“Meglio consegnare pizze”? No: meglio fare chiarezza. Cosa ci dice davvero il caso di Bari sul semestre filtro

L’episodio di Bari e quella frase sulle pizze raccontano più del clima che si respira nel semestre filtro.

di Gabriele Capasso
6 ottobre 2025
1 MIN READ

Partiamo dalla voce degli studenti. Adriano Porfido (UDU Bari) racconta di un clima “ad alta pressione”: ansia, panico, competitività, poca collaborazione tra colleghi; e ribadisce che non esistono “età giuste” per provarci: 19, 25 o 30 anni non sono un errore biografico. È su questo terreno che la frase attribuita a una docente dell’Università di Bari — “a 25 anni meglio consegnare pizze” — ha fatto rumore. Ma se ci fermassimo all’indignazione, perderemmo il punto: come funziona la nuova selezione e quali responsabilità educative comporta per chi la abita — studenti, docenti, famiglie.

Il fatto (in breve) e la “lettera” degli studenti

Come riportato da vari media durante una lezione del semestre filtro una docente avrebbe sconsigliato Medicina a chi non proviene da liceo classico o scientifico, aggiungendo che “se avesse avuto un figlio che segue il semestre filtro a 25 anni, lo avrebbe piuttosto mandato a consegnare le pizze”.
L’episodio è stato segnalato all’Unione degli Universitari, che ha raccolto le testimonianze di diversi studenti presenti in aula.

L’associazione ha poi pubblicato una lettera aperta indirizzata alla docente, che si può leggere integralmente qui 👉 lettera UDU Bari su Instagram.
Nel testo, si legge:

“Cara professoressa, non faremo il suo nome, ma dopo questo scivolone sarebbe meglio riflettere sul fatto che non sono gli studenti a essere sbagliati, ma il sistema ingiusto che lei, in questo modo, ha perpetrato.”

Un messaggio che va oltre la singola lezione: una chiamata a responsabilità verso un intero sistema educativo e selettivo che, nelle parole degli studenti, “continua a far ricadere sulle persone il peso di un meccanismo che non funziona”.

Che cos’è (davvero) il semestre filtro

La riforma 2025/26 ha abolito il test d’ingresso anticipato: ora l’accesso è libero al primo semestre (detto anche “semestre aperto” o “semestre filtro”) e la selezione avviene dopo tre insegnamenti obbligatori — Chimica e propedeutica biochimica, Fisica, Biologia — di 6 CFU ciascuno, per un totale di 18 CFU.

Gli esami sono nazionali e uguali per tutti, svolti in contemporanea: 31 domande per prova (15 a risposta multipla e 16 a completamento), 45 minuti a disposizione. Nel primo anno di applicazione i due appelli sono fissati per il 20 novembre e il 10 dicembre 2025. Per entrare in graduatoria nazionale serve almeno 18/30 in ciascun esame.

Dopo una prima impostazione più rigida, la penalità per risposta errata è stata ridotta a –0,10 (prima era –0,25) con un atto ministeriale del 4 agosto 2025: corrette +1, errate −0,10, omesse 0. Se non si rientra nei posti utili, non si azzera tutto: chi ha almeno 18/30 in ciascun esame può proseguire nel corso affine scelto in fase d’iscrizione, con riconoscimento dei CFU. È inoltre possibile ripetere il semestre filtro fino a tre volte, anche in anni non consecutivi.

Per una panoramica completa dei requisiti e delle regole, rimandiamo alla Guida completa al semestre filtro su Alpha Orienta.

I numeri che spiegano la pressione

Secondo i dati del MUR, gli iscritti al semestre aperto sono 64.825: 54.313 su Medicina e chirurgia, 4.473 su Odontoiatria, 6.039 su Veterinaria. Gli atenei con il maggior numero di iscritti sono Napoli Federico II, Sapienza di Roma, Bologna, Milano e Padova.
I dati aggiornati e il confronto con gli anni precedenti sono disponibili nell’approfondimento di Alpha Orienta: “Medicina 2025: iscritti, tutti i numeri aggiornati”.

Stesse regole, stessa finestra di appelli, una graduatoria nazionale. Questo spiega la tensione crescente: migliaia di studenti che frequentano corsi universitari, ma senza la certezza di potervi restare.

Cosa c’entra Bari con tutto questo

Le parole pesano perché il semestre filtro è un collo di bottiglia emotivo, prima che burocratico. Porfido (UDU Bari) descrive studenti che riportano attacchi di panico, ansia, pressione familiare e scarsa collaborazione tra pari.
In un contesto così, messaggi che selezionano per età o provenienza scolastica non servono a orientare, ma a escludere.
L’episodio di Bari è un campanello d’allarme sul clima d’aula: servono criteri chiari e feedback operativi, non slogan.

Un sistema nuovo che assomiglia troppo al vecchio

Il semestre filtro nasce con un intento dichiarato: superare il “numero chiuso” e trasformare la selezione in un percorso più giusto, basato sul merito e sulla partecipazione. Sulla carta, una piccola rivoluzione. Nella pratica, una riforma che non ha ancora sciolto le sue ambiguità.

Per molti studenti, la promessa di un sistema più equo si sta traducendo in un’esperienza più lunga, più faticosa e non meno selettiva. Non si gioca più tutto in un pomeriggio di test, ma in tre mesi di corsi, esami e ansia crescente.
Chi non supera gli esami, resta sospeso: non ancora dentro, ma neanche fuori. Una selezione che si sposta nel tempo, che si traveste da opportunità ma continua a escludere, rischiando di premiare chi può permettersi di studiare a tempo pieno o con un supporto familiare solido.

Molti atenei non erano pronti a gestire classi da centinaia di studenti, spesso con livelli di preparazione molto diversi. Docenti che devono insegnare a chi ha appena finito il liceo e a chi, magari, torna sui libri dopo anni; studenti che si confrontano con un carico di studio e di pressione per cui nessuno li ha davvero preparati. Il rischio, evidente, è che questa riforma finisca per riprodurre le stesse disuguaglianze del vecchio sistema, spostandole più avanti, dentro il percorso universitario.

La cosiddetta “rivoluzione gentile” rischia così di essere gentile solo nel nome: un’illusione di accesso libero che mantiene intatta la logica della scarsità. A cambiare, infatti, non è tanto chi entra, ma quando lo si scopre. Il numero chiuso diventa un numero differito: l’esclusione non avviene prima di iniziare, ma dopo aver investito mesi di studio e di aspettative. Un modello che, se non accompagnato da tutoraggio, orientamento continuo e sostegno psicologico, rischia di lasciare dietro di sé più ferite che opportunità.

Il costo invisibile: tempo, emozioni, senso di appartenenza

Molti studenti descrivono il semestre filtro come un tempo “in sospeso”: si studia, si frequentano lezioni, si fanno esami, ma senza la certezza di poter continuare.
C’è chi lo vive come un’occasione per capire se la medicina è davvero la propria strada, ma c’è anche chi lo percepisce come un limbo, un investimento a fondo perduto. Un semestre che, per chi non ce la fa, si traduce in un credito parziale e in una ferita di autostima.

Le università, a loro volta, si trovano a gestire corsi doppi, burocrazia nuova, valutazioni standardizzate ma poco elastiche. Nel mezzo, migliaia di studenti che provano a restare motivati mentre intorno cresce la competizione e si diffonde l’idea che l’unico errore possibile sia “non farcela subito”.

Il punto, allora, non è negare la necessità di selezionare. È come lo si fa. Selezionare non significa scoraggiare, né umiliare. Significa accompagnare chi prova a misurarsi con un percorso difficile, offrendo strumenti di orientamento veri, e non solo filtri travestiti da formazione.

Cosa manca per rendere il semestre filtro un’occasione reale

Manca una rete di tutoraggio stabile, che aiuti gli studenti a gestire metodo e stress.
Mancano spazi di ascolto psicologico diffusi e non episodici.
Mancano, soprattutto, strumenti di orientamento che trasformino l’esperienza del semestre filtro in un momento di conoscenza di sé, non in un calvario selettivo.
Perché se è vero che non tutti devono diventare medici, è altrettanto vero che nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato per averci provato.

La riforma potrà funzionare solo se riuscirà a diventare un percorso di senso, non solo di selezione. E questo dipende anche da chi sta in cattedra: da come si parla agli studenti, da come si traduce un criterio in una parola, una valutazione in un consiglio.

Come scrive l’UDU nella sua lettera: “Non sono gli studenti a essere sbagliati, ma il sistema ingiusto che lei, in questo modo, ha perpetrato.” È una frase che vale oltre Bari: riguarda tutti i luoghi dell’istruzione in cui la competenza rischia di confondersi con la conformità.

Una sfida aperta

Il semestre filtro è appena iniziato e sarà giudicato, nei prossimi anni, non solo dai numeri ma dai percorsi delle persone. Se riuscirà a diventare una porta d’ingresso reale — e non un labirinto burocratico — potrà rappresentare un cambiamento autentico.
Ma perché questo accada, serve più trasparenza, più supporto e una visione meno retorica del merito. Fino ad allora, il rischio è che il nuovo sistema si limiti a spostare il momento della delusione, non a eliminarne le cause.

Per chi studia, resta una certezza: la scelta di provarci non è mai sbagliata.
Per chi insegna, una responsabilità: ogni parola, in un’aula universitaria, è già una forma di selezione.
E ogni sistema che dimentica questa verità, per quanto riformato, resta un sistema che ha ancora molto da imparare.

Per approfondire: Semestre filtro: si comincia. News e obiettivi

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SULL'AUTORE
Gabriele Capasso è un giornalista, consulente e produttore di contenuti con una lunga esperienza nel giornalismo digitale. Ha lavorato per quasi vent’anni in Blogo.it, dove ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità: da managing editor dell’area sport a vicedirettore, fino a diventare direttore responsabile dal 2020 al 2025. In questi anni ha coordinato team editoriali, gestito strategie SEO, pianificazione a lungo termine e attività di formazione, con particolare attenzione all’evoluzione del giornalismo online e ai modelli di business.
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