetto a tassazione, anche se relativo a bandi pubblicati prima. Questo significa che anche chi aveva già firmato un contratto di borsa nei mesi precedenti, e riceveva pagamenti mensili, vedrà tassate le mensilità successive al 7 giugno.

Il Ministero dell’Università e della Ricerca, interpellato dal Corriere, ha dichiarato che a suo avviso il principio di non retroattività salverebbe le borse assegnate prima del 7 giugno. Tuttavia, secondo molti esperti, l’abrogazione letterale della norma di esenzione non lascia spazio a interpretazioni estensive: senza un correttivo, anche le borse già in corso ricadono nella nuova disciplina fiscale.

Quante borse e quanti ricercatori sono coinvolti?

Secondo i dati USTAT del MUR, nel 2023 risultano 15.891 titolari di assegni di ricerca attivi in Italia. Sono queste le posizioni direttamente colpite dalla norma: borse post-laurea, non contrattualizzate, fino a oggi esentasse.

Non sono invece interessati i ricercatori a tempo determinato di tipo A o B (RTDA/RTDB), che sono già inquadrati con contratti da lavoro dipendente e già soggetti a IRPEF.

Su una platea complessiva di circa 35.000-40.000 ricercatori post-laurea attivi in Italia, considerando anche gli RTD, si può stimare che circa il 40-45% sia effettivamente coinvolto dalla nuova imposizione fiscale.

Quanto ci guadagna il fisco (e quanto perdono i ricercatori)

Considerando un numero realistico di circa 15.000 borse tassabili e un valore medio annuo lordo di 20.000 € ciascuna:

  • Il gettito aggiuntivo stimabile per lo Stato, con un’aliquota media del 15-20%, si aggira attorno a 45-60 milioni di euro l’anno.
  • Per i ricercatori, questo significa una perdita media netta mensile di circa 200-300 €, a seconda delle detrazioni fiscali e della fascia di reddito.
  • Inoltre, la fine dell’esenzione IRPEF comporta che le somme erogate sotto forma di borsa siano ora imponibili anche ai fini IRAP, con un piccolo aggravio anche per gli atenei.

La ratio: spingere verso i nuovi contratti post-doc

Il decreto PNRR-scuola ha modificato la Legge 240/2010 introducendo due nuove figure: incarichi post-doc e incarichi di ricerca. Queste nuove forme contrattuali sono esenti da IRPEF, e secondo il Ministero rappresentano lo strumento da incentivare.

Tuttavia, le università non hanno ricevuto fondi aggiuntivi per trasformare tutte le borse esistenti in incarichi regolari. Il rischio, dunque, è che l’eliminazione dell’esenzione IRPEF finisca per ridurre l’offerta di borse – non per migliorarla.

La fuga dei cervelli: dati 2020–2025

A rendere ancora più grave l’impatto della misura è il contesto migratorio dei giovani ricercatori italiani. Negli ultimi anni, infatti, si registra un’escalation del fenomeno:

  • Oltre 33.000 ricercatori italiani attualmente lavorano all’estero
  • 14.000 PhD italiani hanno lasciato il Paese in un decennio
  • La percentuale di laureati sul totale degli emigrati è salita dal 17% (2011) al 43% (2022)
  • Secondo l’Osservatorio CPI, i laureati espatriati sono passati da 7.700 (2011) a oltre 31.000 (2020).

Le principali destinazioni sono: Regno Unito e Germania (~29.000 tra 2019 e 2023), seguiti da Francia e Svizzera (~8.000 ciascuna), e dagli Stati Uniti (~4.000)

L’impatto per area disciplinare: STEM più colpite

Secondo i dati AlmaLaurea, il 28,6% dei dottori in scienze di base (STEM) del 2020 lavora all’estero a tre anni dal titolo. Tra le discipline umanistiche, la quota è solo del 9,4%.

La differenza si vede già a un anno dal dottorato: circa il 20% dei neodottori STEM è già impiegato fuori dall’Italia, contro meno del 10% degli umanisti.

Questo significa che la nuova tassazione rischia di incentivare ancor più l’espatrio delle figure scientifiche, strategiche per lo sviluppo tecnologico del Paese.

Reazioni: tra critica politica e allarme accademico

La misura è stata contestata da ricercatori precari, docenti universitari, associazioni di categoria e rappresentanti politici. Le critiche si concentrano su due fronti:

  • penalizza chi già lavora in condizioni precarie;
  • rischia di aumentare la fuga all’estero dei giovani talenti.

Secondo Avvenire, tra il 2013 e il 2022 l’Italia ha perso oltre 87.000 giovani laureati (25-34 anni). Per molti, la nuova imposizione fiscale rischia di aggravare ulteriormente un trend già drammatico.

Cosa devono sapere oggi gli studenti e i neodottori

Per chi sta pensando di intraprendere un percorso post-laurea nella ricerca – dottorato, assegno, borsa – questo cambiamento fiscale non è un dettaglio. È importante:

  • Chiedere agli atenei in che forma verrà erogato il finanziamento: la tassazione cambia l’importo
  • Valutare il netto reale in tasca, non solo l’importo lordo.
  • Considerare la copertura contributiva (anni pensionabili, malattia, maternità?).
  • Confrontare con offerte estere, anche perché la concorrenza internazionale è sempre più forte.

Conclusione: una misura che spinge a scegliere (ma anche a partire)

La scelta di tassare le borse di studio post-laurea rientra in una logica di razionalizzazione del sistema, ma rischia di avere effetti regressivi se non sarà accompagnata da un aumento reale dei fondi, delle tutele e della chiarezza normativa.

Il pericolo concreto è che, più che orientare verso contratti più equi, questa misura spinga i ricercatori a rinunciare o a cercare all’estero ciò che il sistema italiano ancora non riesce a garantire: un futuro sostenibile nella ricerca.

Per questo è fondamentale che chi si sta orientando verso il post-doc abbia piena consapevolezza della situazione, chieda trasparenza alle università, e – se necessario – faccia sentire la propria voce. Perché l’orientamento non è mai solo una scelta individuale: è una questione di giustizia, di accesso, di futuro collettivo.

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